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Ecodem: “Il nucleare è una scelta contro i cittadini”

 

“Dalla lettura del resoconto del viaggio organizzato dall’Enel per i giornalisti italiani presso il cantiere della centrale di Flammanvile emergono due elementi molto interessanti: il primo è sulla scelta dei siti che l’Enel ‘suggerisce’ e il secondo è sulle modalità  di finanziamento che la nostra azienda elettrica pensa siano necessarie per garantire l’ingente finanziamento richiesto per la costruzione dei 4 impianti nucleari che vuole costruire”: questo il commento di Francesco Ferrante, dell’esecutivo nazionale Ecodem.
 

“Per quanto riguarda i siti – continua Francesco Ferrante – apprendiamo che il luogo principale del nuovo nucleare italiano sarebbe Montalto di Castro (nel Lazio) deve verrebbero ospitati ben due reattori! A volte ritornano si potrebbe dire, quel sito è infatti stato teatro del primo tentativo nucleare italiano e su quel sito si sono sprecate ingentissime risorse economiche proprio per rimediare all’errore commesso allora, passando da riconversione a riconversione.
 

“Siamo quindi all’ennesima puntata di una vicenda infinita. Continuando gli altri due siti sarebbe da individuare uno al nord (Trino in Piemonte o Caorso in Emilia Romagna, se si scegliesse di seguire la strada dei vecchi impianti) e uno al Sud. In questo ultimo caso la regione candidata sarebbe probabilmente la Puglia. C’è un particolare che però si trascura – prosegue -: tutte le Regioni interessate hanno dichiarato di essere contrarie ad ospitare una centrale sul proprio territorio e hanno fatto ricorso alla Corte Costituzionale contro la legge del governo che le espropria a delle proprie prerogative. Insomma se non si ricorre all’esercito, come d’altronde lascia intendere lo stesso Silvio Berlusconi, sarà  difficile che quei progetti vadano avanti nei siti che si immaginano oggi”
 

“L’altro punto molto interessante – conclude l’esponente degli Ecologisti Democratici – sono le modalità  di finanziamento che immagina Enel e che sono emerse dall’incontro con la stampa: si pensa di fissare delle tariffe elettriche che garantirebbero le banche coinvolte nell’imponente project financing necessario alla costruzione di 4 impianti; le cifre variano dai 20 a 30 miliardi di euro, con buona pace del mercato e dei diritti dei consumatori! Cosa succederebbe se i prezzi dell’energia elettrica in futuro calassero come è già  avvenuto in passato e come possibile in futuro? Per i consumatori italiani legati al cappio nucleare nulla: continuerebbero a pagare la stessa cifra. Certo non varrebbe il contrario se invece i prezzi salissero. insomma la leggenda per cui il nucleare sarebbe necessario per diminuire il costo dell’energia elettrica si conferma appunto una favola”.

Ferrante, ecodem: “ Messina, un disastro annunciato”

 

“Dolore, cordoglio per le vittime, ma anche rabbia per un disastro prevedibile e che si poteva e doveva evitare”: questo il commento di Francesco Ferrante, dell’esecutivo nazionale degli Ecologisti Democratici, sul nubifragio e le frane che hanno colpito la città  di Messina.
 
“In questo paese sono troppe le situazioni in cui il connubio disastroso tra dissesto idrogeologico e abusivismo tollerato, se non incentivato grazie ai numerosi condoni e alle complicità  locali, determinano una situazione di rischio che troppo spesso diventa concreta tragedia con il suo carico di morti, sofferenze e dolore”.
 
“E’ proprio per questo – conclude Francesco Ferrante – che non possiamo accettare che per il dovuto cordoglio qualcuno chieda di non sollevare polemiche che invece sono necessarie. C’è soltanto una grande opera davvero indispensabile (altro che Ponte sullo Stretto!) ed è rappresentato dalla messa in sicurezza del territorio e la difesa del suolo. Proprio quei temi dai quali questo governo continua a drenare risorse: manifestando un comportamento grave, reticente ed irresponsabile”.

Ferrante (Legambiente): La Rivoluzione verde con gli OGM in Africa non è necessaria

Intervista di Stefania Taruffi, pubblicata sul web magazine Periodico Italiano.

