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Capodogli spiaggiati in Puglia: inquinamento bianco affligge il nostro ambiente

“Attendiamo i risultati dell’unità  operativa che si sta occupando di appurare i motivi dello spiaggiamento e della morte dei capodogli sulla costa pugliese, ma la presenza di un gran quantitativo di buste di plastica nello stomaco dei cetacei è un pessimo segnale per la salute del nostro mare.  Era stata annunciata per il 1° gennaio 2010 nella Finanziaria del 2007 la messa al bando delle buste di plastica, i cosiddetti shoppers, che se dispersi nell’ambiente impiegano 400 anni per scomparire. Ma il governo ha rimandato ancora l’impegno al gennaio 2011 e se il divieto definitivo della commercializzazione dei sacchetti ancora non si vede, il cosiddetto ‘inquinamento bianco’ continua ad affliggere il nostro ambiente.” – lo dichiara il senatore del Pd Francesco Ferrante.
“L’educazione ambientale – continua l’esponente ecodem –  rimane sempre di fondamentale importanza, ma i sacchetti in plastica biodegradabile provenienti dal mais, già  prodotti dalle nostre industrie chimiche , costituiscono una risposta concreta a quell’inquinamento che  si può ‘toccare con mano’e che ci costa ogni anno 430mila tonnellate di petrolio, con un emissione di CO2 in atmosfera di circa 200mila tonnellate. Nella Finanziaria 2007 approvando due miei emendamenti che prevedevano la progressiva riduzione della commercializzazione degli shoppers attraverso un programma sperimentale da adottare entro 120 giorni, avevamo posto le basi affinché il nostro Paese potesse essere all’avanguardia, con un notevole vantaggio economico e competitivo per le nostre industrie.”
“Purtroppo – conclude Ferrante –  il governo ha scelto, con una inutile proroga, di rendere un pessimo servizio alla difesa dell’ambiente e al rafforzamento della capacità  competitiva del nostro Paese.”

Obama: parole di svolta, speriamo le ascoltino in Italia

LA LOTTA AL GLOBAL WARMING FA CRESCERE L’ECONOMIA E CREA LAVORO

“L’EUROPA PORTI AL 30% L’OBIETTIVO DI RIDUZIONE DELLE EMISSIONI”

“Barak Obama col suo discorso al summit di Copenhagen ha messo sul piatto della trattativa non soltanto la disponibilita’ Usa a finanziare con molte decine di miliardi l’ecosviluppo dei Paesi poveri e ad assumere impegni chiari di riduzione delle proprie emissioni. Ha anche segnato una rivoluzione copernicana nel modo d’intendere la lotta ai cambiamenti

climatici: non un generico dovere morale ma la condizione oggi irrinunciabile per lo sviluppo dell’economia e l’aumento del benessere, la premesa per creare milioni di posti di lavoro, far nascere nuove imprese, accrescere la capacita’ competitiva dei sistemi economici. Insomma un interesse nazionale piu’ che una scelta etica, che gli Stati Uniti perseguiranno a prescindere dalle conclusioni del vertice”.

E’ quanto hanno dichiarato da Copenhagen Roberto Della Seta e Francesco Ferrante, senatori Pd che rappresentano il loro partito alla

Conferenza: “Speriamo – hanno aggiunto di due parlamentari – che le parole del presidente americano siano ascoltate in Italia dalla destra al governo e

da tutti gli altri, a cominciare da Confindustria, che continuano a presentare lo sforzo per stabilizzare il clima come incompatibile con le ragioni dell’economia. La verita’ e’ opposta: se negli ultimi dieci anni l’Italia e’ cresciuta meno di quasi tutti i Paesi europei, e’ anche perche’

ha investito pochissimo nell’efficienza energetica, nelle fonti rinnovabili,

nella green economy”.

Per Della Seta e Ferrante, dopo il rilancio di Obama e i passi avanti compiuti da altri protagonisti del negoziato, ora tocca all’Europa fare la sua parte: “Se c’e’ un accordo politico, l’Unione europea deve annunciare qui e ora la decisione di portare dal 20 al 30% l’obiettivo di riduzione delle sue emissioni al 2020. E’ un traguardo realistico, l’auspicio e’ che il nostro Paese non ‘remi contro’ come accaduto troppe volte in passato”.

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Intanto l’Italia sceglie il carbone

Come è normale per negoziati così complessi e delicati, le ultime ore della Conferenza sul clima sono quelle in cui tutto si decide e molto può cambiare da un’ora all’altra. A Copenhagen si è passati dal pessimismo della notte di mercoledì, quando sembrava che la Cina avesse seppellito ogni possibilità  d’accordo, alla speranza di ieri pomeriggio, dopo l’intervento positivo e determinato di Hilary Clinton e la parziale marcia indietro degli stessi cinesi che hanno sparso una ventata di ottimismo sui delegati superstiti nelle sale semi-deserte del Bella Center. Fuori dalla porta sono stati lasciati tutti quelli delle Ong, migliaia di persone, soprattutto giovani, venuti a Copenhagen a proprie spese: una pagina vergognosa nella storia delle Nazioni Unite, mai vista prima.
Tra il fallimento e il successo pieno della Conferenza vi è un’ampia scala di grigi che si potranno valutare solo alla fine. E se è certo che molto si gioca sui soldi che i ricchi sono disposti a mettere sul piatto per aiutare i Paesi poveri a svilupparsi usando tecnologie e modelli produttivi a basso impatto sul clima – ad esempio i 100 miliardi di dollari di cui ha parlato la Clinton -, la “tirchieria” del governo italiano condanna il nostro Paese alla marginalità . Del resto che credibilità  può avere a Copenhagen  l’Italia, che mentre qui l’Europa è sul punto di impegnarsi a tagliare del 30% le proprie emissioni climalteranti, continua a muoversi, per dirla con De André, “in direzione ostinata e contraria”? Ieri il Consiglio dei Ministri ha approvato un ulteriore stanziamento di 330 milioni di euro per un’opera inutile, costosa e anti-ecologica come il Ponte sullo Stretto: 330 milioni, più di quanto abbiamo messo a disposizione per l’ecosviluppo dei Paesi poveri! E se non bastasse, il Ministero sta per approvare, come denunciato da Legambiente – la realizzazione di un’ennesima megacentrale a carbone a Saline Joniche in Calabra. Altro carbone dopo quello delle centrali di Civitavecchia e di Porto Tolle: altro carbone, tra tutte le fonti fossili la più dannosa per il clima. Proprio le centrali a carbone, del resto, sono il settore dove si concentrano i maggiori sforamenti italiani rispetto agli obiettivi del Protocollo di Kyoto. Al contrario di ciò che dice Confindustria, le nostre imprese manifatturiere non hanno nulla da temere da Kyoto e dal trattato post-Kyoto perché grazie agli investimenti in efficienza energetica già  stanno riducendo le loro emissioni. Il ritardo italiano dipende quasi tutto dall’aumento dell’uso del carbone per produrre elettricità .
Insomma l’Italia va a carbone, resta ferma all’età  giurassica dell’energia. E intanto il mondo si allontana. 
 

ROBERTO DELLA SETA
FRANCESCO FERRANTE

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