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AGRICOLTURA: NUOVE NORME UE FITOFARMACI

“un piccolo ma necessario passo avanti per la tutela dei consumatori che non potrà  affatto influire negativamente sul mercato. Ora si rivedano anche le procedure autorizzative e il problema del multiresiduo”

L’Ue ha finalmente sancito il divieto d’uso di 22 sostanze chimiche potenzialmente cancerogene e pericolose per il sistema endocrino, per la realizzazione dei pesticidi utilizzati in agricoltura.

“Questa nuova normativa – ha dichiarato Francesco Ferrante, responsabile agricoltura di Legambiente – costituisce un piccolo ma utile passo avanti nella tutela dei consumatori e degli operatori del settore facilmente a contatto con questi elementi, mentre appare del tutto ingiustificato l’allarmismo di Agrofarma relativo al presunto danno per le colture e per il mercato, visto che già  esistono in commercio diversi composti con le medesime funzioni”.

Nell’ultima indagine condotta da Legambiente sulla presenza dei pesticidi, su 124 campioni di frutta analizzati e risultati contaminati da una o più sostanze chimiche, solo uno conteneva una di quelle messe al bando ieri dall’Ue.

“La scelta di eliminare sostanze potenzialmente pericolose per la salute e di promuovere tecniche alternative per la difesa delle colture agricole – ha aggiunto Ferrante – fa ben sperare per il futuro di un settore importante per l’Italia quale quello dell’agricoltura biologica e di qualità . Ora però è necessario compiere un ulteriore e decisivo passo avanti e rivedere sia le procedure autorizzative delle sostanze permesse che la normativa (attualmente inesistente) sul multiresiduo, e cioè sulle sinergie legate alla presenza contemporanea di diversi principi attivi su un medesimo prodotto”.

 

Un galantuomo nella palude e la questione morale

Da vent’anni conosciamo Fernando Di Mezza, l’assessore di Napoli agli arresti domiciliari da mercoledì. Ci accomunano la militanza ambientalista e una più recente, condivisa scelta di appartenenza politica. Siamo certi, assolutamente certi, della sua innocenza e della sua onestà , e conoscendolo bene lo immaginiamo in queste ore determinato a dimostrare la sua pulizia ai magistrati e all’opinione pubblica. Siamo altrettanto fiduciosi che i magistrati sapranno distinguere il grano dal loglio, e che la verità  dei fatti darà  ragione a Di Mezza. Speriamo solo che ciò avvenga presto e non si lasci un galantuomo nella palude delle accuse per troppo tempo.

Più difficile sarà  per Fernando scrollarsi di dosso un’immagine che gli è stata appiccicata in questi giorni in cui tutte le vacche sembrano nere, e persino uno come lui che ha passato una vita nell’impegno contro la criminalità   e le  ecomafie che attanagliano la sua terra, si trova confuso in una sorta di “gramelot” indistinto che tende a rappresentare tutti quelle toccati dalle inchieste in corso, politici e imprenditori, a prescindere dalle storie e responsabilità  specifiche di ciascuno, come complici di un unico, immenso malaffare.

Non è così evidentemente. Ma – e qui il tema si fa inevitabilmente politico e interroga direttamente e pesantemente il Partito Democratico – per uscire da questo pantano occorre che tutti noi Democratici troviamo una nuova e più forte determinazione sulla questione morale. Una determinazione che finora, duole dirlo, è mancata. Non si tratta solo o tanto di reclamare la cacciata dal nostro partito dei disonesti e dei corrotti: questo è o dovrebbe essere scontato. Al Pd serve molto di più, serve prendere di petto con rigore e con rapidità  un modo di fare politica che troppo spesso fa perdere di vista il confine, che invece deve essere invalicabile, tra politica e difesa del bene comune da una parte, e interessi privati – anche legittimi – dall’altra. Il cammino di costruzione del Partito Democratico ha finora eluso questo problema, cui invece (e noi diciamo: per fortuna) i nostri elettori sono molto sensibili, più magari di chi vota per il centrodestra come anche le recenti elezioni in Abruzzo hanno confermato. Il progressivo cristallizzarsi in correnti del nostro nuovo partito, se possibile ha peggiorato ulteriormente la situazione di partenza: più la corrente è “forte”, e più spesso a livello territoriale sceglie come propri rappresentanti personaggi discussi e discutibili. Che magari sbandierano i loro legami a doppio filo con questo o quel gruppo d’interessi come “radicamento territoriale”.

