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Smentite le cassandre. Obama e il premier cinese a Copenaghen

OBAMA VA A COPENHAGEN E METTE SUL PIATTO UNA PROPOSTA PESANTE. ANCHE LA CINA SI MUOVE. BERSANI VADA ANCHE LUI AL VERTICE E
IL PD SI INTESTI CON PIU’ CONVINZIONE LA QUESTIONE AMBIENTALE

“Tante Cassandre negli ultimi tempi avevano preannunciato il fallimento per
la conferenza sul clima di Copenhagen, e altrettante hanno parlato di una
conferenza nata morta. Non era così, l’abbiamo ripetuto più volte con
convinzione, ed oggi, da una parte, l’impegno di Barack Obama di mettere sul tavolo dei
negoziati una proposta concreta sul taglio delle emissioni di CO2, dall’altra la storica svolta cinese che per la prima volta si impegano con numeri concreti nella riduzione delle emissioni,  aprono la strada al raggiungimento di un nuovo accordo internazionale che sostituisca
il protocollo di Kyoto.” Lo dichiarano i senatori del Partito democratico
Roberto Della Seta e Francesco Ferrante.
“A questo punto – continuano gli esponenti ecodem – per forza di cose, anche
i più forti detrattori di un accordo per la  riduzione delle emissioni di
gas serra come Berlusconi saranno a Copenhagen. Avevamo auspicato nei giorni
scorsi che Copenhagen fosse tra i primi, simbolici viaggi all’estero di
Bersani: l’appuntamento è ora ineludibile perché l’ambiente è un tema di
prima fila nel discorso pubblico di tutte le grandi forze riformiste, che si
chiamino socialiste, democratiche, liberali o verdi. L’impegno ambizioso  di
Obama è anche la miglior risposta a chi, come il ministro dell’Ambiente
Prestigiacomo, continua a utilizzare la presunta timidezza americana sulla
riduzione delle emissioni di CO2 come pretesto per giustificare un eventuale
fallimento.”
“Ora nessuno può più nascondersi, tantomeno il Partito democratico che deve
intestarsi con più convinzione la questione ambientale, vero fianco scoperto
presso la pubblica opinione, che guarda a Copenhagen con più fiducia e
certezza di quanta ne abbiano dimostrata fin qui i rappresentanti di una
forza che si proclama progressista e riformatrice. ” -concludono Ferrante e
Della Seta. 

Il Senato dia il buon esempio: etichetti le oliere alla buvette

Il Senato dia il buon esempio ed etichetti le oliere della buvette con l’obbligatoria classificazione d’origine dell’olio. La Commissione europea ha adottato nel marzo di quest’anno un nuovo regolamento che rende obbligatoria l’etichetta d’origine per l’olio d’oliva vergine ed extra vergine. Abbiamo ora a disposizione uno strumento prezioso per difendere ancora meglio i nostri produttori di olio e per tutelare i consumatori ed uno dei migliori prodotti del made in Italy. Ma la legge, che in Italia vige dal 2007, rimane largamente inapplicata negli esercizi pubblici, e paradossalmente sono ‘fuorilegge’ anche le oliere del ristorante e  della buvette  del Senato”. Lo ha detto il senatore Francesco Ferrante, intervenendo oggi in Aula per sollecitare la risposta  all’interrogazione del Pd, prima firmataria la senatrice Mongiello, che chiede al governo italiano di vigilare perchè sia garantito il consumo e la distribuzione di olio etichettato a norma nei pubblici servizi e nei diversi punti vendita.  “La decisione della Commissione europea – continua l’esponente ecodem –  fornisce al consumatore la possibilità  di distinguere il prodotto italiano dagli oli di oliva provenienti dagli altri Paesi comunitari e non comunitari. E’ paradossale che sfuggano al rispetto della normativa proprio le oliere della buvette del Senato, perché, è opportuno ricordarlo, l’indicazione d’origine sull’etichettatura dell’olio d’oliva è un elemento fondamentale per tutelare il ‘made in Italy’ dall’assalto della pirateria alimentare, e rappresenta la risposta ferma alle esigenze sia dei consumatori e dei produttori. Il ministro Zaia – ha concluso Ferrante – intervenga dunque urgentemente con una incisiva attività  di controllo, che sia svolta nei diversi punti vendita, nonché nella grande distribuzione organizzata, per garantire e monitorare il rispetto e l’effettiva attuazione sul mercato nazionale della normativa comunitaria”.

