pubblicato su www.lanuovaecologia.it
Quale ruolo della Cina nella transizione ecologica? Abbiamo sentito su questo tema indubbiamente centrale il vicepresidente del Kyoto Club Francesco Ferrante.
di Luca Biamonte
Già Senatore e figura storica dell’ambientalismo italiano, in questi anni al vertice del Kyoto Club e come vicepresidente del Coordinamento FREE (Fonti Rinnovabili ed efficienza energetica), che hai fondato oramai più di 10 anni fa e che ha come soci tutte le associazioni di imprese impegnate sulle rinnovabili e l’efficienza, hai avuto modo di ascoltare e rappresentare anche le esigenze di quel mondo economico. Quale è il loro sentiment attuale nei confronti della Cina?
Intanto va detto che c’è consapevolezza diffusa se non unanime che il “centro del mondo”, che una volta si trovava in un luogo imprecisato dell’Oceano Atlantico, tra l’Europa e gli Stati Uniti, ormai, e non da poco tempo, si è spostato nell’Oceano pacifico. Vale per tutta l’economia e la geopolitica e ovviamente sulle questioni energetiche. Quindi l’attenzione verso l’oriente e la Cina in particolare è massima. E ogni momento di “chiusura” come per esempio durante il Covid è vissuto con grande preoccupazione
Ma non è forse vero che anche se l’Europa raggiungesse gli obiettivi che si pone sulla decarbonizzazione, i suoi sforzi sarebbero vanificati perché noi siamo responsabili di meno del 10% delle emissioni globali e invece Paesi come la Cina e l’India, per fare l ‘esempio dei due maggiori, continuano ad aumentare le loro emissioni?
Questo ragionamento lo fa soprattutto chi spinge per l’”inazionismo” di fronte alla crisi climatica ma non tiene conto di due o tre questioni. Alcune che appartengono all’etica e una, fondamentale, di tipo economico. Quelle etiche riguardano due punti: le emissioni storiche e quelle pro-capite. A me pare evidente che chi – questa parte del mondo – è cresciuto nel benessere garantito dallo sfruttamento delle fonti fossili per un paio di secoli debba impegnarsi anche di più e prima di chi di quel benessere non ha goduto e anzi ne patisce più che altrove le conseguenze dovute alla crisi climatica. Basti pensare alla desertificazione che avanza in tutto il Sud del mondo. E poi quando si dice che la Cina a breve supererà tutti nelle proprie emissioni globali non si considerano quelle pro-capite, classifica nella quale tutt’ora trionfano gli statunitensi. Quindi è certo che se nelle trattative internazionali, alle COP, è giusto che si chieda il coinvolgimento di tutti per combattere la crisi climatica, le richieste che vengono da parte di quello che si chiama Sud globale non possono proprio essere liquidate con un’alzata di spalle.
Hai detto però che c’è anche un motivo economico fondamentale. Quale?
Il fatto che la Cina contrariamente alla narrazione dominante sta correndo come nessuno sul fronte delle rinnovabili. Ti devo snocciolare un po’ di numeri. Sai a quanto assomma la capacità eolica onshore e offshore in Cina? Oltre i 300 GW. E solo lo scorso anno hanno installato quasi 100 GW di fotovoltaico, e così a fine 2022 nel paese si sono superati i 414 GW di capacità cumulativa da FV (oltre il doppio di quella presente in tutta Europa). In complesso le fonti energetiche “carbon-free” in Cina hanno raggiunto adesso i 1.330 GW, già oggi oltre metà della potenza totale del parco generativo: e questi GW sono quasi tutti rinnovabili, infatti un terzo sono fotovoltaici, un terzo idroelettrico, un 28% da eolico e appena il 4% da nucleare. Di conseguenza quest’anno oltre il 40% della produzione di energia elettrica sarà carbon-free. E’uno sforzo imponente e infatti investono oltre 70 miliardi di dollari all’anno
Però continua ad aumentare il carbone?
E’ vero in termini assoluti, perché la fame di energia è tanta, ma in termini percentuali in pochi anni sono scesi dal 70% di elettricità prodotta da carbone al 56%. E’importante guardare alle tendenze. Discorso che vale anche su elettrificazione dei trasporti. Un’inchiesta di MIT Technology Review riporta che, nell’ultimo biennio, il numero di veicoli elettrici venduti ogni anno in Cina è cresciuto da 1,3 milioni a ben 6,8 milioni, rendendo così il 2022 l’ottavo anno consecutivo in cui il colosso asiatico è stato il più grande mercato mondiale per i veicoli elettrici; l’anno scorso i veicoli elettrici hanno rappresentato il 25,6% delle vendite totali di automobili in Cina, con oltre 5,36 milioni di unità di veicoli elettrici a batteria e 1,52 milioni di unità di veicoli elettrici ibridi plug-in. Inutile lamentarsi del fatto che oltre la metà delle batterie montate dalle auto elettriche europee vengono dalla Cina, se anche da questa parte del mondo non si mettono in campo investimenti analoghi a quelli cinesi che nell’elettrificazione dei mezzi di trasporto (auto private e bus) dal 2009 ha erogato sussidi per una cifra intorno ai 27 miliardi. E l’anno scorso i veicoli elettrici hanno rappresentato il 29% delle vendite di autovetture sul territorio cinese, rispetto al 16% del 2021.
E quindi come vedi il futuro?
Io credo che la marcia delle rinnovabili sia inarrestabile. Come disse Yamani, lo storico “ministro degli esteri” dell’Opec, “l’era delle pietre non finì per l’esaurimento delle pietre, ma per l’innovazione tecnologica che è il verno nemico mortale dell’Opec2. Ecco siamo arrivati a quel punto della storia. L’urgenza che ci impone la crisi climatica nel marciare verso la decarbonizzazione trova risposta economica proprio grazie all’innovazione. E questo succede, sta succedendo e io prevedo che accelererà nel futuro prossimo in tutto il mondo. Si tratta di scegliere se farlo in una competizione selvaggia e predatoria, di materie prime e tecnologie, provando a rubarci vicendevolmente le une e le altre. O piuttosto in un quadro di condivisione – che io non penso che si possa ricomporre se non in ambito nazioni Unite attraverso le COP – trovare forme nuove di collaborazione e di interscambio. L’Europa deve continuare a spingere attraverso il Green Deal a tutte quelle attività proprie dell’economia circolare a partire dal recupero e riciclo delle materie prime critiche che da una parte la renderanno meno dipendente dall’estero e dall’altra le consentiranno di acquisire un know how che sarà indispensabile in tutto il mondo. Ricordo il periodo in cui nei grandi campi cinesi fotovoltatici si montavano inverter di tecnologia italiana. L’obiettivo è tronare a quegli scambi reciprocamente convenienti, in cui la Cina può svolgere ruolo positivo nel contenimento dei prezzi e di nuovo nello scambio di expertise e know how.