La politica, la buona politica delle lezioni di Walter Veltroni, quella per cui è nato il Pd e in nome della quale tre milioni e mezzo di italiani hanno partecipato alle primarie di un anno fa, è un’altra cosa. Tocca a noi farla vivere, nei Palazzi romani e tra le persone in giro per l’Italia, altrimenti  questa che resta la migliore sfida possibile per modernizzare e riformare il nostro Paese  annegherà  in un mare di sfiducia, di rassegnazione, di disincanto.  Insomma per non scivolare il Pd deve cominciare a correre, liberarsi di indecisioni e cautele eccessive: solo così, se alzeremo con forza e con orgoglio la bandiera di una politica pulita e decisa, la nostra rivendicata vocazione maggioritaria non resterà  come una stanca formula retorica.

 

Roberto Della Seta
Francesco Ferrante

Clima. Le bugie del governo

Da grandissimo, geniale illusionista qual è sempre stato, Silvio Berlusconi è riuscito a far passare l’accordo sul pacchetto clima della Ue , l’ormai celebre “20-20-20” contro i mutamenti climatici, come un successo trionfale suo e del suo Governo: “Ci hanno dato soddisfazione su tutto – così il premier -, meglio non poteva andare”. 

In realtà , quasi tutte le richieste di Roma non sono state accolte: per constatarlo basta confrontare i contenuti dell’accordo con le dichiarazioni sul tema rese quasi quotidianamente negli ultimi due mesi da Berlusconi, dai suoi ministri, dalla presidente di Confindustria che è stata la più autorevole suggeritrice del tentativo di boicottare il pacchetto.

In una prima fase, il Governo ha chiesto che l’adozione del pacchetto clima venisse rinviata di almeno un anno, perché troppo costosa per l’Italia e perché incompatibile con l’attuale, drammatica crisi economica. Da Bruxelles, da Parigi, da Londra, da Berlino è stato risposto che i costi lamentati da Roma erano largamente “gonfiati” e che le misure necessarie per fronteggiare i mutamenti climatici – più efficienza energetica, più energie pulite – torneranno utili anche per rispondere alla recessione perché serviranno ad alleggerire i costi energetici a carico delle famiglie e delle imprese, a favorire la nascita di molti posti di lavoro nei settori legati all’innovazione energetica, a ridurre le importazioni di petrolio. Risultato? L’accordo si è fatto, gli obiettivi inizialmente previsti (-20% sulle emissioni dannose per il clima, più 20% di efficienza energetica, almeno il 20% di energie pulite) non sono stati toccati.  

Fallito l’obiettivo principale, Berlusconi ha avanzato una serie di proposte subordinate rivolte a svuotare di fatto l’efficacia del pacchetto clima, ma anche questo “piano B” non ha avuto molto successo. Bocciata la proposta (non condivisa nemmeno dalle organizzazioni degli industriali degli altri Paesi europei) di esentare dal pagamento delle quote di emissione il settore termoelettrico. Bocciata la richiesta di inserire una “clausola di revisione” al 2009, dopo la conferenza Onu di Copenaghen, con la quale i “nostri” volevano mettere nero su bianco il concetto che se in Danimarca non si troverà  l’accordo, il pacchetto clima sarebbe tornato in discussione. Bocciata la richiesta di abbassare per l’Italia l’obiettivo di produzione di energia da fonti rinnovabili da raggiungere entro il 2020 (pretesa oltre modo “tafazziana” per il “Paese del sole”, che dallo sviluppo delle rinnovabili potrebbe trarre enormi benefici anche economici). Infine, l’ultima bugia: l’Italia avrebbe strappato la garanzia di una speciale protezione per i propri settori industriali a rischio delocalizzazione. Anche questo è falso: il meccanismo inserito nell’accordo protegge (consentendo loro di pagare un po’ meno per le quote di emissione) soprattutto quei settori manifatturieri, quali la siderurgia, molto cari alla Germania, mentre lascia nell’incertezza su quanto pagheranno (un’incertezza che non si scioglierà  prima del 2010) i settori più importanti per il sistema industriale italiano quali il vetro, la carta, la ceramica. Insomma, per l’industria manifatturiera italiana hanno fatto molto di più le riservate pressioni dei  tedeschi che non le scomposte minacce di veto del nostro premier.

Resta allora una domanda: come è possibile che quasi tutti i giornali e i telegiornali italiani, con rare eccezioni, abbiano dato totale credito alle frottole di Berlusconi? Certo non è l’unico caso in cui il nostro sistema mediatico mostra di sentirsi ancora pienamente in “luna di miele” con il Governo, ma su questo tema si evidenzia un problema in più: la pigrizia e l’ignoranza di troppi nostri “informatori”. Un buco da colmare rapidamente visto che come dimostra l’esito dell’ultimo consiglio europeo, come testimoniano con forza ancora maggiore le prime scelte del presidente eletto Usa Barack Obama,  la questione ambientale e quella connessa della lotta ai mutamenti climatici sono oggi e saranno sempre di più al centro dell’agenda politica e dello stesso cammino per dare risposte rapide, efficaci, innovative ai rischi di collasso dell’economia.

 

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