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Da Governo e Regione Campania in arrivo nuovo condono edilizio

“Diffuse anticipazioni della stampa preannunciano da parte del Governo un decreto legge che sospenderebbe le demolizioni delle costruzioni abusive in Campania, che spianerebbe la strada ad una legge regionale destinata a riaprire i termini del condono edilizio del 2003.
Sarebbe inaccettabile qualunque intervento rivolto, più o meno esplicitamente, a indebolire le norme  per la repressione dell’abusivismo edilizio o peggio a prefigurare una nuova ondata di sanatorie”. Lo dicono i senatori del Pd Roberto Della Seta e Francesco Ferrante.
“L’abusivismo edilizio – continuano gli esponenti ecodem – è una delle cause principali che mettono in pericolo la sicurezza e la stessa vita di centinaia di migliaia di cittadini.
Basti ricordare che almeno un terzo di tutte le nuove costruzioni realizzate nel meridione nell’ultimo quarto di secolo è abusivo: case costruite senza licenza, spesso in aree a rischio sismico, vulcanico e idrogeologico. Di questa piaga, che spesso vede nel ruolo di protagonista la criminalità  organizzata con le ecomafie, la Campania è certamente il territorio simbolo, come dimostrano tragicamente tanti episodi, dalla tragedia di Sarno del 1998 alla frana di Ischia di pochi mesi fa. Non solo il centrodestra ha fatto campagna elettorale in Campania promettendo la riapertura dei termini del condono, ma addirittura adesso i sindaci della zona rossa del Vesuvio chiedono la rivisitazione dei confini considerati ad alto rischio vulcanico. Sarebbe davvero un fatto gravissimo – concludono Ferrante e Della Seta –  che tra i primi atti della nuova amministrazione regionale campana di destra  ci fosse un nuovo via libera al mattone illegale”.

Immigrati: ddl del Pd contro espulsioni a causa della crisi

– “Una proposta breve e semplice per la modifica del permesso di soggiorno per immigrati, nel punto che sancisce l’impossibilita’ di rinnovo del permesso, se il lavoratore perda l’impiego”. Cosi’ il senatore Roberto Della Seta del Pd, presentando in conferenza stampa il disegno di legge n.2115, firmato da 36 senatori del Partito democratico.
L’esponente democrats spiega che l’iniziativa di legge “nasce dalle sollecitazioni di cittadini stranieri” per superare “una situazione inaccettabile, di negazione di diritti civili e sociali e il ddl”.
Gli fa eco il senatore
Ferrante, del Pd, che aggiunge: “In un periodo di crisi, per i lavoratori immigrati, oltre il danno dell perdita del lavoro, c’e’ la beffa dell’espulsione. Da qui una proposta di semplice buon senso”.
Il ddl prospetta un prolungamento dei tempi tra l’eventuale perdita del lavoro e l’espulsione dal territorio italiano prevista dalla legge Bossi-Fini.
“Molti politici- chiosa Roberto Montoya, rappresentante della comunita’ degli immigrati di Roma- non capiscono cosa vuol dire essere immigrato e vedersi negare quotidianamente i propri diritti.  “Siamo piu’ di quattro milioni. Ottocentomila nostri ragazzi vanno a scuola e due parlamentari prendono atto delle nostre richieste che partono dal basso per proporre una legge. Il vento sta cambiando”. Cosi’ Edgar Gallano, uno dei rappresentanti della comunita’ degli immigrati di Roma, nel corso della conferenza stampa di presentazione del ddl n.2115, firmato da 36 senatori del Partito democratico.
In merito alla possibilita’ di espulsione, perdendo il lavoro a causa della crisi economica, uno dei portavoci del movimento degli immigrati dice: “Ci sentiamo ghettizzati. Invece siamo una ricchezza per questo paese”, che vale “il 10% del Pil”.
Continua Sibi Mani, cittadino italiano da quale settimana, ricordando l’equazione automatica “immigrato uguale delinquente.
“Io so bene che se parlo da solo nessuno mi ascolta, mentre insieme possiamo dare voce agli immigrati“.
Con queste parole Sibi Mani introduce il primo congresso degli immigrati, in programma sabato 24 e domenica 25 Aprile a Roma.
“Parlare in Senato per noi e’ una conquista. Questo e’ un luogo rappresentativo della democrazia”, conclude.
E sui timori sollevati da chi guarda alla convention come la prima tappa del partito degli immigrati, taglia corto Edgar Gallano: “Non vogliamo costruire un partito ne’ un sindacato. Vogliamo solo organizzarci per far sentire anche la nostra voce”

Il Lingotto, un’idea dell’Italia

Grazie all’intervento di Matteo Orfini pubblicato su Europa di qualche giorno fa, abbiamo finalmente capito il problema vero del Pd, la ragione per la quale in due anni abbiamo perso cinque milioni di voti: la colpa di tutto è del Lingotto, «summa teorica – così Orfini – di una visione dell’Italia mutuata da tutte le narrazioni dominanti nel ristretto circuito delle nostre classi dirigenti». 