 

Nell’ambito della giornata di studio internazionale organizzata dall’ Ateneo Pontificio Regina Apostolorum insieme all’ Università  Europea di Roma si è parlato di “Una rivoluzione verde in Africa – Lo sviluppo è il nuovo nome della pace”, focalizzando l’attenzione sul tema dello sviluppo agricolo in Africa.
La posizione della Chiesa e della Fao è stata in quella sede nettamente a favore della necessità  di incrementare la produzione di cibo in Africa per affrontare il problema della fame e soprattutto dell’utilizzo degli Ogm (organismi geneticamente modificati) in agricoltura, quale condizione determinante per favorire lo sviluppo agricolo. Di contro però, già  dagli anni ’60 gli ambientalisti di tutto il mondo continuano a sottolineare invece i danni che tali semi modificati possono produrre sull’ambiente e sull’uomo.
Vari gruppi di ambientalisti occidentali già  allora esercitarono forti pressioni sulla ‘Green Revolution’ di Borlaug, soprattutto in Africa, impedendone di fatto la realizzazione.
Spiega il Dr. Francesco Ferrante, Responsabile Agricoltura e membro della Segreteria Nazionale di Legambiente che “non si hanno abbastanza certezze che le colture da semi Ogm non riducono e compromettono la biodiversità  del territorio. Le piante prodotte con semi modificati sono molto resistenti e quindi invasive”. E ricorda che “in realtà  con gli Ogm i rischi potenziali e spesso rilevati ci sono, lo abbiamo visto con la vicenda della multinazionale americana Monsanto, specializzata in biotecnologie agrarie”.
Ricordiamo che il mais Ogm prodotto da questa azienda era stato approvato dalla Commissione Europea per il consumo umano. In seguito, una revisione dei dati della sperimentazione, voluta e promossa da Greenpeace, ha dimostrato effetti tossici sui reni e sul fegato. Ricorda inoltre Ferrante che “nessuna compagnia assicurativa assicura i produttori di Ogm dai disastri ambientali rilasciati dal loro utilizzo nell’ambiente, anche questo è un dato indicativo”.
E rispetto alla ‘rivoluzione verde’ Ferrante sostiene che “di fatto non è mai avvenuta perché non ha risolto affatto il problema della fame nel mondo e continuano a morire milioni di persone”. Il Responsabile Agricoltura di Legambiente afferma dunque che “non esiste al momento un problema di mancanza globale di cibo, ma quello di una corretta distribuzione delle produzioni. Non serve dunque aumentare la produttività , di conseguenza non servono semi geneticamente modificati. Occorre piuttosto sostenere i paesi sottosviluppati con una politica di ‘miglioramento delle tradizionali tecniche agricole’, favorendo l’introduzione di macchine, di tecniche di coltura tradizionale più evolute, la creazione di sistemi di irrigazione e così via”.
Concetto che trova riscontro nelle parole del contadino africano intervistato in occasione della giornata internazionale sulla Rivoluzione verde in Africa di cui sopra, Motlatsi Musi, che ai vantaggi economici e produttivi ottenuti con i semi Ogm evidenziava anche un grande problema: “La mia produzione con l’utilizzo dei semi di mais modificati è aumentata sì del 40%, ma spesso mi trovo nella condizione di avere un’eccedenza produttiva che non so come smaltire rispetto alla richiesta locale. Il mio vero problema è la distribuzione commerciale del surplus ad altre regioni con meno produttività ”.
Inoltre nel discorso di Musi emergeva anche che con i guadagni del suo lavoro agricolo egli ha potuto acquistare un mulino a mano, una seminatrice automatica e una pompa per portare acqua alle sue coltivazioni. Il che denota, come è facile immaginare, una generale mancanza di attrezzature agricole che esula dal problema dei semi Ogm e rientra in generale nella necessità  di un programma di investimenti mirati nel settore agricolo.
Ferrante di Legambiente sostiene inoltre che “il problema sono le multinazionali che puntano a vendere i semi Ogm da loro brevettati ai contadini africani i quali non hanno più la proprietà  dei loro semi”. Il continente africano va sicuramente aiutato. Ma non aumentando la sua capacità  produttiva senza tenere conto dell’ambiente, della popolazione indigena che vive spesso in tribù la cui economia è basata sulla rotazione agricola, proprio a causa delle difficili condizioni ambientali. L’equilibrio dell’uomo con il territorio nel quale vive non può non passare dalla ragionevolezza, ovvero in una sostenibilità  di questo rapporto non solo attraverso la tecnologia ma anche e soprattutto attraverso un sistema ben applicato di relazioni sociali interne ed esterne miranti a favorire un processo di evoluzione naturale e migliori scambi commerciali con altri paesi produttori.

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