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Clima: il Governo non faccia rimanere in coda l’Italia

“Il governo italiano non può far rimanere in coda l’Italia, ma deve cominciare a svolgere un ruolo di traino, insieme all’Unione europea, per portare al successo la trattativa di Copenaghen, che tutto fuorché già  fallita, ma che al contrario avrà  una grandissima importanza per lo sviluppo del nostro Paese neii prossimi decenni”. Lo ha detto il senatore Francesco Ferrante, vicepresidente del kyoto club nel corso del convegno dal titolo “Per un nuovo trattato sul clima”, organizzato da Kyoto club e dalla Fondazione per lo Sviluppo Sostenibile presso il Senato oggi a Roma.
“L’Unione europea – ha spiegato Ferrante – arriva alla Conferenza di Copenaghen con una posizione di avanguardia che ha già  giovato, oltre che alla buon esito delle trattative per la riduzione delle emissioni, anche alle imprese europee che si sono giustamente lanciate nella green economy. Il governo italiano ha avuto finora un atteggiamento tentennante, con reminescenze negazioniste che, vorrei sottolinearlo, danneggiano anche l’economia del nostro Paese. E’ chiaro dunque che il governo dovrebbe giocare a Copenaghen un ruolo più incisivo. Il modo più efficace e diretto per sostenere la trattativa di Copenhagen e per essere pronti ad attuare il prossimo Trattato per il clima è quello di compiere un cambio deciso di passo, attraverso: la definizione, d’intesa con le Regioni, di un programma di sviluppo delle energie rinnovabili articolato regionalmente, per realizzare l’obiettivo del 17% del consumo finale lordo al 2020, e di un parallelo programma d’azione per il risparmio e l’efficienza energetica; l’aggiornamento del sistema di incentivi per l’elettricità  da fonti energetiche rinnovabili; la rimozione degli ostacoli alla più rapida diffusione delle rinnovabili, a partire dall’adeguamento della rete elettrica e dalle semplificazioni delle autorizzazioni; gli interventi per l’efficienza energetica negli usi finali, a partire dagli edifici pubblici, sostenendo in particolare gli impegni europei del Patto dei Sindaci; la definizione di nuovi standard di efficienza energetica e miglioramento dei sistemi di finanziamento degli interventi; il rilancio del programma “Industria 2015” finalizzato allo sviluppo di imprese verdi nei settori dell’energia, nello sviluppo di produzioni e prodotti innovativi a basso impatto, del riciclo e dei nuovi materiali da materia prima rinnovabile; la definizione di un piano per la mobilità  sostenibile che definisca obiettivi di riduzione delle emissioni, prodotte in gran parte dalle modalità  di trasporto più inquinanti; la promozione dei consumi sostenibili e degli acquisti pubblici verdi per favorire soluzioni a basso impatto e prodotti ecologici “.

Ispra: inaccettabile che Prestigiacomo si rifiuti di incontrare i precari

“E’ inaccettabile che il ministro dell’ambiente Prestigiacomo rifiuti d’incontrare i lavoratori precari dell’Ispra mobilitati per difendere il lavoro. Ed è inaccettabile che ad oltre un anno dalla nascita dell’Ispra, che ha accorpato i tre principali enti pubblici di ricerca e di controllo in campo ambientale, e dalla nomina del commissario, l’istituto e chi ci lavora vivano ancora nella più assoluta incertezza sul futuro, senza nemmeno lo straccio di un regolamento”. Lo hanno detto i senatori del Pd Roberto Della Seta e Francesco Ferrante, al termine dell’audizione di una delegazione di lavoratori dell’Ispra presso la Commissione Ambiente del Senato, da loro richiesta e che si è svolta alla presenza del presidente della commissione Antonio D’Alì.
“Nel caso dell’Ispra – hanno sottolineato i due parlamentari del Pd – ad essere precari non sono soltanto centinaia di lavoratori che stanno perdendo o rischiano di perdere nelle prossime settimane il lavoro: precario è l’intero istituto, chiamato a svolgere un ruolo essenziale nell’interesse dei cittadini e lasciato invece in uno stato di totale abbandono. I ricercatori dell’Ispra sono un patrimonio di intelligenze e di competenze che andrebbe salvaguardato e valorizzato. L’Italia senza un sistema forte e credibile di ricerca e controllo ambientale sarà  sempre di più un Paese di serie B”.

