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Il Pd non vince col modello Penati

E’ nel “modello Penati” – tallonare la destra e la Lega sul loro stesso terreno culturale e programmatico, che si parli di federalismo o d’immigrazione – il possibile futuro vincente del Pd e in generale dei riformisti italiani? In molti nel centrosinistra la pensano così (anche il direttore di “Europa”, ci pare), e questa interpretazione sembra avvalorata dall’ottima, sebbene alla fine sfortunata, performance elettorale dell’ex-presidente della Provincia di Milano, che nel ballottaggio ha mancato di un soffio la riconferma nel territorio simbolo dell’egemonia berlusconian-bossiana.
La tesi non ci convince, intanto per una ragione squisitamente di mercato elettorale. E’ vero infatti che per sperare di vincere il Pd deve conquistare un po’ del voto cosiddetto “moderato”, strappare consensi al centrodestra: ma facendo grande attenzione a non sguarnire le retrovie, a non deludere quella parte non irrilevante del proprio elettorato tradizionale che avverte come un valore irrinunciabile l’opposizione alle parole d’ordine più populiste, razziste e demagogiche di Pdl e Lega.
La seconda obiezione è di ancora maggiore sostanza e di più lunga prospettiva, e rimanda a un paradosso che segna il cammino del centrosinistra italiano da quindici anni, dall’irruzione sulla scena politica di Silvio Berlusconi. Da allora, non c’è dubbio, noi siamo ossessionati da Berlusconi, dalla sua straordinaria capacità  d’imporre se stesso e la sua “agenda” come i terreni pressoché esclusivi del dibattito e dello scontro tra destra e sinistra. Questa ossessione ha due facce, apparentemente contraddittorie ma in realtà  figlie della stessa insicurezza di sé, della medesima incertezza identitaria che assillano in Italia il campo riformista. Una è nel cosiddetto anti-berlusconismo, nella tentazione di definirsi per differenza, per contrapposizione rispetto al leader avversario. L’altra faccia è nella tentazione di rincorrere le posizioni e le proposte di questo stesso avversario e dei suoi alleati, con l’obiettivo più o meno consapevole di offrire di sé al Paese un’immagine altrettanto accattivante. Come dire: visto che il centrodestra vince perché fà  la faccia feroce sull’immigrazione, perché accelera sul federalismo, a noi non resta che rincorrerlo su questi suoi terreni. Un piccolo ma illuminante esempio di questo modo di procedere viene proprio dalla campagna elettorale per le provinciali di Milano. Berlusconi afferma che a Milano ci sono troppi neri, che sembra una città  africana; Penati replica duramente, ma anziché dargli del razzista dice che “sì, è vero, a Milano ci sono troppi immigrati, ma la colpa è dei sindaci di centrodestra che governano da quasi vent’anni”.
Questa ambivalenza – anti-berlusconismo da una parte, subalternità  culturale al berlusconismo dall’altra – è del resto spiegabile. Poiché sul piano dell’identità  culturale, programmatica, valoriale, il centrosinistra fatica a darsi un profilo chiaramente alternativo a quello della destra, tant’è che ripetutamente si ritrova a inseguirne proposte e sensibilità , allora personalizzare la differenza, l’alterità  nell’anti-berlusconismo è una via surrogata che risponde all’esigenza di mostrarsi diverso e alternativo. Se non si riesce a essere alternativi nei contenuti, non resta che apparirlo contrapponendosi all’uomo che da 15 anni incarna il centrodestra italiano.
