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Innovativi. O inutili

Oggi si riunisce al teatro Eliseo di Roma l’assemblea di Mo-Dem, Movimento Democratico. Un’occasione, speriamo, non tanto per sottolineare le differenze dentro il Pd, che pure ci sono, quanto per rilanciare una banalissima domanda. E cioè: esiste o no un nesso tra l’evidente difficoltà  del Pd ad accreditarsi come realistica alternativa di governo rispetto ad una destra in crisi verticale di consensi, e il progressivo appannamento dell’ambizione innovativa che ha segnato i primi passi del nostro partito? Noi pensiamo che il nesso esista e sia vistoso.
Il Pd non è nato per fondere i resti della tradizione e dei gruppi dirigenti comunisti con i resti del popolarismo di sinistra: storie grandi e nobili, alle quali molti restano legittimamente affezionati; ma storie che poco hanno da dire sui problemi, i bisogni, le speranze dell’Italia di oggi, e che non dicono nulla, assolutamente nulla, a chi è diventato elettore negli ultimi vent’anni. Siamo nati per altro, per dare al nostro paese ciò che non ha mai avuto: un grande partito popolare e riformista, e un partito con le gambe e la testa in questo secolo.
L’impressione è che di questa necessaria discontinuità  non tutti nel Pd siano consapevoli. E non vorremmo che anche Movimento Democratico, che ha proprio l’obiettivo di recuperare l’ispirazione fondativa da cui siamo partiti – quella per intendersi del Lingotto, che ci portò ad un risultato elettorale decisamente lusinghiero – venga percepito come un’iniziativa tutta interna a logiche politiciste. Magari come la prefigurazione di un Pd che incapace di darsi una forte, radicale identità  riformista, si allea con il mitico terzo polo.
Se il Pd si riduce agli eredi (in sedicesimo) di comunisti e sinistra democristiana, resta davvero poco spazio per affrontare i nodi culturali e programmatici che ci rendono oggi così scarsamente competitivi. Per fare un esempio a noi caro, ma un esempio oggettivamente illuminante, resta pochissimo spazio per ragionare attorno a un’altra semplice domanda: perché mai mentre in Europa il centrosinistra fa dell’ambiente un suo cavallo di battaglia e l’occasione per ritrovare consenso – come dimostra l’ascesa dei partiti ecologisti in Germania e in Francia o la decisa conversione ambientalista del New Labour e degli stessi Liberali inglesi – invece il Pd continua a sottovalutare largamente il tema, lasciando, “tollerando” in qualche caso, che ad occuparsene siano i soliti: Ermete Realacci, gli ecodem, qualche sindaco di buona volontà .
Eppure davanti a noi abbiamo praterie sconfinate: la destra al governo maltratta l’ambiente come maltratta tutti i beni comuni – dalla scuola all’università , dalla ricerca alla cultura alla legalità  – basti dire che in due anni ha ridotto da 500 a 60 milioni i fondi per mettere in sicurezza il territorio dai rischi di frane ed alluvioni. Ma l’ambiente, come la cultura e come la scuola, non è solo un bene comune: è anche sviluppo, è un ingrediente fondamentale di quel “prodotto tipico” italiano, decisivo per il nostro futuro, che Realacci ha battezzato soft economy, l’economia che produce ricchezza valorizzando le risorse immateriali, e dunque ecologiche, della bellezza e della creatività  di cui per fortuna il nostro paese abbonda.
Nel mondo in questi anni di crisi sta decollando una rivoluzione verde, a cominciare dall’energia pulita: una rivoluzione che mentre mette un argine ai cambiamenti climatici, al tempo stesso crea lavoro, fa nascere e crescere imprese innovative. àˆ così in Germania, in Francia, negli Stati Uniti, in Inghilterra, in Brasile, e dovunque sono i riformisti a puntare con più forza su questo processo epocale. Di nuovo, il Pd troverebbe uno spazio illimitato se innalzasse anche lui la bandiera dell’ambiente: glielo lasciano Berlusconi e la sua maggioranza che da una parte propongono un improbabile e costosissimo ritorno al nucleare, una sorta di contro-rivoluzione verde che secondo un recente sondaggio viene bocciata da due italiani su tre, dall’altra riducono gli incentivi alle ristrutturazioni energetiche degli edifici introdotti dal governo Prodi, che in quattro anni hanno fatto aprire 800 mila cantieri.
Però se vogliamo essere noi “quelli dell’ambiente”, se non vogliamo che di questo tema s’impossessino altri, dobbiamo saperla “ascoltare” ed accogliere questa rivoluzione in cammino: saper ascoltare i nostri elettori, decisamente più ecologisti del gruppo dirigente, diventare molto meno timidi nel no al nucleare – un no che non ha nulla di ideologico ed è modernissimo, e che secondo quello stesso sondaggio è condiviso dall’80% di chi ha votato Pd – molto più decisi nel rivendicare politiche pubbliche coraggiose per l’innovazione energetica e l’economia verde.
Lo stesso si può dire di altre grandi questioni italiane, a cominciare dall’esigenza pressante di legalità  e di una svolta nell’etica pubblica delle classi dirigenti.
Lo sottolineava ieri Paolo Gentiloni su Europa: che questo sia un grande, ormai debordante bisogno nazionale, lo dimostrano plasticamente i 10 milioni di italiani che seguono i racconti di Saviano a Vieni via con me. Ma per dare rappresentanza a questa domanda di pulizia, il Pd non può limitarsi a denunciare tutto il marcio del berlusconismo. Come sottolineava giorni fa su la Repubblica in un bellissimo articolo Barbara Spinelli, deve pure fare pulizia in casa propria, smettendo di dare spazio, dalla Sicilia alla Campania, a interessi torbidi e a persone che hanno dimostrato irresponsabilità  pubblica e indifferenza etica.
MoDem, che vuol dire Movimento Democratico ma simboleggia anche la capacità  di connettersi a ciò che accade in un mondo sempre più in rete, questo deve fare: spingere il Pd fuori dalle sue attuali secche minoritarie e conservatrici, connetterlo con i problemi e le necessità  veri e urgenti dell’Italia. Prima connettiamoci, poi sarà  più facile scegliere le alleanze.

