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Governo non scarichi su enti locali accoglienza immigrati, rifinanziare il fondo per i rifugiati

“Il  governo  non si faccia intimidire da quei partiti che non vogliono che affronti  con  una  propria  strategia  politica  l’immigrazione nel nostro Paese.  Sarebbe assai grave che un impasse dovuta a veti politici  scarichi

sugli   enti   locali,   lasciati   senza  le  risorse  previste,  il  peso

dell’accoglienza dei 21mila migranti che sono arrivati in Italia in seguito alle rivolte in Nord Africa.”

Lo  dichiara  il  senatore  del PD Francesco Ferrante, vicepresidente della Fondazione  “IntegrA/Azione,  che ha presentato in merito un’interrogazione

parlamentare   Presidente   del   Consiglio  dei  Ministri  e  ai  Ministri

dell’Interno e per la Cooperazione internazionale e l’integrazione.

“Da quanto si è appreso- continua Ferrante – si è svolta ieri una riunione, presso  il  Dipartimento della Protezione Civile, da cui è emerso un quadro estremamente preoccupante: i fondi che erano stati stanziati per affrontare l’emergenza  profughi  “Nord Africa” sono esauriti. Sebbene ci sia stato un impegno  a  reintegrarli,  e malgrado i ripetuti solleciti del Dipartimento

Nazionale   Protezione   Civile   e   del  Dipartimento  Libertà   Civili  e

Immigrazione  del  Ministero  dell’Interno,  ad  oggi il Governo non sembra avere fatto nulla di concreto in questa direzione.

Lo  scenario  imminente  è  che  gli enti locali, molti dei quali hanno già 

dichiarato   l’impossibilità    di  far  fronte  agli  impegni  contrattuali

sottoscritti  con  associazioni,  cooperative  sociali,  organizzazioni che gestiscono  i  CARA,  grandi  o piccoli, distribuiti su tutto il territorio

nazionale,   non  riescano  ad  occuparsi  pienamente  degli  oltre  21mila

immigrati ospitati nei centri.

Si prospetta dunque il rischio – aggiunge Ferrante – di abbandonare al loro destino  i cittadini immigrati senza un percorso di accompagnamento che gli permetta  di  inserirsi  nel tessuto sociale italiano e di lasciare inoltre senza  occupazione  migliaia di operatori sociali, professionisti che hanno lavorato in emergenza nell’ultimo anno.”

 “Prima  che  scoppi  l’ennesima emergenza con fragore mediatico e reazioni inconsulte,  il  governo  riunisca  il  tavolo tecnico sull’emergenza “Nord Africa”  convocando il Dipartimento della Protezione Civile, il Comitato di Coordinamento Nazionale, e tutti i soggetti attuatori regionali, garantendo l’impegno finanziario già  sottoscritto”- conclude Ferrante.

Acqua: basta scippi dei referendum, Alemanno tolga le mani da Acea

“Basta scippi dei referendum. Alemanno tenga giù le mani da Acea e rispetti il voto di 26 milioni di italiani, tra cui 1.200.000 cittadini romani, che hanno detto no alla privatizzazione dell’acqua”. Lo dicono i senatori ecodem Roberto Della Seta e Francesco Ferrante, che hanno aderito all’appello in vista della manifestazione cittadina che si terrà  sabato 5 maggio per protestare contro il progetto della giunta Alemanno di privatizzare un ulteriore 21%delle quote pubbliche dell’azienda.
“E’ inammissibile – continuano i senatori del Pd –  che il sindaco Alemanno voglia far cassa con  una svendita dell’acqua dei romani e  senza discutere con la città .
Solo pochi mesi fa,  la stragrande maggioranza dei cittadini romani ha espresso con chiarezza la volontà  di tenere in mani pubbliche la gestione del servizio idrico.
Questo colpo di mano della giunta Alemanno – concludono i parlamentari – è un tentativo vergognoso e impudente di far pagare ai cittadini 4 anni fallimentari, scanditi da mala gestione e scandali”.

Shopper non biodegradabili, chiarimenti sugli obblighi di legge

La vendita di shopper non biodegradabili nel Italia è vietata dall’1 gennaio del 2011 e la legge n. 28 del 24 marzo 2012 specifica che quelli biodegradabili ammessi alla vendita sono quelli realizzati con polimeri conformi alla norma armonizzata Uni En 13432:2002. 

  

Inoltre la stessa legge proroga sino all’emanazione di un nuovo decreto ministeriale la possibilità  di vendere sacchetti di plastica riutilizzabili che, pur non biodegradabili, abbiamo spessori minimi e contengano una determinata percentuale di plastica riciclata. 