Come si esce da questo “cul de sac”? Non c’è che un modo: togliersi dalla testa che per vincere, il riformismo debba assomigliare alla destra. Dal centrodestra italiano, certo, abbiamo moltissimo da imparare: sono più bravi a capire cosa vogliono gli italiani e cosa li preoccupa, dalle tasse alla sicurezza; non si sentono migliori degli elettori cui chiedono il voto; sono molto più agili e veloci nell’adattarsi ai cambiamenti sociali. Insomma sono più “popolari”, perché per esempio (soprattutto con la Lega, ma non solo) hanno capito meglio e prima che in questo tempo di frammentazione sociale, di globalizzazione anonimizzante, l’identità  territoriale è un elemento centrale, decisivo su cui fondare il discorso pubblico. Dobbiamo usare gli stessi attrezzi affinati dalla destra, dobbiamo guardare in faccia senza sufficienza le paure e le inquietudini dei cittadini e ad esse saper rispondere: ma questo dobbiamo fare offrendo visioni e proposte che siano chiaramente nostre e che siano, per così dire, inequivocabilmente progressiste. Anche su quel terreno delicatissimo e decisivo sul piano del consenso che è la “sicurezza”: tema che troppo a lungo abbiamo trascurato o per il quale ci siamo accontentati di richiami un po’ stanchi ai nostri valori tradizionali – solidarietà  ed accoglienza – per poi, al contrario, scivolare in una rincorsa inutile e incomprensibile della destra. Le “ronde” sono un vulnus per la democrazia: punto e basta, non ci sono mediazioni possibili con chi le vuole introdurre, ma una risposta a quelle paure va data con serietà  e severità .
In generale, un riformismo popolare deve innalzare oggi due grandi bandiere, quella dei diritti, dei nuovi diritti personali e dei diritti di cittadinanza, e ancora più irrinunciabile quella dell’ambiente, questione sempre più popolare come testimoniano anche i risultati delle recenti elezioni europee. L’ambiente come benessere, l’ambiente come risorsa per il lavoro e lo sviluppo, l’ambiente come interesse locale. La destra italiana è la più anti-ambientale d’occidente, considera la lotta ai mutamenti climatici e la green economy poco più che stranezze mentre tutti nel mondo ci vedono un efficace antidoto alla crisi e la base principale dell’economia del futuro. Ma il Pd fino ad oggi ha esitato a brandire questa evidente arretratezza del nostro centrodestra come un’arma politica e polemica. Noi siamo timidi sull’ambiente, davvero troppo timidi, e rischiamo – per ulteriore paradosso – di dare il tempo ai nostri competitori di appropriarsi anche di questo tema come già  stanno facendo le destre in Europa da Merkel, a Sarkozy, a Cameron.
Sarà  bene che anziché parlarci addosso, anziché dividerci in vista del congresso tra alleanze e tra candidature che si basano prevalentemente su logiche e dinamiche antiche e autoreferenziali, c’impegniamo d’ora in avanti per definirla una buona volta, questa nostra identità  positiva. Così magari potremo contendere il consenso alla destra senza dover contare soltanto sulle miserie morali del nostro premier.

