Al Forum organizzato da Legambiente, Nuova Ecologia e Kyoto Club, in corso a Roma oggi e domani, il Vicepresidente dell’Associazione, Francesco Ferrante, sottolinea che economia circolare e transizione energetica sono la chiave per una nuova politica industriale.
Per gran parte dei cittadini, l’Italia deve fare di più su rinnovabili, economia circolare e lotta alla crisi climatica. Fonti pulite ed economia circolare rappresentano due volani per il Paese permettendo di creare nuovi green jobs: oltre 1 italiano su 2 ritiene che in futuro aumenteranno. Due, poi, le priorità d’azione che emergono in prima battuta dal sondaggio: per il 54% degli intervistati il Governo dovrebbe incentivare la produzione e l’impiego di energie rinnovabili e per sviluppare l’economia circolare; per il 38% le amministrazioni dovrebbero semplificare il processo autorizzativo degli impianti di energie rinnovabili e per sviluppare l’economia circolare. Per quanto riguarda la crisi climatica che avanza, i cittadini sono sempre più consapevoli delle ricadute economiche e degli impatti su territori e salute delle persone.In particolare, per il 61% degli intervistati l’aumento dei disastri naturali è dovuto proprio alla crisi climatica, per il 45% i cambiamenti climatici hanno effetti sul costo della vita in generale, per il 44% determinano un aumento dei costi dei prodotti alimentari, per il 29% un aumento delle malattie croniche, allergie e tolleranze. L’impegno a contrastare la crisi climatica deve vedere in prima fila per il 72% degli intervistati i Governi nazionali, seguiti da aziende e consorzi (42%), amministrazioni locali (39%), cittadini /consumatori (35%), media (20%).
Dati che Legambiente e Kyoto Club hanno portato all’attenzione del ministro dell’ambiente Gilberto Pichetto Fratin intervenuto alla prima giornata dell’Ecoforum, la conferenza nazionale sull’economia circolare dal titolo“Economia 2030. Priorità, cantieri, strumenti per raggiungere gli obiettivi europei” organizzata a Roma il 3 e 4 luglio da Legambiente, Kyoto Club e Nuova Ecologia, in collaborazione con Conai e CONOU, con il patrocinio del MASE e della Regione Lazio.
Per le due associazioni è un grave errore che il Governo segua la strada dell’atomo. La via da percorrere è quella delle rinnovabili – dicendo no al nucleare e stop alle fonti fossili –, dell’economia circolare – facendola decollare in modo omogeneo su tutto il territorio nazionale a partire dalle tre filiere strategiche RAEE (Rifiuti da Apparecchiature Elettriche ed Elettroniche), tessile e materie critiche che rappresentano le nuove “miniere urbane” a cui attingere senza dipendere dall’estero – migliorando al tempo stesso la qualità della raccolta differenziata, su cui l’Italia oggi è in ritardo.
Tre gli interventi urgenti su cui per Legambiente e Kyoto Club è necessario che l’Italia lavori: 1) Accompagnare la realizzazione degli impianti necessari alla rivoluzione circolare del Paese, visti come un’opportunità di riqualificazione sociale, risanamento ambientale e rilancio economico dei territori. 2) Sostenere lo sviluppo di filiere e settori strategici nel panorama nazionale, dal tessile alle materie prime critiche, dai rifiuti speciali ai RAEE passando per lo spreco alimentare, e sostenere ricerca e sviluppo di nuove soluzioni per affrontare le sfide dell’era digitale anche in questi settori. 3) occorre consolidare e rafforzare nei territori i principi cardine della gerarchia della gestione dei rifiuti (4R). Ossia Riduzione, riutilizzo, riciclo e recupero dei rifiuti.
“Per centrare gli obiettivi Ue al 2030 – dichiara Stefano Ciafani, presidente nazionale di Legambiente – servono politiche e interventi coraggiosi che permettano di accelerare il passo e di contrastare la crisi climatica. Mancano solo sei anni al 2030, ma il Governo Meloni guarda al passato a partire dalla scelta fatta sul PNIEC contenente un mix energetico basato anche sul nucleare, sul gas e sul Piano Mattei. Una decisione grave che non tiene conto delle esperienze virtuose in fatto di rinnovabili, sparse nella Penisola, e della leadership italiana sull’economia circolare in Europa. Occorre accelerare lo sviluppo e la realizzazione di nuovi impianti a fonti pulite e lavorare sulle filiere strategiche dell’economia circolare a partire dal riciclo dei RAEE. Per far ciò occorre rimuovere quegli ostacoli burocratici e tecnologici che oggi ne rallentano lo sviluppo, perseguire la strategia “Rifiuti zero, impianti mille”, puntare ad un modello di gestione sempre più ottimale, basato su raccolta porta a porta, tariffazione puntuale, impiantistica diffusa e capillare sul territorio e nuove campagne di informazione e sensibilizzazione rivolte ai cittadini”.
