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Governo favorisca la filiera corta dei biocarburanti

“Il Governo adotti ogni iniziativa utile, nelle opportune sedi europee e internazionali, per promuovere una moratoria sull’ulteriore espansione della produzione di biocarburanti da filiera lunga, in attesa che le Nazioni Unite ne valutino pienamente l’impatto a livello globale, garantendo così il pieno rispetto dei diritti umani delle comunità  locali coinvolte e la sostenibilità  ambientale dei territori nei quali esse vivono”. Lo dichiara il senatore Francesco Ferrante, responsabile per le politiche relative all’energia ed ai cambiamenti climatici del Partito Democratico, intervenendo in Aula durante la discussione sugli obiettivi posti dalla direttiva europea per la promozione delle energie alternative.

Continua Ferrante, “il fenomeno del land grabbing, ossia l’aumento vertiginoso delle superfici coltivabili acquistate o prese in concessione dalle imprese italiane dai Paesi interessati in Africa, Asia ed America per produrre biocarburanti è un fenomeno che preoccupa le Nazioni Unite e la Fao, alla luce delle possibili ripercussioni sull’obiettivo della sicurezza alimentare mondiale, della protezione dei contadini poveri e della sostenibilità  ambientale. Invece di far percorrere migliaia di km ai prodotti destinati alla trasformazione in biocarburante, vanificando così qualsiasi vantaggio dal punto di vista della sostenibilità  ambientale a causa delle emissioni connesse al trasporto dei prodotti agricoli dai luoghi di produzione all’Italia, sarebbe auspicabile che il Governo predisponesse un piano d’azione volto ad incentivare la ricerca e lo sviluppo dei biocarburanti di seconda generazione, derivanti da residui ligneo cellulosici o da scarti alimentari, e a favorire l’utilizzo del biometano.

“E’ incomprensibile il parere negativo del Governo all’ordine del giorno che avevo presentato insieme ad altri colleghi del Pd, che chiedeva una moratoria delle importazioni da una parte e il sostegno alla filiera corta dall’altra. E’ addirittura paradossale il voto contrario dei colleghi della Lega che si è rivelato decisivo, visto che l’odg è stato bocciato per soli 8 voti: sui loro territori i leghisti hanno esattamente quella posizione, ma ormai conclude Ferrante – siamo abituati alla loro doppiezza”.

La green economy nella “tavola dei colori” dem

Berlusconi ha ragione: un problema dell’Italia è che nella sinistra pesa 

troppo l’eredità  comunista. Solo che per come la mette lui, questo è ciò che 

rende minacciosa l’alternativa rappresentata oggi dal Pd e ieri dai Ds e dai 

loro alleati, mentre in realtà  è stata la salvezza del berlusconismo, la 

ragione principale per cui il centrosinistra è sempre meno competitivo. 

Come ha detto Walter Veltroni intervenendo al convegno di Area democratica a 

Cortona, il Pd per lanciare alla destra una sfida credibile e potenzialmente 

vincente deve gettare la zavorra che ha impedito finora l’affermazione in 

Italia di un vero riformismo. Questa prospettiva non può nascere dalla fusione 

di due tradizioni – quella comunista, quella cattolico-democratica – che 

troppi di noi continuano a raccontare, e a raccontarsi, come riformiste ma che 

propriamente riformiste non sono mai state e anzi presentano un alto tasso di 

conservatorismo. Deve certo, il Pd, tenersi stretto il meglio di quelle storie 

– che ha la sua sintesi più degna e attuale nell’impronta solidarista della 

nostra Costituzione – ma soprattutto deve trovare nuovi linguaggi, nuovi 

contenuti culturali e programmatici. 

Per questo è nato il Pd, ma in meno di tre anni quel progetto è franato. La 

distanza enorme tra il Pd del 2007-2008 e quello di oggi è un fatto persino 

ovvio. 

Distanza nei numeri, distanza nelle ambizioni, a cominciare dalla cosiddetta 

“vocazione maggioritaria”. Abbiamo perso in due anni 5 milioni di voti, ormai 

chi ci vota lo fa per abitudine, per appartenenza, per nostalgia, talvolta per 

apprezzamento verso una buona tradizione amministrativa, ma non certo perché 

facciamo intravedere un’idea di futuro, una prospettiva di governo che siano 

realistiche e attraenti. 

Tutti i nostri competitori (Pdl, Lega, Idv) sono identificabili e identificati 

con quattro, cinque parole chiave. Noi no, e questo perché noi per primi non 

sapremmo indicare in modo condiviso cinque parole nelle quali ci riconosciamo 

come partito. 

Questa incertezza identitaria produce, tra i suoi effetti più deteriori, la 

tentazione ricorrente di metterci al traino di altri con l’idea che così ci 

possiamo appropriare di sensibilità , aspirazioni che ci sembrano popolari, “di 

moda”. Di volta in volta, quest’abitudine ci fa compiere improbabili 

incursioni a destra come a sinistra, con effetti velleitari e talvolta 

cacofonici che si tratti di qualche nostro dirigente che fa il verso ai 

leghisti sulla sicurezza o magari dell’intero partito che si accoda al 

cosiddetto popolo viola. Ma ciò non solo certifica la minorità , la 

subalternità  culturale del Pd, è anche un’idea illusoria sul piano tattico: 

fare il “vagone”, spesso l’ultimo vagone di coda, di un treno guidato da altri 

non porta infatti alcun consenso. 

Sempre a Cortona Paolo Gentiloni ha sottolineato che il Pd ha un senso e un 

futuro se recupera in fretta la sua ispirazione originaria. Questo significa, 

in concreto, batterci prima ancora che per trovare un’identità , per ritrovare 

credibilità . Spesso diciamo cose che in molti considerano giuste e importanti 

ma che dette da noi suonano poco credibili. 

