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L’Italia a Cancun senza le carte in regola

“L’Italia non si è presentata a Cancun con le carte in regola. L’Europa aveva chiesto a tutti i Paesi di non lasciare un vuoto alla scadenza del Protocollo di Kyoto nel 2012 e di concordare un nuovo trattato climatico, simile e più avanzato, che preveda crescenti impegni di riduzione delle emissioni di gas serra, con scadenze precise e legalmente vincolanti. Purtroppo le posizioni negazioniste di molti esponenti della maggioranza, l’atteggiamento quantomeno scettico e rinunciatario del ministro Prestigiacomo e il percorso incerto riservato alle misure volte al risparmio energetico e dunque alla riduzione dei gas serra pone l’Italia come fanalino di coda tra i Paesi europei, che guidano invece da anni la battaglia contro il riscaldamento climatico”. Lo dichiara il senatore del PD, e vicepresidente del Kyoto Club, Francesco Ferrante, intervenuto stamane al convegno ‘Efficienza energetica: le aziende italiane alla sfida del clima’, promosso da AzzeroCO2 in collaborazione con Legambiente e Kyoto Club. 

“Chi ha responsabilità  di governo – aggiunge Ferrante – non può rimanere coinvolto nella controversia assolutamente strumentale su quanto, o addirittura se, pesino le attività  dell’uomo nel cambiamento climatico in atto. Per prevenire maggiori disastri occorre responsabilmente prendere tutte quelle misure di cui c’è bisogno subito: efficienza, risparmio, rinnovabili, riforestazioni. àˆ assolutamente priva di significato e sopratutto antieconomica una posizione italiana assimilata a quella dei grandi paesi inquinatori: lo dimostrano le 843 mila domande presentate per accedere al credito d’imposta previsto per gli interventi di miglioramento energetico delle abitazioni, che hanno generato ben 150 mila nuovi posti di lavoro nel settore della green economy, con un volume di 11,1 miliardi di euro di investimenti in ristrutturazioni ed isolamento di edifici.” 

“Dalle fonti rinnovabili alla domotica, dagli infissi ai materiali avanzati – conclude Ferrante – sono state le piccole e medie imprese, la spina dorsale dell’economia italiana, a giovarsi dell’incentivazione al risparmio energetico, la vera misura anticiclica in questi anni di recessione”. 

 

Roma 9 dicembre 2010 

Grave smembramento Parco Stelvio. Aleggia accordo Berlusconi/SVP

“Il parco nazionale dello Stelvio, la più grande area europea protetta nata nel 1935, rischia concretamente di essere presto solo un ricordo. La Commissione dei dodici, l’organismo paritetico tra Stato e province autonome di Trento e Bolzano alcuni giorni fa ha di fatto cancellato l’ente parco e lo Stelvio è stato smembrato in tre parti, diviso tra le due

province e la Regione Lombardia. Dietro questa scelta scellerata

sembrerebbe esserci la regia di Luis Durnwalder, il presidente della Provincia di Bolzano e leader del Svp, che vorrebbe consentire ai cacciatori sudtirolesi di sparare anche nelle aree protette e abbassare le tutele che finora hanno salvaguardato lo Stelvio dai pericoli per il paesaggio e dal consumo di suolo. E sullo sfondo di tutto questo aleggia la possibilità  che la Svp garantisca a Berlusconi una preziosa astensione sul voto di fiducia.”

Lo affermano i senatori del Pd Francesco Ferrante e Roberto Della Seta in un’interrogazione rivolta al ministro Prestigiacomo.

“Ha ragione – aggiungono – chi chiede un’azione di governo del Parco più efficace di quella che vi è stata finora, ma certamente non è la direzione per raggiungere questo obiettivo lo spezzettamento del parco dello Stelvio perché in questo modo non si otterrà  una maggior tutela ma solo un lento e inesorabile declino del ruolo di un Parco Nazionale, che fino a oggi, nonostante i suoi molti oppositori, è riuscito a custodire ambienti e popolamenti di fauna e flora tra i più preziosi dell’intero arco alpino”.

“Sarebbe grave che lo smembramento del Parco dello Stelvio avvenisse sulla scorta di accordi tra un governo ormai dimissionario e una forza politica che per prima dovrebbe custodire il patrimonio prezioso che da 75 anni costituisce la più grande area alpina protetta. Auguriamoci – concludono i senatori del Pd – che il prossimo Consiglio dei Ministri non dia il via

libera a questa azzardata operazione, che costituirebbe un pericolo

precedente”.

Nucleare: gli imprenditori dicono no

“Anche gli imprenditori e gli industriali dicono no al ritorno del nucleare in Italia. Sono già  più di 200 le firme di imprenditori, manager e professionisti all’appello ‘Invece del nucleare’ lanciato dal Kyoto Club (adesioni su www.kyotoclub.org. l’appello è riprodotto anche su questo sito nella sezione Documenti), affinchè il Governo riveda la scelta di un costoso e improduttivo ritorno all’energia atomica per il nostro Paese”.
Lo dichiara il senatore Francesco Ferrante, vicepresidente del Kyoto Club.
“Il ritorno al  nucleare in Italia – continua Ferrante –  sarebbe un salasso di risorse che drenerebbe gli investimenti fuori dall’Italia, a discapito dei settori della green economy che possono attivare, come in parte stanno già  facendo, ricadute economiche e occupazionali immediate.
L’elenco dei firmatari dell’appello è aperto da tre nomi di rilievo: Pasquale Pistorio, il manager che ha guidato con grande successo la STMicroelectronics, Catia Bastioli, amministratore delegato di Novamont, e Gianluigi Angelantoni, a.d. del gruppo omonimo che, assieme a Siemens, lavora sulle nuove frontiere del solare termodinamico”.
‘Invece del nucleare’ – spiega Ferrante – non è un manifesto ambientalista, ma un appello al buonsenso di chi deve guidare la politica energetica del nostro Paese, che ha bisogno innanzitutto del rafforzamento delle reti elettriche, l’incentivazione dei sistemi di stoccaggio dell’energia e l’efficiente uso delle energie rinnovabili.
Lo scenario attualmente prospettato dal Governo, 25% di elettricità  atomica e 25% di rinnovabili al 2030 – sostiene il senatore Pd – comporterebbe una enorme distrazione di risorse a discapito delle nuove energie. La costruzione delle centrali interesserebbe, peraltro, una piccola minoranza di società  italiane, mentre larga parte degli investimenti finirebbe all’estero. Nella migliore delle ipotesi, quando fra 10-12 anni si iniziasse a generare elettricità  nucleare, se ne avvantaggerebbero pochi comparti industriali energivori e sarebbe lo Stato, attraverso la fiscalità  generale, o gli utenti attraverso l’aumento delle bollette, a cofinanziare il nucleare.”
 “Il consenso per il nucleare nel Paese è sempre più limitato, dunque non bisogna perdere tempo prezioso, affrontando da subito la sfida energetica del futuro con scelte rapide e dinamiche” – conclude Ferrante.

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