Lasciando da parte l’ironia, che vuol dire questo giudizio così sommario e liquidatorio? A prima vista esprime più che altro lo zelante riflesso pavloviano del più giovane dei pupilli dalemiani che inchioda il Pd di oggi a quella stessa cifra conflittuale – D’Alema contro Veltroni – che ha segnato ed estenuato la sinistra nell’ultimo quindicennio. 

In realtà , qualcosa di più comprensibile Orfini la dice. Secondo lui il peccato originale del Pd sarebbe stato, da una parte, di non avere «una propria idea dell’Italia», dall’altra di cedere a un’idea leaderistica della politica costituendosi esso stesso come «un partito a evidente vocazione presidenziale». 

A noi, che non veniamo da questa storia infinita di odii fratricidi tutta interna ai gruppi dirigenti del PciPds/Ds (ed ereditata, evidentemente, dai loro “discendenti”), a noi che come tanti non ne possiamo più di vederla replicata in sedicesimo anche nella nuova “casa” democratica, sembra al contrario che se il discorso del Lingotto aveva un pregio, era proprio di indicare con chiarezza una idea dell’Italia, fondata su valori e obiettivi che cercavano di oltrepassare il perimetro un po’ angusto e datato delle categorie post-comuniste e post-democristiane: l’ambiente come criterio decisivo per costruire una più credibile e convincente prospettiva di benessere sociale e di sviluppo economico, una lotta senza quartiere contro ogni forma di illegalità  e contro le troppe cadute di etica pubblica che lambivano (e lambiscono) la nostra parte politica, una nozione totalmente rinnovata di giustizia sociale con al centro temi ed esigenze – priorità  assoluta al merito, un welfare che dia molto più spazio ai bisogni e alle attese dei giovani – non proprio connaturati alla sinistra novecentesca. 

E poi la cosiddetta “vocazione maggioritaria”, che in fin dei conti è un concetto persino banale: un partito che come il nostro ambisce a rappresentare almeno un terzo degli italiani e a governare l’Italia per contribuire a cambiarla in meglio, prima decide la sua proposta al paese e poi su quella base verifica le possibili alleanze. 

Quanto a un presunto vizio d’origine presidenzialista del Pd, basta un’unica domanda retorica: esistono oggi nei paesi democratici casi di partiti o schieramenti maggioritari che giungano al governo senza poter contare su una forte, riconosciuta leadership personale? A noi risulta di no, e ci sembra che questo dato d’evidenza faccia giustizia tanto dell’addebito mosso da Orfini come della balzana idea di Prodi, Chiamparino e soci per cui il leader nazionale del Pd dovrebbe essere una sorta di amministratore di condominio che agisce su delega di venti segretari regionali. 

La verità  è che il Pd, per ora, è un partito mai nato, appunto perché l’ambizione di allargarsi oltre il recinto ideale e programmatico delle tradizioni di provenienza non è diventata patrimonio condiviso dei gruppi dirigenti. Insomma siamo ancora in pieno travaglio, solo che non c’è più molto tempo per evitare che il bambino nasca già  morto. 

Per attecchire nell’Italia di oggi, il Pd deve guardare meno al proprio ombelico e molto di più ai bisogni e alle aspirazioni degli italiani. Mettendo per esempio al centro del suo discorso – è la nostra fissazione, ma nel mondo siamo in buona compagnia – quella “green economy” che significa politiche “contemporanee” per il lavoro, per lo sviluppo, per l’innovazione, per la coesione e la qualità  sociali. 

Il Pd è capace di farsi l’alfiere di questa sfida, come Obama in America o le forze emergenti dell’ecologismo riformista in Europa? Per quanto ci riguarda, soprattutto a domande come questa i prossimi mesi di navigazione del Pd dovranno dare risposta. 

 

Roberto Della Seta e Francesco Ferrante

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