Occasione Termini Imerese

Nella crisi, le cui conseguenze sociali non sono affatto terminate, la vicenda di Termini Imeese è davvero emblematica. Lo è per molti motivi: perché riguarda la più importante industria italiana, quella indissolubilmente legata, nella realtà  e nel nostro immaginario collettivo, ai destini dell’intero Paese; perché coinvolge migliaia di lavoratori; perché interessa l’area più fragile, il Mezzogiorno. Ma rischia di essere emblematica anche dell’incapacità  di avere lo “sguardo lungo” necessario per uscire dalla crisi in modo stabile.

La domanda da farsi è se è davvero intestardirsi nel trovare il modo di continuare a costruire automobili in quello stabilimento, il modo migliore per rispondere alle preoccupazioni dei lavoratori e delle loro famiglie o se piuttosto bisognerebbe sfruttare questa crisi drammatica per costruire un’ipotesi diversa e più solida. E’ sicuro che si deve difendere con forza la vocazione industriale di Termini e che si devono chiedere garanzie molto più forti alla Fiat di quante l’azienda sino adesso sembra disposta a concedere. Molto meno credibile è chiedere che si aumenti la produzione di automobili nel nostro Paese. Dobbiamo al contrario considerare l’idea che in futuro se ne produrranno sempre meno. E, almeno in questa parte del mondo, si tratta di un futuro immediato. Infatti se prendiamo sul serio il trend di uscita dall’”era del fossile”, e bisogna farlo a meno di non considerare tutte le più significative leadership mondiali – da Obama alla Merkel, da Sarkozy all’intero panorama politico britannico – dei cantastorie, dobbiamo anche considerare il fatto che inevitabilmente si dovrà  marciare oltre quella “civiltà  dell’automobile” che ha segnato la storia del secolo scorso. Sta già  succedendo, e succederà  anche in Italia che vanta l’indegno primato europeo del trasporto delle merci su gomma (il 78%). Certo modificare il modo in cui muoviamo persone e merci costituisce una rivoluzione persino più importante di quella energetica, ma non è solo indispensabile per affrontare i cambiamenti climatici è anche la strada obbligata per liberarci dalla dipendenza dalle importazioni di petrolio.

Ma allora se questo è il futuro che ci attende, non utopia, ma realtà  concreta che certo avrebbe bisogno di “visione” nelle leadership, che senso ha destinare i fondi, i contributi che alla fine verranno fuori nella trattativa tra Fiat e istituzioni (Governo e Regione), a tenere in vita artificialmente una produzione “non conveniente”, rimandandone la morte inevitabile di qualche mese o al più di qualche anno? Non sarebbe meglio prendere sul serio l’idea di utilizzare Termini per un polo delle energie rinnovabili dove si fa ricerca e si costruiscono materialmente gli impianti puntando con forza sull’innovazione tecnologica? Spendere quei soldi non “a fondo perduto” ma per riconvertire quell’industria  e dare un futuro davvero duraturo a quei lavoratori? Non sarebbe questo l’inizio finalmente di un vero Piano Sud che punti a mettere in grado il nostro Mezzogiorno di sfruttare le proprie risorse? Per farlo però abbiamo bisogno di liberarci dal riflesso condizionato per cui di fronte alla crisi l’unica risposta che sappiamo trovare è la difesa dell’esistente, sempre e comunque. Un vizio non solo della destra conservatrice che nulla vuole cambiare, un vizio troppo spesso anche nostro, del centrosinistra che così manca alla sua vocazione riformista. Proviamo a liberarcene, forze politiche e sindacali, proviamo a trovare risposte originali e dense di speranza proprio a partire da Termini Imprese.  Forse così non si sprecherebbe la crisi e si coglierebbe l’occasione per costruire un futuro migliore.

 

FRANCESCO FERRANTE

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