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Prodi come Blair: il governo si impegni a ridurre le emissioni di CO2, cominciando da premier, ministri e sottosegretari

“Un piccolo, ma tangibile, segno della volontà  del Governo Prodi di abbattere le emissioni di gas climalteranti dell’Italia? Basterebbe copiare i colleghi inglesi. Blair ha dichiarato che i danni climatici provocati dall’uso non strettamente necessario dell’aereo dei membri del suo esecutivo verranno compensati con 3 milioni di sterline investiti in progetti per lo sviluppo di energie rinnovabili nei paesi in via di sviluppo. E allora perché i 25 ministri e i 76 sottosegretari italiani, oltre a evitare i voli interni sulle tratte più brevi facilmente sostituibili con il treno, non prendono l’esempio dato dall’esecutivo del Regno Unito?

E’ quanto propone il senatore dell’Ulivo Francesco Ferrante in un’interrogazione al Primo Ministro Prodi.

L’Italia si è assunta l’impegno di ridurre entro il 2012 il 6,5 per cento delle emissioni di gas climalteranti rispetto al 1990. Ma dalla ratifica del Protocollo di Kyoto nel 1997 il contributo negativo è aumentato fino a un più 12%. Ora ci troviamo dover abbattere non più il 6,5 ma il 18,7% dell’inquinamento prodotto.
Secondo l’European Federation for Transport and Environment, il traffico aereo incide dal 4 al 9% sul totale delle emissioni di gas serra. Il rapido aumento del traffico dal 1990 a oggi ha fatto crescere l’anidride carbonica dell’83%. A questo ritmo nel 2050 le emissioni dei voli aerei rappresenteranno il 40% del totale.

“Quella aerea – ha aggiunto Ferrante – è una modalità  di trasporto particolarmente inquinante. Per giunta il settore ha fatto pochi sforzi per migliorare la sua efficienza ambientale, tanto che le compagnie aeree sono diventate un tema specifico di discussione all’interno dell’Unione Europea. Basti pensare che i moderni aeroplani consumano la stessa quantità  di combustibile dei vecchi modelli del 1950 ”. 
 
 

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L’Africa paga il prezzo più alto

A vederla da Nairobi, dove in questi giorni si sta svolgendo il Forum Sociale Mondiale, la questione appare ancora più cruda di quello che sa già  chiunque non voglia volgere la testa da un’altra parte.

L’Africa, la povertà  di chi ci vive, sono la questione etica, ma anche economica, che deve interrogare ciascuno di noi e ogni Governo, specialmente in questa parte del mondo, quella ricca.

Parliamo della capitale di un Paese che è l’unico, insieme al Sud Africa, ad essere in grado di ospitare un vertice internazionale di qualsiasi natura, ma allo stesso tempo di una città  dove più della metà  degli abitanti vive con meno di un dollaro al giorno. Di città  come Kibera, lo slum più grande dell’Africa, e Korogocho, lo slum reso famoso dalla presenza di Zanotelli. Luoghi inimmaginabili per noi pasciuti occidentali.

Dei 36 Paesi più poveri nel mondo 29 sono nel Continente nero con i 2/3 della popolazione che vive, sopravvive, in una situazione di assoluta povertà .

E in questo quadro già  disastroso la questione globale per eccellenza, quella dei mutamenti climatici non fa che peggiorare la situazione.

Infatti, per paradosso, a pagare le conseguenze più gravi dell’aumento dell’effetto serra sono proprio quei popoli che nessuna responsabilità  hanno nell’aumento delle emissioni di anidride carbonica che ne sono la causa prima.

Il numero dei fenomeni meteorologici estremi è aumentato su scala planetaria e, parallelamente, sono cresciuti gli spostamenti di persone costrette ad abbandonare le loro terre a causa di eventi siccitosi che, nel caso dell’Africa, hanno e avranno un sempre più rilevante impatto sull’ambiente e sull’economia. àˆ il segno più evidente del pericoloso intreccio tra povertà  e cambiamenti climatici.

Nelle regioni desertiche la carenza di cibo e le malattie minacciano più di 2 miliardi di persone. Le tempeste di sabbia causano febbre, tosse e infezioni agli occhi, soprattutto nei bambini. La mortalità  infantile è 10 volte più alta che nei Paesi industrializzati: 54 bambini su 1000 non arrivano ai cinque anni di età .

