pubblicato su La Nuova Ecologia
Sulle politiche ambientali è sempre stata l’Ue a trainare il nostro Paese. Colpa di una classe politica refrattaria a capire che sono una straordinaria occasione di sviluppo
Siamo alle prime battute di una nuova legislatura europea, con una nuova Commissione e la stessa presidente. E sostanzialmente con le stesse linee guida di quella che si è conclusa la scorsa primavera. Basate sul Green deal. Questa è la prima “puntata” di una rubrica con cui proverò a tenere compagnia a voi lettori di Nuova Ecologia nel viaggio – sfidante, difficile, affascinante – della transizione. Mi sembrava allora giusto iniziare proprio dall’Europa.
Oggi è lampante quanto l’Unione Europea sia importante nello scacchiere geopolitico, come nella nostra vita quotidiana. Ma in realtà da sempre l’Europa è determinante nelle politiche ambientali del nostro Paese, che spesso su questo fronte si è trovato ad arrancare, in perenne ritardo. Fin dagli anni ’80, quando grazie all’Europa si stabilirono limiti per l’inquinamento atmosferico e quello di mari e fiumi. Con l’introduzione delle norme sui rifiuti, che recepimmo nella seconda metà degli anni ’90 con il decreto Ronchi. E poi, più di recente, con il pacchetto sull’economia circolare, le direttive sulle rinnovabili e i limiti sempre più stringenti sulle emissioni climalteranti. In tutti questi casi è stata l’Europa – nonostante le pesantezze burocratiche dovute alla tripartizione dei poteri tra Parlamento, Commissione e Stati membri – a trainare l’Italia, dove la classe politica è sempre stata refrattaria a capire che le questioni ambientali non sono soltanto un vincolo da rispettare ma una straordinaria occasione di sviluppo.
Il paradosso è che nel frattempo in Italia si coltivavano eccellenze del sistema industriale. È stato sicuramente così sull’economia circolare: mentre davamo scandalo nel mondo per le immagini di nostre grandi e bellissime città sommerse dall’immondizia per l’incapacità delle amministrazioni locali di mettere in campo gestioni intelligenti dei rifiuti, allo stesso tempo macinavamo record europei nelle percentuali di riciclo, inventavamo la plastica biodegradabile e compostabile che poteva entrare nel ciclo del rifiuto organico, potevamo vantare territori in cui le percentuali di raccolta differenziata sono tra le più alte d’Europa. Tanto che la metropoli europea migliore, da questo punto di vista, è Milano. Altro che Copenaghen o Berlino.
Tutto bene, quindi, nonostante la politica? No, al contrario. Prendiamo due tra le ultime norme approvate in questo campo a livello europeo. Due norme positive nella loro impostazione: la Sup (Single use plastic) e il Regolamento imballaggi. Positive perché entrambe mirano a ridurre i rifiuti a monte: la prima limitando l’usa e getta, il secondo incentivando il riuso. Beh, la politica italiana non si è dimostrata all’altezza in nessuno dei due casi. Nel recepimento della Sup, per un errore di notifica, siamo adesso in infrazione perché non abbiamo saputo proteggere la nostra eccellenza della plastica compostabile. Nel Regolamento imballaggi, invece, non abbiamo saputo valorizzare a sufficienza il nostro sistema molto efficiente e il nostro governo ha osteggiato fino all’ultimo la sua approvazione.
L’auspicio è che in questa legislatura la truppa dei parlamentari europei eletti in Italia sappia cogliere meglio le occasioni che l’Europa ci offre. Monitoreremo e ve lo racconteremo nel corso del nostro “viaggio”.