“Economia circolare e transizione energetica da fossili a rinnovabili non sono più solo un must per affrontare la crisi climatica che si è fatta drammatica realtà, ma anche la chiave per fare una politica industriale che consenta al nostro sistema economico di giocare un ruolo da protagonista e non solo in difesa nello sconvolgimento geopolitico cui stiamo assistendo. Siamo quindi preoccupati per gli errori che si stanno facendo sul fronte delle rinnovabili, con un decreto “aree idonee” che non “idoneizza” nulla e che anzi complicherà il permitting, e sul fronte dell’economia circolare, per esempio, o sui ritardi che si accumulano sulle discipline end of waste che consentirebbero di uscire dal ciclo dei rifiuti a materiali che farebbero risparmiare tanta materia prima. dichiara Francesco Ferrante, vicepresidente del Kyoto Club.
Numeri filiere strategiche: RAEE, tessili e Materie critiche: secondo i dati di Erion Wee, il consorzio dei rifiuti associati ai prodotti elettronici, dal riciclo di 1.000 tonnellate di Raee si potrebbero recuperare circa 900 tonnellate di materie prime come plastiche, vetro, cemento, rame, alluminio e legno.
Per quanto riguarda il settore settile, stando ai dati dell’Agenzia Europea dell’Ambiente (EEA), nel 2020, è stato la terza fonte di degrado delle risorse idriche e dell’uso del suolo. In quell’anno, sono stati necessari in media nove metri cubi di acqua, 400 metri quadrati di terreno e 391 chilogrammi di materie prime per fornire abiti e scarpe per ogni cittadino dell’UE. Il 56% delle materie prime critiche necessarie all’Europa viene attualmente dalla Cina così come circa il 90% della produzione mondiale di terre rare, di manganese e di germanio. In questo scenario il Critical Raw Materials Act, emanato a marzo 2023 dalla Commissione UE stabilisce che entro il 2030 l’estrazione, raffinazione e riciclo di tali materie debbano soddisfare, rispettivamente, almeno il 10%, 40% e 15% del fabbisogno europeo, con l’obiettivo di rendere le filiere industriali più resilienti e meno dipendenti da Paesi terzi.
Conoscenza economia circolare e focus smaltimento rifiuti: Tornando al sondaggio Ipsos, resta stabile la conoscenza sull’economia circolare. La quota dei conoscitori resta stabile al 45% (come nel 2023). Per quanto riguarda il corretto smaltimento dei rifiuti, il 70% di famiglie e individui si confermano i soggetti più virtuosi rispetto allo smaltimento dei rifiuti, seguiti dal settore pubblico (62%) e dalle aziende (57%). Nella classifica dei materiali ritenuti dai cittadini più pericolosi da smaltire, si confermano: l’olio minerale lubrificante usato (60%), RAEE (53%), e plastica dura (50%). Per quel che riguarda l’olio minerale esausto, i cittadini sanno che viene raccolto e che può essere rigenerato, ma il consumatore chiede che venga indicato sulla lattina per poter fare scelte consapevoli.
“Da numerosi rapporti sui rifiuti e sull’Economia Circolare – dichiara Riccardo Piunti, presidente del CONOU – emerge un dato: siamo spesso più bravi a raccogliere che a riciclare. Questo, se vale per molti rifiuti urbani e no, tuttavia non vale per l’olio minerale che (dallo studio UE della fine del 2023) pone l’Italia in prima fila nella raccolta (100%) e nella rigenerazione (98%) rispetto all’82% e 61% della media UE. Paradossale che proprio (e forse solo) in questo settore l’Europa non abbia fissato obiettivi, nonostante riconosca l’importanza di rigenerare questo rifiuto pericoloso. La Raccolta, che spesso si avvale della efficacia del modello consortile italiano, si trova ora dinanzi a una prospettiva di evoluzione, dalla piccola impresa familiare a quella parte di grandi gruppi, magari stranieri, con tutte le differenze del caso”.
«Il nostro Paese ha superato gli obiettivi complessivi di riciclo chiesti dall’Europa al 2030, quando ogni Stato dovrà riciclare almeno il 70% dei suoi rifiuti di imballaggio» spiega Fabio Costarella, vicedirettore generale CONAI. «Secondo gli ultimi dati Eurostat, l’Italia è leader per riciclo pro-capite di imballaggi in un testa a testa con la Germania: lo scorso anno, infatti, la Commissione Europea ci ha inserito fra le nove nazioni non a rischio per il raggiungimento degli obiettivi di riciclo, nella sua relazione di segnalazione preventiva sull’attuazione delle Direttive sui rifiuti. Dobbiamo continuare a impegnarci, però. Il nuovo Regolamento europeo chiederà tassi di intercettazione dei pack sempre più alti: occorre lavorare per aumentare quantità e qualità delle raccolte differenziate degli imballaggi, anche attraverso lo strumento delle raccolte selettive, ove opportune. Ma per migliorare saranno importanti anche le innovazioni a monte, per progettare pack sempre più riciclabili, e a valle, cercando tecnologie di riciclo capaci di recuperare materia dalle frazioni ancora difficili da riciclare».