Lettera aperta a Gianni Letta sulla Basell

Egregio Sottosegretario

mi rivolgo a Lei per far presente che la perdurante assenza di un Ministro per le Attività  Produttive e lo Sviluppo Economico rischia, tra le altre cose, di pregiudicare la soluzione di una vertenza delicatissima e decisiva per il futuro della città  di Terni, qual è quella legata all’impianto industriale  della Lyondell Basell.

Sono queste le ore cruciali nelle quali bisogna fare tutto il possibile affinchè si realizzino le condizioni che possono salvaguardare l’occupazione e insieme prospettare  un futuro industriale e sostenibile  dell’intero polo chimico ternano.

Non è accettabile che una multinazionale possa pensare di chiudere l’attività  addirittura impedendo che la stessa continui ad esistere tramite altri operatori.

Il Governo italiano non può e non deve accettare questo diktat: il nostro Paese non è una colonia e quindi Le chiedo di intervenire perchè sia chiaro  alla dirigenza americana della Basell che il futuro dello stabilimento ternano deve essere deciso in Italia.

Chi scrive si era permesso di suggerire, fin dall’inizio di questa vicenda, che l’unica possibilità  per il salvataggio della chimica a Terni fosse l’intervento dell’industria, già  presente  a Terni, che più si è caratterizzata sull’innovazione e la ricerca industriale, scommettendo su questi due presupposti il proprio futuro.

Oggi si sono realizzate le condizioni affinchè quell’ipotesi industriale possa andare a buon fine, e dunque ci rivolgiamo a Lei, on. Letta, perché si impedisca che l’atteggiamento della dirigenza americana della Basell ostacoli il piano industriale che costituisce la scelta che può garantire il futuro migliore per lo stabilimento e conseguentemente per tutto il polo chimico ternano.

Distinti saluti

Sen. Francesco Ferrante – Partito democratico

Come volevasi dimostrare, con Berlusconi il condono edilizio non manca mai

Come volevasi dimostrare la maggioranza getta la maschera e butta nel

calderone della manovra finanziaria la misura che non manca mai in un

Governo Berlusconi, il condono edilizio, che questa volta si preannuncia come il peggiore di sempre, prevedendo addirittura che la sanatoria venga allargata agli immobili soggetti a vincoli ambientali e paesistici.

L’illegalità  e la criminalità  vengono premiati anche questa volta da una destra che non ha scrupoli nel rendersi complice dello scempio del territorio del nostro Paese”.

Lo dichiarano i senatori del Pd Roberto Della Seta e Francesco Ferrante.

“Quello contenuto nell’emendamento del senatore Tancredi – affermano i senatori Pd -sarà , se approvato, il quarto mega condono edilizio italiano, il terzo sotto un Governo Berlusconi, e ha le potenzialità  per essere il più devastante di sempre: potrebbe essere infatti la madre di tutte le sanatorie, la pietra tombale sugli abusi compiuti in ogni parte della Penisola, in sfregio a ogni più elementare norma di rispetto ambientale e paesaggistico.

Non ci sarà  rischio sismico o idrogeologico che tenga, tutte le richieste verranno accettate e il cemento selvaggio segnerà  la vittoria sulle regole e sulla legalità .

Il Governo, e il ministro Tremonti in particolare hanno più volte ribadito nell’ultimo periodo che non ci sarebbe stato nessun altra sanatoria edilizia, e dunque è inaccettabile questa operazione, già  fatta in passato, di affidare a qualche singolo parlamentare la pistola fumante del condono”.

“Il Governo concludono Ferrante e Della Seta – non smentisca se stesso eintervenga affinchè venga ritirato immediatamente questo emendamento

indecente che premia furbi e criminali”.

à€€

Contratto Fiat. Chi dice sì è come Berlusconi

Articolo pubblicato sul quotidiano Il Manifesto

Com’era prevedibile, la “linea del fronte” tra favorevoli e contrari all’accordo Fiat di Pomigliano passa tutta interno al Pd, a riprova della vocazione immancabilmente polifonica del nostro partito. Ci sono democratici che bocciano l’accordo, altri che lo considerano un’eccezione dolorosa ma necessaria, altri ancora che lo invocano come modello.

A noi pare evidente che alcune delle clausole contenute nel documento, soprattutto quella che sospende il diritto di sciopero, siano del tutto inaccettabili. Il punto, questo è ovvio, non è pontificare sul giudizio che esprimeranno i lavoratori chiamati a pronunciarsi sull’accordo: chiunque messo di fronte all’alternativa tra perdita del lavoro e riduzione dei diritti, sceglie il lavoro e qualche diritto in meno.

Il punto è che uno scambio così è irricevibile: il diritto a scioperare non è nella disponibilità  della Fiat e nemmeno in quella del sindacato, è letteralmente indisponibile come ogni diritto costituzionale.

Ma il sì all’accordo di esponenti anche autorevoli del Pd è preoccupante per una ragione molto più di fondo. Conferma che una parte dei gruppi dirigenti del centrosinistra ragiona sulla crisi, sul futuro dell’economia e del welfare italiani, usando le stesse categorie della destra. Riconoscendosi, soprattutto, nelle stesse parole d’ordine: meno regole per chi fa impresa, più flessibilità  e precarietà  per chi lavora.

Questo film è tutt’altro che inedito. Già  negli anni Novanta del secolo scorso, non solo in Italia la sinistra riformista sembrò quasi scavalcare a destra i conservatori nelle lodi alla globalizzazione che da sola, senza lacci e lacciuoli, avrebbe portato più benessere a tutti. Quel pensiero unico è stato prima messo in discussione dai movimenti no-global, poi sconfitto dalla crisi di questi anni che una cosa sicuramente ha detto: il capitalismo senza regole fa male ai diritti delle persone e  delle comunità  e fa male persino a se stesso.

Sarebbe bene che oggi non fosse il Pd a risuscitare quella deriva insensata e autolesionista. Che invece provassimo a mostrarci diversi dai nostri avversari non nel riconoscere i problemi oggettivi che appesantiscono il dinamismo e la capacità  competitiva dell’economia italiana – eccessi di burocrazia, poca concorrenza -, ma nell’indicare le politiche pubbliche necessarie a rendere il nostro Paese più forte economicamente e un po’ più giusto. 

Per esempio, questo sforzo dovrebbe portarci a chiedere ossessivamente almeno tre cose. Che vengano impegnate più risorse per spingere la ripresa. Che gran parte di tali risorse venga concentrata su educazione (scuola, università , ricerca) e “green economy”. Che per finanziare questo sforzo senza pesare sui conti pubblici e per sostenere al tempo stesso un progressivo alleggerimento del carico fiscale sui redditi da lavoro e d’impresa, oggi a livelli esagerati, vengano tassati di più sia i patrimoni reali a cominciare dalle grandi rendite finanziarie e immobiliari, sia il consumo di quell’altro genere di patrimoni costituito dalle risorse naturali e ambientali. 

Forse se martellassimo tutti i giorni su questi tre tasti, cominceremmo ad uscire dall’anonimato politico nel quale il Pd sembra oggi immerso. E gli italiani proverebbero di nuovo il brivido, l’ebbrezza di vedere all’opera un grande partito di opposizione unito nel proporre un’idea di governo alternativa non solo e non tanto a Silvio Berlusconi, ma alla destra e ai suoi valori. 

1 497 498 499 500 501 745  Scroll to top