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Mi candido. Per tre motivi

Alle elezioni politiche sarò candidato per la Margherita al senato. 

La considero una scelta in continuità  con il mio impegno civile, con il mio “fare politica” nella società  che per quindici anni ho portato avanti in Legambiente. àˆ ovvio che è una scelta personale che non coinvolge la mia associazione, che ha fatto dell’autonomia un valore fondante e indisponibile. Ma la continuità  sta nei contenuti e nelle motivazioni che tengono insieme il lavoro nell’associazionismo con ciò che intendo fare nelle istituzioni. Mi appaiono del tutto evidenti gli effetti devastanti sull’ambiente del governo Berlusconi. Le scelte fatte – il condono, la legge delega ambientale che stravolge la legislazione di settore costruita in precedenza – quelle non fatte – aver ignorato il protocollo di Kyoto, il mancato inserimento dei reati ambientali nel codice penale – e il senso di fastidio per le questioni ambientali promanato da ogni azione di governo, ci costringono a lavorare per un radicale cambio di direzione di marcia nella prossima legislatura. Il centrosinistra ha ovviamente dimostrato tutt’altro l’approccio ma non è affatto scontato che si assuma questa come una priorità  nell’azione di governo. Invece, usare la questione ambientale al tempo stesso come una delle chiavi di interpretazione del reale e come una leva per il cambiamento darebbe un contributo enorme allo sforzo indispensabile di risanamento e modernizzazione del paese che si dovrà  affrontare dopo aver vinto le lezioni. Partire dalla difesa e dalla valorizzazione dell’ambiente per spingere sui veri valori aggiunti di questo paese – il paesaggio, la cultura, le tradizioni enogastronomiche – senza banalizzarli in maniera folcloristica ma coniugandoli con l’impegno all’incentivazione dell’innovazione tecnologica e della ricerca darebbe all’Italia una qualche chance in più da giocarsi in questo mondo globalizzato. Riuscire a far considerare la questione ambientale come centrale nella definizione di una politica industriale di un paese moderno – e non solo un orpello magari interessante ma tutto sommato superfluo – esige uno sforzo enorme che richiede, oltre al fondamentale lavoro delle associazioni dei cittadini, anche presenze nelle istituzioni, nei luoghi dove si prendono le decisioni politiche. àˆ quello che finora è mancato all’ambientalismo che in questi anni ha marcato straordinari successi sul piano della crescita del consenso alle sue ragioni fra i cittadini ma che invece stenta a ottenerne di paragonabili nelle politiche. àˆ una sfida decisiva che, per affermare quelle ragioni, richiede anche una massa d’urto importante e che non può essere affidata a partitini. Deve invece contaminare di sé grandi forze politiche e qui il ragionamento si intreccia con la seconda importante motivazione che mi ha spinto a fare questa scelta: la costruzione del Partito democratico. Su Europa alcuni mesi fa spiegavo perché a mio parere nella costruzione di un nuovo soggetto fosse fondamentale, oltre alla fusione delle culture tradizionali che hanno costruito la repubblica e che ora hanno dato vita alla lista unitaria che deve essere considerata l’embrione di quel partito, anche il coinvolgimento e la partecipazione di culture e persone, appunto “nuove” che aiutassero anche a scardinare le resistenze e le inerzie che ogni forza organizzata oppone sempre ai cambiamenti. Infine il mio impegno anche nel futuro resterà  fortemente legato al mondo del terzo settore, un mondo maledettamente sottorappresentato nelle istituzioni e che però mi auguro vorrà  trovare in me un punto di riferimento attento alle sue esigenze e alle sue proposte.

Riformare la Legge obiettivo

La bozza di programma dell’Unione si fonda sulle necessità  reali del nostro paese e sin dalla premessa correttamente affronta il nodo centrale che è il fallimento della “legge obiettivo” voluta da Berlusconi e Lunardi: nessuna accelerazione reale delle infrastrutture davvero utili, aumento esponenziale delle vertenze territoriali. Insomma è servita solo a innumerevoli occasioni di inaugurazione, magari della stessa opera incompleta in tempi diversi. Le modifiche proposte dall’Unione corrispondono allo smantellamento del principio per cui sembrerebbe che siano solo le opposizioni locali a impedire la realizzazione delle opere. Bisogna invece individuare le reali priorità  e su quelle lavorare. Bene fa la bozza di programma da questo punto di vista a indicarle nelle autostrade del mare, nella connessione alle reti europee, nell’intermodalità  e nel sostegno al trasporto pubblico locale. Tutto bene quindi? Come rendere cogenti quelle scelte? Qui le cose si fanno più complicate per tre motivi. Il primo è proprio quello del consenso locale e interroga in primo luogo noi ambientalisti: quando e come devono essere superate le opposizioni locali in nome di un bene collettivo “superiore”? La risposta sta nell’intrecciare il “quando” con il “come”. Tornare a un processo di valutazione di impatto ambientale partecipato è solo un primo passo. Il secondo nasce invece dal concreto comportamento di molte amministrazioni locali già  di centrosinistra che continuano a proporre qualsiasi opera senza andarne a selezionare la vera utilità . Il terzo, infine, risiede nelle risorse economiche scarse con cui inevitabilmente si dovrà  fare i conti e per questo va affrontato il tema delle tariffe autostradali: le strade sono un bene pubblico, i privati che le gestiscono operano in regime di concessione e quindi i superprofitti di cui godono devono essere restituiti alla collettività  sotto forma di investimenti nell’ammodernamento delle infrastrutture secondo le indicazioni del governo.

Le autostrade del mare, non il Ponte

ESPERTI A CONFRONTO SUL PROGRAMMA DELL’UNIONE/INFRASTRUTTURE 

La bozza di programma dell’Unione si fonda sulle necessità  reali del nostro paese e sin dalla premessa correttamente affronta il nodo centrale che è il fallimento della “legge obiettivo” voluta da Berlusconi e Lunardi: nessuna accelerazione reale delle infrastrutture davvero utili, aumento esponenziale delle vertenze territoriali. Insomma è servita solo a innumerevoli occasioni di inaugurazione, magari della stessa opera incompleta in tempi diversi. Le modifiche proposte dall’Unione corrispondono allo smantellamento del principio per cui sembrerebbe che siano solo le opposizioni locali a impedire la realizzazione delle opere. Bisogna invece individuare le reali priorità  e su quelle lavorare. Bene fa la bozza di programma da questo punto di vista a indicarle nelle autostrade del mare, nella connessione alle reti europee, nell’intermodalità  e nel sostegno al trasporto pubblico locale. Tutto bene quindi? Come rendere cogenti quelle scelte? Qui le cose si fanno più complicate per tre motivi. Il primo è proprio quello del consenso locale e interroga in primo luogo noi ambientalisti: quando e come devono essere superate le opposizioni locali in nome di un bene collettivo “superiore”? La risposta sta nell’intrecciare il “quando” con il “come”. Tornare a un processo di valutazione di impatto ambientale partecipato è solo un primo passo. Il secondo nasce invece dal concreto comportamento di molte amministrazioni locali già  di centrosinistra che continuano a proporre qualsiasi opera senza andarne a selezionare la vera utilità . Il terzo, infine, risiede nelle risorse economiche scarse con cui inevitabilmente si dovrà  fare i conti e per questo va affrontato il tema delle tariffe autostradali: le strade sono un bene pubblico, i privati che le gestiscono operano in regime di concessione e quindi i superprofitti di cui godono devono essere restituiti alla collettività  sotto forma di investimenti nell’ammodernamento delle infrastrutture secondo le indicazioni del governo.

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