Roberto Della Seta
Francesco Ferrante

SU “UNITA’ ED “EUROPA” L’APPELLO “PER IL PD CHE VOGLIAMO”

PIU’ DI 100 FIRME: REALACCI, VIGNI E GLI ECODEM,
CERAMI E ZANDA, MELANDRI E GENTILONI, SUSTA E BERLINGUER
 

L’Italia ha bisogno di una politica più degna e di un Partito Democratico più credibile. Ha bisogno di un grande partito progressista, casa comune delle culture riformiste ed ecologiste”. Comincia così il manifesto-appello per “il Pd che vogliamo” promosso dagli ecodem Brachetta, Bratti, Ciarafoni, Della Seta, Ferrante, Mariani, Pintus, Realacci, Ronchi, Scalia, Vigni, Zamboni, e pubblicato oggi su “Unità ” e su “Europa”.
“La nostra ambizione – afferma Realacci – è di calare il dibattito che porterà  al congresso nella realtà , nella concretezza delle posizioni su come dev’essere, cosa deve dire e proporre il Pd per convincere gli italiani. E di sottrarlo a un confronto solo tra candidati o tra vecchie appartenenze e fedeltà . Il buon risultato dei ballottaggi dimostra che il Partito democratico vince dove si occupa e si preoccupa di ciò che interessa gli italiani: questo il compito di un riformismo rinnovato e moderno, se invece ci parliamo addosso rischiamo un precoce declino”.
Per Fabrizio Vigni, “il Pd non può fare un congresso solo sui nomi. Prima vengono le idee, e l’idea che mettiamo in campo è la stessa di Obama: la green economy come via d’uscita dalla crisi. E’ questa la nuova frontiera del riformismo ed è questo l’obiettivo del nostro appello, aperto alla firma di tutti coloro che vogliono un Pd della speranza e della rivincita”.
Il documento è stato sottoscritto finora da oltre 100 dirigenti, militanti, simpatizzanti del Partito democratico: tra questi intellettuali come Vincenzo Cerami, scienziati come Enrico Alleva, economisti come Marzio Galeotti; poi parlamentari (Luigi Berlinguer, Susanna Cenni, Enrico Gasbarra, Paolo Gentiloni, Roberto Giachetti, Marialuisa Gnecchi, Giovanna Melandri, Anna Rossomando, Andrea Sarubbi, Gianluca Susta, Luigi Zanda); dirigenti territoriali e amministratori come Federico Gelli, Anna Rita Bramerini e Flavio Morini (Toscana), Nicola De Ruggiero e Alessandro Portinaro (Piemonte), Mario Di Carlo, Giuseppe Parroncini e Paolo Anibaldi (Lazio), Fiorenza Brioni e Carlo Monguzzi (Lombardia), Franco Bonanini (Liguria); esponenti del movimento giovanile (Andrea Casu, Filiberto Liguori e Luciano Nobili); rappresentanti del mondo associativo come Edoardo Zanchini e Maurizio Gubbiotti (Legambiente) e i presidenti di Arci Caccia Osvaldo Veneziano, di Lega Pesca Ettore Ianì e di Federparchi Giampiero Sammuri. 
Nell’appello, viene disegnata l’identità  possibile e auspicabile di un Pd veramente rinnovato e capace di “costruire un’alternativa vincente alla destra più inquietante e anti-ambientale d’Europa”. Un Pd “non di ex, ma di donne e uomini uniti da una stessa idea della politica e del futuro, un partito più coraggioso e più netto nei suoi sì e nei suoi no: sì alla green economy e no al nucleare; sì alla laicità  delle leggi e no a tutte le tentazioni di Stato etico; sì a meno tasse sul lavoro e sulle imprese e a misure fiscali che colpiscano lo spreco di materie prime e l’inquinamento, e no a smantellare i beni e i servizi d’interesse pubblico; sì a politiche forti e rigorose per la legalità  e la sicurezza dei cittadini, e no ad ogni giustificazione o ammiccamento verso le derive xenofobe“.
Per i firmatari del “manifesto”, il Pd deve “fare sua la questione morale, quella stessa sollevata trent’anni fa da Enrico Berlinguer e tuttora attualissima: vogliamo un partito che  non difenda come sui rifiuti in Campania amministratori indifendibili solo perché sono ‘suoi’“.
Infine, l’appello chiede di dare centralità  ai circoli, “strumenti prioritari per il radicamento territoriale: serve un partito aperto e accogliente, un partito che ami di più gli italiani e che s’identifichi con le risorse migliori e le ricchezze più grandi dell’Italia: le mille economie territoriali che danno alimento al made in Italy e le piccole e medie imprese che ne sono il fulcro, le eccellenze nella ricerca scientifica e nell’innovazione tecnologica, i tesori di natura e di cultura del Bel Paese, il volontariato al quale milioni di cittadini regalano ogni giorno un po’ del loro tempo. Solo un Partito Democratico così potrà  contribuire a ridare speranza, la speranza di un futuro migliore, all’Italia e agli italiani. Solo un partito così potrà  riconquistarne la fiducia”.
 

IL PD CHE VOGLIAMO

GREEN ECONOMY, DIRITTI, TERRITORIO
PER RICONQUISTARE LA FIDUCIA DELL’ITALIA
L’Italia ha bisogno di una politica più degna e di un Partito Democratico più credibile. Ha bisogno di un grande partito progressista, casa comune delle culture riformiste ed ecologiste.

Ne ha bisogno subito, per fare fronte ai costi sociali della crisi economica mondiale e preparare la ripresa puntando sull’economia della conoscenza, dell’ambiente, del lavoro di qualità , delle eccellenze territoriali. Ne ha bisogno per il suo futuro, per liberare e valorizzare le sue grandi potenzialità  e per superare le arretratezze, gli immobilismi, le ingiustizie, i privilegi che hanno minato in profondità  la fiducia dei cittadini in un futuro di miglioramento personale e di progresso sociale: siamo una grande nazione, ma non ci sentiamo quasi più una comunità , mentre crescono individualismi, egoismi, localismi.