In Africa 400 milioni di persone che si trovano a combattere ogni giorno contro il progredire inesorabile dei quasi 700 milioni di ettari di deserti. I dati sulla desertificazione sono impressionanti: in media essa conquista ogni anno il 3,5% delle terre fertili ed è uno dei fattori principali della povertà  e del sottosviluppo e, in particolare, la causa prima di un fenomeno che spesso assume connotati biblici: quello dei profughi ambientali.
Se perfino il presidente Bush, nel goffo tentativo di recuperare un consenso ormai in caduta libera, arriva a dire che è necessario ridurre del 20% il consumo di benzina nei prossimi dieci anni, significa che quello del surriscaldamento del pianeta è ormai un tema centrale dell’agenda politica mondiale. Ovviamente ci attendiamo che alle recenti dichiarazioni seguano al più presto fatti concreti a confermare la sua conversione ecologista.
La partecipazione degli italiani al Forum Sociale Mondiale è stata ampia, in particolare numerosissimi erano gli amministratori locali organizzati dalla Tavola della Pace. Un buon segnale che può far sperare in un aumento di quei progetti di cooperazione decentrata fondamentali per aiutare davvero gli africani ad uscire da questa situazione e insieme per combattere la fondamentale battaglia per la democrazia in quei Paesi, senza la quale ogni discorso o tentativo risulterà  vano.

Il nostro Governo faccia la sua parte sia in termini quantitativi che qualitativi. L’inversione di tendenza rispetto al Governo Berlusconi c’è ed è evidente. Ma non si devono ripetere più casi clamorosi e indecenti come il mancato finanziamento del fondo globale per l’Aids.

 
 

“Che fine ha fatto la cabina di regia del Governo sui rigassificatori”


“Dove è finita la Cabina di Regia istituita alla fine della scorsa estate per valutare e autorizzare la costruzione di nuovi rigassificatori? Al momento le richieste sul tavolo del governo sono ben 13, alcune delle quali hanno già  ottenuto il via libera. Stando a quanto detto finora, le previsioni di crescita del consumo e la necessità  di diversificazione richiederebbero 3, al massimo 4 impianti, corrispondenti al fabbisogno stimato di 30 miliardi di metri cubi di gas all’anno per i prossimi 30 anni, ma nulla è stato specificato circa la loro collocazione sul territorio nazionale. E’ quindi di fondamentale importanza che il governo dica dove dovranno sorgere e tale scelta dovrà  corrispondere alle effettive esigenze  del Paese”.
E’ questo in sintesi il contenuto dell’interrogazione parlamentare presentata dal senatore Francesco Ferrante, capogruppo dell’Ulivo in Commissione Ambiente, ai ministri Bersani, Di Pietro e Pecoraro Scanio.
A oggi risultano completati gli iter autorizzativi del terminal previsto a largo del Delta del Po, già  in costruzione, e di quello di Livorno. A Brindisi sarebbe completato l’iter autorizzativo, ma data l’opposizione della popolazione e di tutte le amministrazioni locali, sembrerebbe logico rimetterne in discussione l’opportunità .

E’ necessario soprattutto approfondire le varie ipotesi anche dal punto di vista geografico e logistico, valutando l’utilità  di realizzare rigassificatori al Sud quando circa il 75% dei consumi di gas è concentrato nel nord Italia.
Lo stesso amministratore delegato di Eni, Paolo Scaroni, durante un’audizione in Commissione Ambiente al Senato, a una esplicita domanda sulla convenienza di realizzare gli impianti in Sicilia, ha risposto che tale soluzione sarebbe molto conveniente per il gestore, ma molto meno per gli italiani, che si vedrebbero aggiungere in bolletta i costi dell’adeguamento della rete e quelli necessari per fare viaggiare il gas dall’estremità  meridionale del Paese fino alle zone dove si concentra la gran parte dei consumi.
 “Occorre governare fin dall’inizio un processo d’infrastrutturazione del Paese – conclude Ferrante – che, se lasciato solo al mercato, rischia di avallare condizioni di oggettivo vantaggio per alcune delle grandi aziende proponenti a discapito degli interessi collettivi che lo Stato deve rappresentare”.
 
 
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