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Ponte stretto: basta sprechi, Clini e Passera smettano accanimento terapeutico e seguano esempio di Barca

E’ assurdo e inaccettabile che tutti i giorni si parli di spending review e poi si continuino a buttare soldi dei contribuenti tenendo in vita l’iter di un’opera come il Ponte sullo Stretto di Messina, inutile per la collettività  e che non è all’ordine del giorno. Il governo Monti finalmente l’aveva detto con chiarezza, non si capisce perché i ministri Clini e Passera si muovano al contrario”. Roberto Della Seta e Francesco Ferrante, senatori Pd, commentano così la decisione dei ministri Clini e Passera di proseguire nella procedura di Via sul ponte e di convocare addiritttura la conferenza dei servizi per autorizzarlo. “Da alcuni decenni – affermano i due parlamentari ecodem – i contribuenti italiani pagano centinaia di milioni per tenere in vita la Società  Stretto di Messina e coltivare l’idea di sperperare miliardi per costruire un’infrastruttura che non serve. Nel frattempo, il sistema dei trasporti del Sud è al collasso, con danni sempre più gravi per i cittadini e per le imprese. Clini e Passera invece di cimentarsi in questo ridicolo accanimento terapeutico su un’opera morta e sepolta, farebbero bene a seguire l’esempio di un loro collega più saggio e concreto, il ministro Barca, impegnato a utilizzare le risorse disponibili per far partire subito i cantieri di opere pubbliche di cui l’Italia abbia davvero bisogno”.

Carceri, è l’ora delle alternative

Non bisogna certo essere accaniti giustizialisti in Italia per nutrire dei dubbi sul concetto di certezza della pena nel nostro Paese. La cronaca spesso ci restituisce unimmagine di un sistema giudiziario inefficiente e inefficace e che spesso suscita l’impressione che chi sbaglia non paghi fino in fondo. E molte volte a questa sensazione se ne accompagna un’altra relativa  alla pena dellergastolo che invece è falsa. L’ergastolo, la massima pena prevista nell’ordinamento giuridico penale italiano per un delitto sarebbe una pena non abbastanza dura perché un luogo comune piuttosto diffuso dice che  non è a vita, dopo un po escono tutti. Invece no, in Italia di ergastolo si muore. O meglio, nelle nostre carceri si infligge e si sconta una pena di morte viva. Così l’ha chiamata Carmelo Musumeci, ergastolano, scrittore e attivista per i diritti dei reclusi. In Italia infatti è in vigore lergastolo ostativo, ovvero un ergastolo che non prevede assolutamente leventualità  che la pena carceraria si possa tramutare in una pena alternativa, non prevede permessi, per alcun motivo: si passa la vita dietro le sbarre, fino al giorno in cui il medico del carcere certificherà  la morte del detenuto. Per questo a Carmelo le autorità  hanno negato il permesso di venire a rendere la sua testimonianza a Roma in Senato, martedì 2 ottobre, al convegno che abbiamo organizzato con Antigone, l’associazione Papá Giovanni XXIII, la  Scuola di Filosofia fuori le mura e il Dipartimento di Teoria e Metodi delle Scienze umane dellUniversità  di Napol su “Ergastolo e democrazia”. Al convegno parteciperanno oltre a Nadia Bizzotto e al professor Giuseppe Ferraro, ideatori dell’iniziativa, e ai colleghi Di Giovanpaolo, Bonino e Fleres, giuristi ed e esponenti della società  civile impegnati sul fronte dei diritti e della civiltà  (da Gherardo Colombo ad Agnese Moro, Paolo Ramonda a Stefano Anastasia, da Luciano Eusebi a Carlo Fiorio, da Andrea Pugiotto a Eligio Resta).

Sarà  l’occasione per tornare a parlare di ergastolo, una pena che contraddice spirito e sostanza della nostra costituzione e in particolare dell'”ostativo”. Spiegheremo che il detenuto condannato a questa pena ha una sola possibilità  per sperare in un ‘ora di permesso, o che un giorno gli vengano riconosciuti i benefici di legge, di legge insisto:  occorre che collabori, ovvero che faccia i nomi di altri coinvolti in reati gravi collegati alla criminalità  organizzata. Un “pentimento”, che in alcuni detenuti possiamo e dobbiamo ritenere sia sincero, che può dimostrarsi solo in unazione che per molti equivale a coinvolgere la famiglia, che allesterno potrà  diventare il bersaglio di vendette trasversali.

Non stupisce dunque che la grandissima maggioranza di chi ha un ergastolo ostativo non diventi un collaboratore di giustizia. Una voce altamente autorevole come quella lex presidente della Corte Costituzionale Onida, nel rispondere a precise domande di Musumeci e altri condannati nelle sue condizioni, ha confutato il nesso tra ravvedimento e pentimento espresso con la collaborazione con la giustizia.

Sia chiaro che non è in discussione qui lobbligo di infliggere una pena severa, ma è il caso però di riflettere se quella che è una sostanziale sentenza di morte, semplicemente diluita nel tempo, sia conforme ai principi di uno stato di diritto, a partire dal nostro e dalla nostra Carta.

Il ravvedimento del condannato è il fine ultimo dello Stato che si assume lonere di punire il colpevole, ma lergastolo ostativo è la  negazione assoluta del concetto, perché una persona che uscirà  solo da morta da un penitenziario, consapevole di questo destino, non potrà  mai ovviamente dimostrare alla società  se e quanto sia cambiato.

Lergastolo ostativo è lespressione più eclatante dellannichilimento del percorso di recupero, ma occorre avere il coraggio di affrontare questioni impopolari quali lergastolo nella sua forma più diffusa e più in genere la funzionalità  del carcere e della pena.

Noi riteniamo che sia giusto dire la verità , elevare il livello di  giustizia e democrazia di uno stato affrontando lo stato delle carceri e dei detenuti, con un approccio scevro di emotività  e facile demagogia.

E arrivato il momento, come disse il cardinal Martini, di non limitarsi a pensare a pene alternative, e già  sarebbe qualcosa visto l’intollerabile sovraffollamento delle carceri, ma è necessario cominciare a ragionare seriamente su alternative alle pene.

 

 

Ambiente: commissione AIA a rischio, svolge funzione fondamentale in vicenda ILVA, ma il Governo avrebbe decreto per depotenziarla

“Apprendiamo con stupore che proprio nelle ore in cui la Commissione Aia è chiamata a svolgere una funzione importantissima nella drammatica vicenda Ilva, la stessa commissione potrebbe avere il futuro segnato per mano dello stesso governo.
Fondere le commissioni Via e Aia in un unico organismo, come intenderebbe fare il ministro Clini per decreto, equivarrebbe a depotenziarle.
Questa operazione giustificata con ragioni di spending review francamente poco convincenti, in considerazione dei costi tutt’altro che insostenibili delle commissioni, rischia di privare il Ministero dell’Ambiente di due  organismi altamente qualificati.
Il ministro Clini ci ripensi, perché serve piuttosto rafforzare gli strumenti controllo e verifica,  in modo da poter sostenere una politica industriale fondata sulla green economy.”
Lo dichiarano i senatori ecodem del Pd Francesco Ferrante e Roberto Della Seta.

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