Pubblicato su La Nuova Ecologia
Il Congresso di Legambiente del 1995 fu segnato come forse poche altre volte – almeno sui media e tra gli osservatori esterni – da un interesse strettamente “politico”. Era successo che nel documento congressuale che preparava il nostro congresso, che si sarebbe tenuto a Roma nella magnifica Centrale Montemartini che non era ancora diventata quel bellissimo museo che si può visitare oggi, avevamo scritto nero su bianco una convinzione che nell’associazione – a livello nazionale innanzitutto, ma anche in moltissimi circoli – era maturata da tempo e che cioè l’esperienza politica dei Verdi nelle istituzioni (iniziata un decennio prima) “aveva esaurito la sua spinta propulsiva”. E in effetti anche la storia successiva, con i Verdi che mai sono riusciti a imporre in Italia ciò che i Gruenen hanno ottenuto in Germania e cioè che le questioni ambientali divenissero centrali nel dibattito politico, hanno dato ragione a quella che più che un’intuizione era già un constatazione. Noi volevamo esprimere con quella dichiarazione – che sapevano avrebbe fatto rumore – non solo la necessità che l’associazione non contasse sulla presenza della pattuglia (non numerosissima) di deputati, senatori, consiglieri Verdi per parlare con la “politica” e le istituzioni, ma prendevamo atto di ciò che già succedeva appunto sia a Roma che a livello territoriale . Legambiente si era data una struttura solida, era autorevole – grazie alle sue campagne e ai suoi dossier – e non c’era bisogno di intermediazione alcuna.
Ma a distanza di quasi trent’anni non possiamo negare che l’utilizzo di quella formula aveva anche l’obiettivo di suscitare “curiosità”. E infatti media e osservatori la tradussero così “Legambiente vuole farsi partito”. Non era così, non era affatto nostra intenzione. Anzi noi eravamo orgogliosi di aver creato un Movimento Organizzato in Forma Associativa, che é poi quello che oggi festeggia felicemente i suoi 40 anni di vita, peculiare perché voleva tenere insieme l’ambientalismo scientifico e la capacità di incidere e interloquire con la politica, una forte direzione nazionale che individuava temi e campagne d’azione e una rete di circoli diffusi sul territorio, autonomi ma strettamente
connessi. Insomma un esperimento abbastanza unico nel panorama associativo europeo che si è dimostrato di successo. Non nascondo però che in questi anni mi sono chiesto più volte quale sarebbe stata la storia, la nostra e quella dell’ ambientalismo in politica, se avessimo voluto rispondere alla provocazione di Massimo D’Alema, allora Segretario del PDS, che dal palco del Congresso, raccogliendo a suo modo la sfida che leggeva nel documento congressuale con i suoi “occhiali”, ci chiese “ma voi quante truppe avete?”
Noi eludemmo quella domanda e preferimmo restare associazione che però seppe cogliere meglio e prima di tante altre forme organizzate (i partiti, ma anche i sindacati) i fermenti che alla fine del millennio (a Seattle) e poi dal 2001 con Forum sociali di Porto Alegre portarono alla contestazione del “pensiero unico”. E li forse scatta il vero rimpianto: se non fossimo rimasti soli a vedere le criticità della globalizzazione forse la si sarebbe davvero potuta governare meglio di quanto, anche la sinistra politica mondiale, decise sostanzialmente di non fare.
Ma il Congresso di Legambiente non è mai stato solo quello di cui parlavano i media o che appariva dall’esterno. È stato sempre un luogo di incontro di uomini e donne appassionati e io ne vorrei ricordare tre tra tanti che non ci sono più e che furono protagonisti di quell’appuntamento. Mario Di Carlo che era il Direttore Generale uscente (io poi lo sarei stato sino al 2007) e che si era dimesso perché aveva deciso di giocarsela la “carta politica” entrando nella squadra di Francesco Rutelli da poco Sindaco della Capitale e che però partecipò con la consueta irruenza a tutto il dibattito precedente e ai tre giorni congressuali perché Legambiente era la sua “casa” e lo sarebbe stata sino alla fine.
Cecilia Dal Cero, una ragazza di Verona, biologa protagonista di tante Golette sui mari e sui laghi che entrò nel Direttivo (oggi si chiama Assemblea dei Delegati) proprio alla fine di quel congressso davvero “per i meriti acquisiti sul campo “ e che se ne è andata davvero troppo presto.
E Rita Tiberi che dei Congressi di Legambiente da quello del 1989 all’ultimo è stata la “creatrice”, la rete di sicurezza su cui potevamo contare noi trapezisti.Se la è portata via il Covid Rita e ci mancherà moltissimo.