Promuovere quest’opera di profondo cambiamento politico dando nuova linfa e nuove gambe al riformismo italiano, è la ragione da cui è nato il Partito Democratico. Per nutrirla e affermarla, per costruire un’alternativa vincente alla destra più inquietante e anti-ambientale d’Europa, che continua a raccogliere così larghi consensi, serve un partito non di ex, ma di donne e uomini uniti da una stessa idea della politica e del futuro. Di donne e uomini che dalla politica pretendono risposte utili a migliorare la loro vita, e utili al tempo stesso a migliorare il mondo.

Vogliamo un partito che riprenda il cammino di rinnovamento inopinatamente interrotto, deciso a non rinchiudersi nel recinto angusto di anacronistiche contrapposizioni e consumati personalismi.

Vogliamo un partito di popolo, non di élite né di nomenclature, consapevole che la prima, la più importante delle nostre alleanze è quella con il numero maggiore possibile di italiane e di italiani.

Vogliamo un partito che riconosca la centralità  dei circoli quali strumenti prioritari per il radicamento territoriale.

Vogliamo un partito che finalmente somigli, nei suoi gruppi dirigenti, nei suoi amministratori, nei suoi eletti, alle speranze e alle convinzioni degli oltre tre milioni di cittadini che meno di due anni fa votarono per la sua nascita. Un partito orgoglioso d’essere in Europa la prima grande forza progressista che ha scelto di fondere tra loro diverse anime del riformismo, e che apra la via per la costruzione di una nuova compagine riformista dove si ritrovino insieme socialisti, democratici, ecologisti.

Vogliamo un partito più coraggioso e più netto nei suoi sì e nei suoi no.
Sì alla green economy come risposta alla crisi economica e a quella climatica e come motore di sviluppo, occupazione, progresso tecnologico. No al nucleare del passato, pericoloso e costosissimo, e a chi ragionando con la mentalità  di mezzo secolo fa continua a considerare l’ambiente un ostacolo per l’economia.
Sì a un welfare rinnovato che metta al centro la persona, la dignità  e la sicurezza del lavoro, le pari opportunità  per i giovani e per le donne, la lotta alle povertà . No ai monopoli e alle corporazioni che paralizzano la società  e non valorizzano il merito.
Sì a una rivoluzione fiscale che alleggerisca il prelievo su lavoro e imprese, che scoraggi lo spreco di materie prime e le produzioni più inquinanti. No a chi vorrebbe rinunciare alla leva fiscale come fattore di redistribuzione della ricchezza e di promozione dei beni pubblici.
Sì a leggi e politiche che rafforzino la sicurezza dei cittadini contrastando la grande e la piccola criminalità . No ad ogni tentazione di rincorrere o anche soltanto di giustificare derive xenofobe e razziste.
Sì a più diritti civili, a diritti universali di cittadinanza, a una piena e forte affermazione dei valori di laicità  dello Stato e delle leggi. No a tutte le pretese di Stato etico.
Sì a molte più risorse e più attenzioni per la scuola, la cultura, la ricerca. No ai regali di Stato a oligarchie politiche ed economiche sul “modello Alitalia”.
Sì all’edilizia di qualità , al risparmio energetico, alla mobilità  sostenibile, alla sicurezza antisismica. No all’abusivismo edilizio e al consumo illimitato di territorio.

Vogliamo un partito che sappia pensare globalmente, per capire la realtà  complessa del mondo attuale. Che sappia agire localmente, immergendosi fino in fondo nelle aspettative, negli interessi, nelle preoccupazioni delle comunità  che ha l’ambizione di rappresentare.

Vogliamo un partito che si batta contro tutte le illegalità : dalla criminalità  organizzata alle ecomafie, dalla criminalità  quotidiana che semina insicurezza soprattutto tra i più deboli all’impunità  per i potenti. Un partito che faccia sua la questione morale, quella stessa sollevata trent’anni fa da Enrico Berlinguer e tuttora attualissima, che si batta sempre e dovunque per una politica trasparente e responsabile. Un partito che chiuda le sue porte ai disonesti e agli affaristi, che predichi e razzoli bene, che non difenda come sui rifiuti in Campania amministratori indifendibili solo perché sono “suoi”.

