Immigrati: ddl del Pd contro espulsioni a causa della crisi

– “Una proposta breve e semplice per la modifica del permesso di soggiorno per immigrati, nel punto che sancisce l’impossibilita’ di rinnovo del permesso, se il lavoratore perda l’impiego”. Cosi’ il senatore Roberto Della Seta del Pd, presentando in conferenza stampa il disegno di legge n.2115, firmato da 36 senatori del Partito democratico.
L’esponente democrats spiega che l’iniziativa di legge “nasce dalle sollecitazioni di cittadini stranieri” per superare “una situazione inaccettabile, di negazione di diritti civili e sociali e il ddl”.
Gli fa eco il senatore
Ferrante, del Pd, che aggiunge: “In un periodo di crisi, per i lavoratori immigrati, oltre il danno dell perdita del lavoro, c’e’ la beffa dell’espulsione. Da qui una proposta di semplice buon senso”.
Il ddl prospetta un prolungamento dei tempi tra l’eventuale perdita del lavoro e l’espulsione dal territorio italiano prevista dalla legge Bossi-Fini.
“Molti politici- chiosa Roberto Montoya, rappresentante della comunita’ degli immigrati di Roma- non capiscono cosa vuol dire essere immigrato e vedersi negare quotidianamente i propri diritti.  “Siamo piu’ di quattro milioni. Ottocentomila nostri ragazzi vanno a scuola e due parlamentari prendono atto delle nostre richieste che partono dal basso per proporre una legge. Il vento sta cambiando”. Cosi’ Edgar Gallano, uno dei rappresentanti della comunita’ degli immigrati di Roma, nel corso della conferenza stampa di presentazione del ddl n.2115, firmato da 36 senatori del Partito democratico.
In merito alla possibilita’ di espulsione, perdendo il lavoro a causa della crisi economica, uno dei portavoci del movimento degli immigrati dice: “Ci sentiamo ghettizzati. Invece siamo una ricchezza per questo paese”, che vale “il 10% del Pil”.
Continua Sibi Mani, cittadino italiano da quale settimana, ricordando l’equazione automatica “immigrato uguale delinquente.
“Io so bene che se parlo da solo nessuno mi ascolta, mentre insieme possiamo dare voce agli immigrati“.
Con queste parole Sibi Mani introduce il primo congresso degli immigrati, in programma sabato 24 e domenica 25 Aprile a Roma.
“Parlare in Senato per noi e’ una conquista. Questo e’ un luogo rappresentativo della democrazia”, conclude.
E sui timori sollevati da chi guarda alla convention come la prima tappa del partito degli immigrati, taglia corto Edgar Gallano: “Non vogliamo costruire un partito ne’ un sindacato. Vogliamo solo organizzarci per far sentire anche la nostra voce”

Il Lingotto, un’idea dell’Italia

Grazie all’intervento di Matteo Orfini pubblicato su Europa di qualche giorno fa, abbiamo finalmente capito il problema vero del Pd, la ragione per la quale in due anni abbiamo perso cinque milioni di voti: la colpa di tutto è del Lingotto, «summa teorica – così Orfini – di una visione dell’Italia mutuata da tutte le narrazioni dominanti nel ristretto circuito delle nostre classi dirigenti». 

Lasciando da parte l’ironia, che vuol dire questo giudizio così sommario e liquidatorio? A prima vista esprime più che altro lo zelante riflesso pavloviano del più giovane dei pupilli dalemiani che inchioda il Pd di oggi a quella stessa cifra conflittuale – D’Alema contro Veltroni – che ha segnato ed estenuato la sinistra nell’ultimo quindicennio. 

In realtà , qualcosa di più comprensibile Orfini la dice. Secondo lui il peccato originale del Pd sarebbe stato, da una parte, di non avere «una propria idea dell’Italia», dall’altra di cedere a un’idea leaderistica della politica costituendosi esso stesso come «un partito a evidente vocazione presidenziale». 

A noi, che non veniamo da questa storia infinita di odii fratricidi tutta interna ai gruppi dirigenti del PciPds/Ds (ed ereditata, evidentemente, dai loro “discendenti”), a noi che come tanti non ne possiamo più di vederla replicata in sedicesimo anche nella nuova “casa” democratica, sembra al contrario che se il discorso del Lingotto aveva un pregio, era proprio di indicare con chiarezza una idea dell’Italia, fondata su valori e obiettivi che cercavano di oltrepassare il perimetro un po’ angusto e datato delle categorie post-comuniste e post-democristiane: l’ambiente come criterio decisivo per costruire una più credibile e convincente prospettiva di benessere sociale e di sviluppo economico, una lotta senza quartiere contro ogni forma di illegalità  e contro le troppe cadute di etica pubblica che lambivano (e lambiscono) la nostra parte politica, una nozione totalmente rinnovata di giustizia sociale con al centro temi ed esigenze – priorità  assoluta al merito, un welfare che dia molto più spazio ai bisogni e alle attese dei giovani – non proprio connaturati alla sinistra novecentesca. 