Copenaghen non è fallita

La conferenza di Copenaghen sui cambiamenti climatici è già  fallita, come si sono affrettati a dichiarare i media italiani all’indomani del vertice Cina/Usa della settimana scorsa? O addirittura è finita prima di cominciare come afferma Farinone su questo giornale in un editoriale pubblicato sabato? A me pare piuttosto solo una lettura affrettata dello stato delle trattative internazionali, dovuta a una discreta ignoranza dei problemi connessi ai cambiamenti climatici comune a molti giornalisti e politici italiani e spinta da una consistente lobby di alcuni settori economici contraria – ancora! – a qualsiasi accordo internazionale sul tema. Copenaghen non è affatto già  fallita, anzi resta intatto il valore fondamentale dei dieci giorni di dicembre che forse non “cambieranno il mondo”, ma che possono costituire un importante passo per un nuovo approccio al governo mondiale dei conflitti. Dal 1992, quando alla Conferenza Onu di Rio de Janeiro, si firmò la prima Convenzione sui cambiamenti climatici, su questo tema si è giocata una partita fondamentale che andava oltre la stessa, vitale per il Pianeta e per il nostro futuro, della riduzione delle emissioni di gas di serra: la questione ambientale per la sua stessa natura planetaria era la prova fondamentale per costruire una “governance” globale dei conflitti basata sugli accordi multilaterali e non sulle prove muscolari. L’inizio del millennio, con la vittoria di Bush – e delle lobby petrolifere che lo sostenevano – e con l’11 settembre e la risposta di guerra decisa da quell’amministrazione è stato un drammatico passo indietro. Oggi, grazie soprattutto ad Obama, siamo di fronte a una nuova chance. La si può vincere solo ovviamente coinvolgendo anche quei Paesi emergenti che sono fra i massimi responsabili delle emissioni di gas di serra. E allora, se è sacrosanto che gli ambientalisti di tutto il mondo continuino a battersi per il risultato più alto possibile, è proprio miope che la nostra classe dirigente consideri più importante il fatto che Obama e Hu abbiano detto quello che tutti sanno ormai da quest’estate, e cioè che a Copenaghen non si arriverà  a definire target precisi e che questo obiettivo è rinviato alla Conferenza di Città  del Messico dell’anno prossimo, e non sul fatto che per la prima volta i cinesi, trascinati da Obama appunto, si sono impegnati a raggiungere un accordo “politicamente vincolante”. Una novità  straordinaria – che infatti è il punto su cui si soffermano i più autorevoli media internazionali – , ancora più significativa se la si mette insieme all’eccezionale balzo in avanti che le energie rinnovabili stanno facendo in Cina. Certo restano ostacoli enormi al raggiungimento dell’accordo, a partire dall’impegno economico che i Paesi ricchi dovranno sostenere per il trasferimento delle tecnologie più innovative. Ed è qui che l’Europa dovrebbe fare uno sforzo maggiore per conservare quella leadership che si è conquistata, soprattutto grazie all’azione della Germania, nella lotta ai cambiamenti climatici e che in questi anni è stato anche uno straordinario driver di nuovo sviluppo, e la risposta più efficace individuata nell’affrontare la crisi economica. Purtroppo in tutto questo l’Italia non c’è: il suo Governo è fuori dal cuore delle trattative; il Ministro dell’ambiente e la Presidente di Confindustra si preoccupano solo di “frenare”. Dovrebbe essere quindi il Partito Democratico a prendere in mano la bandiera dell’ambientalismo politico e incaricarsi di dare rappresentanza a tutti quei cittadini e a quelle imprese che su un futuro migliore stanno scommettendo. Avrebbe davanti a sé uno straordinario campo dove mietere consenso e costruire il proprio profilo di partito che vuole offrire un’alternativa a questa destra e al berlusconismo, per tornare a l Governo e cambiare questo Paese. Purtroppo anche il Pd di oggi sembra troppo indeciso, e non è certo un bel segnale che fra le parole d’ordine scelte per lanciare la mobilitazione dell’11 e 12 dicembre non c’è nemmeno una che riguardi questi temi. Proprio nei giorni di Copenaghen!

 

FRANCESCO FERRANTE 

 

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