Ciò accade per esempio sul terreno dell’etica pubblica. Se vogliamo che gli 

italiani ci affidino le loro speranze di una politica più pulita e 

trasparente, meno separata dalla società , il primo passo è fare pulizia e 

creare trasparenza in casa nostra, a cominciare dal Mezzogiorno dove i nostri 

gruppi dirigenti sono in più di un caso altrettanto opachi e impresentabili di 

quelli della destra. 

Se non partiamo da qui, è del tutto inutile lanciare allarmi contro 

l’astensionismo, contro l’anti-politica, contro chi ci vede come “casta”. 

Poi dobbiamo impegnarci per selezionare e presentare la nostra “tavola dei 

colori”, avendo piena coscienza che per scegliere colori sensati e 

convincenti, colori che ci scrollino di dosso l’immagine di partito 

“conservatore”, serve andare ben oltre il recinto programmatico e valoriale 

che era di Ds e Margherita. 

Della “tavola dei colori” di cui abbiamo bisogno l’ambiente, se si preferisce 

la green economy, è una parte essenziale: indispensabile, lo ricordava pochi 

giorni fa su queste pagine Ermete Realacci, per ragionare di sviluppo con gli 

occhi e la testa in questo secolo e per riannodare un rapporto con molti mondi 

sociali e produttivi che oggi ci ignorano o ci snobbano (nell’economia reale, 

noi richiede le maggiori discontinuità  e innovazione, essendo quasi del tutto estranea alle famiglie politiche fondatrici del Pd. E richiede prima di tutto che torniamo a coltivare la nostra vocazione maggioritaria: se infatti il Pd sceglie la strada di un’identità  troppo parziale e decisamente antica, qual è la somma tra post-comunisti e post-democristiani, l’ambiente cercherà  e troverà  altre vie per farsi spazio nell’offerta politica. Non è obbligatorio che tocchi a noi rappresentare questa sensibilità , basta dare un’occhiata in giro per il mondo: qualche volta, per esempio nell’America di Obama, sono i grandi partiti progressisti a intestarsi con forza la questione ambientale, in tanti altri casi sono forze squsitamente ecologiste, come i Verdi in Germania o Europe Ecologie in Francia, o magari come in Inghilterra sono i Liberali ed è addirittura la destra che ha vinto le elezioni con un programma molto più verde di quello di Brown. O in Italia questo tema lo innalza il Pd, oppure quanti non si rassegnano al fatto che a prendere voti in nome dell’ambiente siano solo i “grillini”, finiranno per rivolgersi altrove. 

Per quanto ci riguarda, il punto non è minacciare scissioni o abbandoni, è 

molto più banale. Se stessimo in Germania o in Francia, da ecologisti 

“riformisti” sceglieremmo i Verdi o Cohn-Bendit, se votassimo in Inghilterra 

sceglieremmo i liberali di Clegg. In Italia faticheremmo a scegliere il Pd se diventa un partito cripto- socialista oppure la replica fuori tempo di un 

compromesso storico che di storico, a questo punto, non avrebbe più nulla. 

 

Roberto Della Seta e Francesco Ferrante 

 

 

Nucleare: chi nel Pd vuole dietrofront, lo proponga nelle sedi democratiche

“Sul  nucleare  la posizione del Partito democratico, contraria all’attuale
nucleare,   è   assolutamente  chiara  ed  è  la  stessa  di  grandi  forze
progressiste  europee,  dai  socialdemocratici tedeschi ai liberali inglesi
alle forze emergenti dell’ecologismo riformista. Se qualcuno, sulla base di
visioni  ed analisi francamente un po’ datate, vuole cambiarla, lo proponga
nelle  sedi  democratiche  del  partito  e  si  voti”. Roberto Della Seta e
Francesco  Ferrante,  senatori  Pd  ed  esponenti  ecodem,  rispondono così
all’appello  con cui alcuni parlamentari e scienziati chiedono a Bersani di
rivedere il no all’atomo.
 “Il  Pd- continuano i senatori del Pd – è contrario alle attuali tecnologie
nucleari  –  affermano  i  due  senatori  –  perché  a  fronte  di costi di
investimento  esorbitanti  e  tali  da  richiedere  il  sussidio più o meno
diretto  di  finanziamenti pubblici, non hanno risolto nessuno dei problemi
di  sicurezza  e  di impatto ambientale, a cominciare da quelli legati allo
smaltimento  delle  scorie  radioattive.  Per  l’Italia,  poi,  tornare  al
nucleare  vorrebbe dire spendere tra i 20 e i 30 miliardi di euro per avere
forse tra quindici anni quattro centrali, che contribuirebbero per meno del
5%  ai  consumi  energetici; nel frattempo, questo impegno straordinario di
risorse  pubbliche  e  private  ci  farebbe  perdere  i  treni  della  vera
innovazione energetica indispensabile per ridurre la dipendenza dai fossili
e  per  fronteggiare la crisi climatica, che si chiama efficienza, ricerca,
sviluppo delle rinnovabili”.
E’  naturalmente  legittimo  –  concludono  Della  Seta  e  Ferrante – che
iscritti  e  simpatizzanti  del  nostro partito la pensino diversamente, ma
questa  è  la  posizione  del  Pd,  più volte espressa anche ai livelli più
autorevoli  e  con evidenza condivisa dalla gran parte dei nostri elettori.
Se  poi  qualcuno  chiede  un  rovesciamento  di  questa  linea,   più  che
promuovere  appelli  non  ha  che  da  proporlo  nelle  sedi deputate, come
l’assemblea programmatica del 21 e 22 maggio prossimi”.

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