Vogliamo un partito aperto e accogliente, un partito che ami di più gli italiani e che s’identifichi con le risorse migliori e le ricchezze più grandi dell’Italia: le mille economie territoriali che danno alimento al made in Italy e le piccole e medie imprese che ne sono il fulcro, le eccellenze nella ricerca scientifica e nell’innovazione tecnologica, i tesori di natura e di cultura del Bel Paese, il volontariato al quale milioni di cittadini regalano ogni giorno un po’ del loro tempo.

Solo un Partito Democratico così potrà  contribuire a ridare speranza, la speranza di un futuro migliore, all’Italia e agli italiani. Solo un partito così potrà  riconquistarne la fiducia.

Rosanna Abbà 
Pierluigi Adami
Agostino Agostinelli
Enrico Alleva
Luigi Aloe
Paolo Anibaldi
Giulia Arcangeli
Giuseppe Arnone
Marino Artusa
Luigi Attenasio
Giuseppe Barbieri
Luigi Bellassai
Walter Bellomo
Piero Benedetti
Andrea Benedino
Luigi Berlinguer
Maria Berrini
Andrea Bianchi
Duccio Bianchi
Giovanni Bignami
Franco Bonanini
Assunta Brachetta
Anna Rita Bramerini
Alessandro Bratti
Fiorenza Brioni
Vanni Bulgarelli
Giorgio Calabrese
Gemma Calamandrei
Luigi Campanale
Alessio Capriolo
Corrado Carrubba
Andrea Casu
Roberto Cavallo
Susanna Cenni
Lucia Centillo
Vincenzo Cerami
Marco Ciarafoni
Patrizia Colletta
Maurizio Conte
Antonella Costanzo
Andrea Costi
Erasmo D’Angelis
Roberto Della Seta
Giuseppe D’Ercole
Nicola De Ruggiero
Yari Desicaia
Mario Di Carlo
Patrizia Di Giulio
Giuseppe Di Vita
Andrea Dominijanni
Cesare Donnhauser
Emanuele Durante
Dario Esposito
Fabrizio Fabrizi
Stefano Facchi
Franca Faccioli
Paolo Felice
Francesco Ferrante
Donato Ferri
Michele Fina
Silvia Fregolent
Silvia Frustaci
Giovanni Furgiuele
Matteo Fusilli
Marzio Galeotti
Giuseppe Gamba
Enrico Gasbarra
Walter Gaggioli
Federico Gelli
Paolo Gentiloni
Roberto Giachetti
Paola Gifuni
Luisa Gnecchi
Maurizio Gubbiotti
Ettore Ianì
Giovanni Lattanzi
Flavia Leuci
Piera Liberanome
Filiberto Liguori
Antonio Longo
Raffaella Mariani
Saverio Massari
Giovanna Melandri
Raffaele Mennella
Luciano Nobili
Carlo Monguzzi
Flavio Morini
Carlo Ottone
Giovanni Pagano
Mimmo Pappaterra
Annamaria Parente
Giuseppe Parroncini
Eugenio Patanè
Stefano Patrizi
Simonetta Pellegrini
Lorena Pesaresi
Gianni Piatti
Donato Piglionica
Michele Petraroia
Francesco Petretti
Massimo Pintus
Vincenzo Pisegna
Alessandro Portinaro
Luigi Quarchioni
Ermete Realacci
Fabio Renzi
Maria Grazia Ricci
Francesca Ridolfi
Edo Ronchi
Anna Rossomando
Giampiero Sammuri
Sergio Santini
Andrea Sarubbi
Salvatore Scaglione
Massimo Scalia
Gabriela Scanu
Sergio Soave
Rosa Sorrentino
Giuseppe Stasolla
Gianluca Susta
Francesca Tecce
Umberto Trezzi
Alessandra Vaccari
Enzo Valbonesi
Marco Vannini
Osvaldo Veneziano
Simone Verde
Fabrizio Vigni
Silvia Zamboni
Edoardo Zanchini
Luigi Zanda

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