E poi la cosiddetta “vocazione maggioritaria”, che in fin dei conti è un concetto persino banale: un partito che come il nostro ambisce a rappresentare almeno un terzo degli italiani e a governare l’Italia per contribuire a cambiarla in meglio, prima decide la sua proposta al paese e poi su quella base verifica le possibili alleanze. 

Quanto a un presunto vizio d’origine presidenzialista del Pd, basta un’unica domanda retorica: esistono oggi nei paesi democratici casi di partiti o schieramenti maggioritari che giungano al governo senza poter contare su una forte, riconosciuta leadership personale? A noi risulta di no, e ci sembra che questo dato d’evidenza faccia giustizia tanto dell’addebito mosso da Orfini come della balzana idea di Prodi, Chiamparino e soci per cui il leader nazionale del Pd dovrebbe essere una sorta di amministratore di condominio che agisce su delega di venti segretari regionali. 

La verità  è che il Pd, per ora, è un partito mai nato, appunto perché l’ambizione di allargarsi oltre il recinto ideale e programmatico delle tradizioni di provenienza non è diventata patrimonio condiviso dei gruppi dirigenti. Insomma siamo ancora in pieno travaglio, solo che non c’è più molto tempo per evitare che il bambino nasca già  morto. 

Per attecchire nell’Italia di oggi, il Pd deve guardare meno al proprio ombelico e molto di più ai bisogni e alle aspirazioni degli italiani. Mettendo per esempio al centro del suo discorso – è la nostra fissazione, ma nel mondo siamo in buona compagnia – quella “green economy” che significa politiche “contemporanee” per il lavoro, per lo sviluppo, per l’innovazione, per la coesione e la qualità  sociali. 

Il Pd è capace di farsi l’alfiere di questa sfida, come Obama in America o le forze emergenti dell’ecologismo riformista in Europa? Per quanto ci riguarda, soprattutto a domande come questa i prossimi mesi di navigazione del Pd dovranno dare risposta. 

 

Roberto Della Seta e Francesco Ferrante

Petrolio: il Ministero dice sì alle trivellazioni al largo della Puglia

 NUOVE RICHIESTE PER ALTRI BUCHI DAVANTI A COSTE ABRUZZESI”

“Continua l’assalto delle trivelle petrolifere ai mari italiani, con la piena complicità  del Ministero dell’Ambiente . L’Adriatico, in particolare, pare ormai destinato a tramutarsi in una sorta di Mar del Nord, con uno skyline caratterizzato da piattaforme petrolifere a poche km dalle coste: sarà  ancora la compagnia petrolifera Petroceltic, sulla scorta del parere positivo dell’ufficio VIA del ministero dell’Ambiente e malgrado il no della Regione

Puglia, a sondare il mare tra il Gargano e le Isole Tremiti alla ricerca del

petrolio.” lo dichiarano i senatori del Pd Roberto Della Seta e Francesco Ferrante.

“La Petroceltic Elsa continuano gli esponenti ecodem – oltre a ricevere parere positivo dal Ministero dell’Ambiente per sondare il mare davanti al lago di Lesina, a 12 chilometri dalle Tremiti e a 11 dalla costa, intende avviare ricerche petrolifere anche nell’area a 7,8 chilometri dalla foce del Fortore e a 4,5 dall’arcipelago paradiso dei sub di fama internazionale, per una superficie complessiva di 528 chilometri quadrati. Se la prima richiesta è in dirittura d’arrivo,mancando sola la firma del ministro, per la seconda non è stato ancora espresso un parere dell’ufficio Via, ma l’escalation impressionante che si e’ avuta negli ultimi anni coi Governi Berlusconi, dal2001 al 2006 e dal 2008 a oggi non lascia presagire un esito diverso. Infatti sono ben 17 le attivita’ autorizzate nei nostri mari per l’estrazione o la ricerca di petrolio, e coinvolgono 7 regioni .

Il tratto di Mar Adriatico di fronte alle coste pugliesi e abruzzesi sembra essere quello che attira maggiormente le attenzioni delle compagnie petrolifere, in gran parte straniere, sebbene il petrolio del basso Adriatico sia di cattiva qualità : è bituminoso, ha un alto grado di idrocarburi pesanti, è ricco di zolfo.”

“I potenziali giacimenti sotto l’Adriatico non sono certo così ricchi da poter in alcun modo influire sull’indipendenza energetica del nostro Paese, e dunque non porteranno nessun vantaggio economico ai cittadini. Quello che causerebbero è invece un danno enorme in termini ambientali, e a farne le spese sarebbe in primo luogo il turismo, che riceverebbe un colpo durissimo se di fronte a coste bellissime sorgessero mostri di acciaio che spingono sulle rive bitume e catrame.”- concludono Ferrante e Della Seta.

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