Una scommessa green per dare una “vision” al Pd
L’avvio del dibattito congressuale nel Pd è sconfortante. Lo è nelle dichiarazioni dei protagonisti di prima fila, ma anche di molti comprimari di seconda e terza: tutti a dire che bisogna confrontarsi sui contenuti ma quasi nessuno che cominci, molti a dire che servirebbe una terza candidatura capace di “sparigliare” ma nessuno che si faccia veramente avanti. I media da parte loro, in particolare quelli “di riferimento”, non danno grandi stimoli: il massimo colpo d’ala è celebrare come i “giovani” del Pd un gruppo di persone che viaggia verso la cinquantina e che, di nuovo, passa il tempo a reclamare che si discuta di contenuti senza mai sviscerarne uno. Giovani che hanno la stessa età di Zapatero, Blair, Obama quando sono diventati leader, e qualche anno di più di Walter e Massimo – remake in salsa Pd della “strana coppia” Lemmon-Matthau – quando si contendevano la segreteria del Pds (allora, ci pare, si chiamava così).
In queste ore a Roma come nei mitici “territori” si vanno schierando gli eserciti per una battaglia interna in cui sarà difficile rintracciare chiare differenze sui principali punti dei programmi dei candidati: il nuovo welfare, con annessa difesa dei più deboli e ricette per rilanciare economia; la sicurezza; la politica estera. Come notava giustamente questo giornale, saranno programmi figli del “ma-anchismo” veltroniano, lontani mille miglia dalla necessità , vitale per il Pd, di darsi un’identità non si pretende definitiva, ma che almeno non si limiti alla somma di due tradizioni non proprio attualissime (post-Pci, ex-Dc) o alla chiamata alle armi contro l’anomali Berlsuconi o, per converso (ma sono due facce della medesima medaglia: l’incertezza di ciò che si è), alla rincorsa dei temi e della parole d’ordine della destra. Fino adesso di questo sforzo non c’è traccia, e la questione ambientale è un’ottima cartina di tornasole di questo deficit di visione. Proprio nei giorni in cui Obama fa approvare dal Congresso Usa una legge che è una vera “rivoluzione” – l’introduzione del sistema “cap-and-trade” per le emissioni di CO2 che alimentano il “global warming” -, destinata a cambiare il volto della più grande e potente economia mondiale nel segno della “green economy”, di questo tema nel Pd italiano nessuno parla più, eccezion fatta per il solito manipolo di ecologisti e per un breve seppur meritorio (visto l’andazzo) accenno di Franceschini nel suo primo discorso da “candidato leader”. Non se ne parla nel Pd e se ne parla pochissimo sui giornali: anzi il più diffuso quotidiano nazionale si impegna in un ridicolo tentativo di minimizzare portata ed effetti della svolta ambientalista obamiana, mentre l’organo di Confindustria semplicemente ignora questa “trascurabile” notizia. Cosa dovrebbe dire sul tema un partito di opposizione? Un partito che voglia definire in modo chiaro e credibile la propria identità progressista, e che avrebbe tutti i titoli per guidare questa ricerca e questa elaborazione in un’Europa dove la sinistra (socialista) mostra tutta la sua decrepita stanchezza? A noi sembra chiarissimo: dovrebbe sposare con coraggio la “ragione ambientale”, farne un centro del suo discorso pubblico, della sua proposta ai cittadini. Dovrebbe dire che se l’Italia perde il treno della “green economy” – e finora non c’è salita, che governasse la destra o la sinistra -, diventerà rapidamente un Paese più povero, più marginale, con molti più problemi di occupazione e di declino industriale.
Negli Stati Uniti, Thomas Friedman commentando l’approvazione della nuova legge sui cambiamenti climatici si è spinto a proporre una tassa sulla benzina di 1 dollaro a gallone. C’è qualcuno in Italia, qualcuno che si voglia candidare a guidare il più grande partito d’opposizione, che sia capace di eguale coraggio e di un così radicale spirito d’innovazione? Se c’è batta un colpo, altrimenti il film del congresso continuerà secondo i riti di uno stanco, stucchevole regolamento di conti interno, e un numero sempre crescente di spettatori sarà tentato di tornarsene a casa o di cambiare sala.
Roberto Della Seta
Francesco Ferrante