LA DIRETTA STREAMING DELL’EVENTO SI PUà’ SEGUIRE SUL SITO WWW.MOVIMENTODEMOCRATICO.ORG

Basell: basta tira e molla, il Governo convochi tutti

“Basta con il tira e molla, la dirigenza della Basell dia prova di responsabilità  e non continui il suo ostruzionismo alla trattativa con la ‘newco’ costituitasi per la realizzazione del progetto industriale credibile e interessante che vede al centro l’impegno di Novamont. La vicenda è alle battute finali, dunque occorre un intervento immediato del Ministro Romani che convochi al tavolo le parti interessate per far finalmente giungere in porto in porto il progetto industriale a cui è legata a filo doppio tutta l’area del ternano.” Lo dichiara il senatore del Pd Francesco Ferrante. “Il prolungarsi della trattativa, per una precisa volontà  della Basell, sta ovviamente suscitando incertezza e preoccupazione tra i lavoratori interessati. Sono infatti più di mille le persone che rischiano il posto di lavoro immediatamente e che assistono all’impasse della vicenda, che – aggiunge Ferrante – sarebbe incardinata su una soluzione assolutamente competitiva e positiva, essendoci un piano industriale di potenziamento della chimica verde del Polo chimico ternano, capeggiata da Novamont. Il momento delle schermaglie è ormai finito, occorre che il Ministro Romani imponga al più presto un’accelerazione, perché la posta in palio, la sopravvivenza stessa del polo di Terni, e il futuro industriale di quella città  – conclude Ferrante – è troppo importante per ulteriori tentennamenti.”

Nel 2011 finalmente shoppers biodegradabili

Vinta la retroguardia dell’industria inquinante.

“Quando tra poco più di un mese finalmente anche in Italia gli shoppers di plastica verranno banditi, un milione di tonnellate in plastica non si riverserà  più nell’ambiente, inquinandolo per anni, e verranno risparmiate centinaia di migliaia di tonnellate di petrolio.

E’ il coronamento di una battaglia iniziata con la Finanziaria del 2007, quando un nostro emendamento aveva previsto che in Italia non venissero più prodotti gli shoppers di plastica a partire dal 2010″.

Lo dichiara il senatore Francesco Ferrante, responsabile per il Pd delle politiche relative ai cambiamenti climatici.

“La grande distribuzione continua Ferrante – ha in larga parte anticipato i tempi, fornendo ai propri clienti solo shopper biodegradabili o borseriutilizzabili, raccogliendo il gradimento dei consumatori che sono

consapevoli che è indispensabile modificare parzialmente le proprie

abitudini per fare una raccolta differenziata dei rifiuti che funzioni

davvero.

In ragione di questa esigenza di tutti, ovvero non gettare nell’ambiente i sacchetti di plastica che sono incompatibili con un ciclo di smaltimento dei rifiuti efficace, sono di assoluta retroguardia le posizioni della vecchia industria inquinante che, come Unionplast, cerca in tutti i modi di mettersi di traverso”.

“E’ francamente risibile poi l’intenzione di ricorrere ai Tar contro le ordinanze dei comuni che hanno già  vietato la commercializzazione dei sacchetti di plastica, ma conclude Ferrante – sono solo posizioni marginali, che verranno sorpassate dalle prescrizioni di legge e dalle buone pratiche dei cittadini”.

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