  

Sembrerebbe tutto chiaro e invece c’è ancora chi vorrebbe confondere le acque. La vicenda di questa legge – originariamente inserita nella finanziaria del 2007 con un emendamento presentato dal sottoscritto – è esemplare di come le lobby possano complicare norme semplici e cerchino di mettere i bastoni tra le ruote alle innovazioni. 

Si è cominciato con l'”ostruzionismo”: la norma approvata nel dicembre del 2006 dava tre anni di tempo (il divieto sarebbe entrato in vigore solo nel gennaio del 2010) per riconvertire l’industria che ruota attorno alla realizzazione degli shopper, produttori di materia prima e trasformatori. Invece in quei tre anni le lobby di chi voleva che nulla cambiasse puntarono tutto sulla cattiva abitudine italiana della proroga, ottenendone una nell’ottobre del 2009 che spostava l’entrata in vigore del divieto al gennaio 2011, facendo un cattivo servizio alle aziende del settore che persero tempo prezioso per la possibile riconversione su prodotti ecosostenibili e innovativi. 

  

Sconfitta questa strategia suicida, si è voluti passare al classico “fatta la legge, trovato l’inganno” e sono quindi apparsi sul mercato nel corso del 2011 – quindi a divieto già  in vigore €” sacchetti che si autodefinivano biodegradabili ma che nei fatti sono realizzati da materia prima fossile cui si aggiungono additivi chimici. Si è resa quindi necessaria la specifica in norma di cosa era da considerare davvero biodegradbile e, in ossequio alla legge del 2006 che faceva riferimento a “ai criteri fissati dalla normativa comunitaria e dalle norme tecniche approvate a livello comunitario” con la legge 28/2012 si sono esentati dal divieto solo quegli shopper con polimeri conformi alla norma armonizzata Uni En 13432:2002: dal 25 marzo di quest’anno nessun altro sacchetto può essere considerato “biodegradabile” ai fini dell’esenzione dal divieto di commercializzazione. 

  

Ma Unionplast sembra non arrendersi e prova a confondere nuovamente le acque con una circolare del 12 aprile 2012 da “azzeccagarbugli”. Nella nota che Unionplast ha inviato ai propri soci, l’Unione nazionale industrie trasformatrici materie plastiche sostiene che sarebbero esenti dal divieto di commercializzazione riguardante gli shopper non solo i sacchetti biodegradabili e quelli riutilizzabili realizzati con altri polimeri ma con spessori minimi ben indicati dalla legge, ma anche “sacchetti ottenuti impiegando plastiche da riciclo post consumo, senza vincoli di spessori e di maniglia, aventi un contenuto di materiale plastico riciclato nella percentuale di non meno del 30 per cento per quelli ad uso alimentare, 10 per cento se destinati ad altri usi”, quando è invece del tutto evidente dalla lettura dell’articolo 2 del decreto che l’interpretazione dell’Unionplast è non solo errata ma anche fuorviante: il comma 3 infatti impone l’utilizzo di percentuali di plastica proveniente dal riciclo post consumo esclusivamente per quei sacchetti, che pur non essendo conformi alla norma Uni En 13432, sono da considerarsi riutilizzabili così come descritti, per lo spessore e la tipologia di maniglia, al comma 1 che è quello che stabilisce le esenzioni dal divieto [shopper con maniglia esterna: spessore superiore a 200 micron (uso alimentare) e 100 micron (altri usi); shopper con maniglia interna: spessore superiore a 100 micron (uso alimentare) e 60 micron (altri usi)]. 

Insomma un ennesimo, inutile peraltro, tentativo di intorbidire le acque. 

  

Temo non finirà  qui e che proveranno a sostenere che il decreto ministeriale che il governo deve emanare entro il 31 dicembre 2012 (e che auspicabilmente farà  molto prima) possa rimettere in discussione la norma sulla biodegradabilità . Ma non c’è alcuna possibilità  di questo tipo , infatti l’incipit del comma 2 (quello che riguarda il decreto) è chiaro: “Fermo restando quanto previsto dal comma 1…” 

C’è un punto della legge modificato nel passaggio alla Camera, infine, che chi scrive non ha condiviso e che obiettivamente non è coerente: lo spostamento al gennaio 2014 della possibilità  di comminare sanzioni a chi non rispetta il divieto. 

Procrastinare le sanzioni su un divieto in vigore non è mai un bel segnale per il rispetto della legalità  e auspichiamo che tale termine venga dallo stesso Parlamento anticipato al più presto, ma sia chiaro che già  oggi chi volesse procedere alla commercializzazione di sacchetti non conformi alla norma rischia il sequestro del materiale illegale e i conseguenti danni economici. 

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