Perché Nichi ci aiuta

L’autocandidatura di Nichi Vendola a leader del centrosinistra da alcuni, in questa metà  campo, è stata accolta come una buona notizia, da altri come una jattura. Certamente è l’unica notizia vera arrivata negli ultimi mesi dal ridotto di un’opposizione che davanti alle crepe sempre più larghe del potere berlusconiano, sembra rassegnata al ruolo di spettatore indignato, incapace di indicare una qualunque prospettiva autonoma e persino di incassare a proprio merito, come sottolineava nel suo editoriale di ieri il  direttore di questo giornale, alcune indiscutibili battute d’arresto di Berlusconi che sono apparse più frutto della lotta e del riposizionamento interno al centrodestra che  dovute alla nostra opposizione.
Se non altro per questo bisognerebbe  essere grati a Vendola per la sua – persino un po’ berlusconiana nelle forme – “discesa in campo”. Dovrebbe  essergliene grato anche il Pd, che così trova un oggetto di dibattito un po’ meno stitico della guerra di posizione, tutta giocata sul passato, tra le varie famiglie e famigliole coabitanti sotto il tetto democratico. E invece il solo annuncio di un incontro del tutto informale tra alcuni parlamentari – tra cui chi scrive – e il leader pugliese ha causato nervosismi francamente eccessivi.
La principale accusa che da una parte del gruppo  dirigente del Pd viene mossa a Vendola come ipotetico candidato leader del centrosinistra, è che renderebbe impossibile ogni allargamento del consenso al centro, ai voti cosiddetti moderati. Critica, ci pare, un po’ troppo schematica, che non fa i conti con il profilo inedito – politicamente e culturalmente inedito – che potrebbe incarnare Vendola. Più di molti politici riformisti a trazione, per così dire, moderata, Nichi Vendola ha già  dimostrato la capacità  di raggiungere e convincere con il suo messaggio e il suo stile comunicativo i settori più ampi e variegati dell’elettorato. Certo per ora soltanto in una realtà  specifica come quella pugliese, ma non è male ricordare  che si parla di una regione considerata fino a pochissimi anni fa tra le più di destra d’Italia.
La verità  è che Vendola è uno dei rari politici italiani il cui discorso pubblico si rivolge non a questo o quel blocco sociale, a questo o quel segmento d’opinione, ma al “popolo”. Qualcuno per questo l’ha etichettato come populista, di sicuro la sua “narrazione” – per usare un’espressione tipicamente vendoliana – si avvicina al solo obiettivo che può dare al centrosinistra credibili speranze di successo: contrapporre alla fascinazione berlusconiana, che divide gli italiani in una maggioranza “buona” e in una minoranza “cattiva”, che “rema contro”, una proposta altrettanto seduttiva che invece metta al centro il tema dell’interesse generale, della necessità  per il nostro Paese di tornare a percepirsi, ad agire come un’unica comunità . Dentro questo orizzonte, Vendola mette poi temi innovativi che questa destra non sa o non vuole rappresentare – come l’ambiente, la difesa dei beni comuni, i diritti civili, i nuovi diritti sociali -, i quali però  non sono affatto appannaggio esclusivo dell’elettorato di sinistra ma anzi incontrano un’attenzione e una sensibilità  crescenti e politicamente trasversali.
Questi alcuni fili conduttori del “vendolismo”, che se depurati dai  richiami identitari alla tradizione comunista e all’antagonismo sociale – più che discutibili ma almeno in parte da considerare un atto dovuto di rispetto verso il mondo della sinistra “radicale” da cui Vendola proviene – non sono poi così lontani dall’ispirazione e dall’ambizione dalle quali è nato il Pd: per intenderci, dallo “spirito del Lingotto”.
Allora, per carità , non è affatto detto che Vendola sia la persona giusta per far vincere il centrosinistra. Ma rappresentare la sua proposta come inevitabilmente minoritaria, significa   non riuscire a leggerne i tratti di oggettiva novità , quanto mai interessanti per un Partito come il nostro sempre più a rischio di rimanere ridotto in striminziti confini geografici, politici e sociali.
ROBERTO DELLA SETA

FRANCESCO FERRANTE

Carceri: ennesimo suicidio mostra disperazione delle carceri italiane

“La modalità  drammatica e cruenta del suicidio del detenuto nel carcere di Catania pone all’attenzione dell’opinione pubblica, per l’ennesima volta, le condizioni di disperazione e assoluta precarietà  in cui versano le carceri italiane. 

Attendiamo che il Governo, più volte sollecitato a rispondere della situazione carceraria italiana, si degni di  venire in Parlamento a esporre, se ne è in possesso, le proposte e i piani per contenere una situazione ormai di fatto esplosiva “

Lo dichiara il senatore del Pd Francesco Ferrante.

 

“La drammatica cifra di 38 suicidi – continua Ferrante –  da la misura del fallimento di questo governo sulle politiche carcerarie e detentive, che sono state abbandonate a favore di un demagogia che propone semplicemente più strutture carcerarie, mentre nulla in termini di provvedimenti mirati come la riduzione del numero di persone in custodia cautelare o di revisione dei meccanismi di obbligatorieta’ della carcerazione preventiva, estendendo l’applicazione degli arresti domiciliari, è stato avanzato.

Sarà  una lunga estate calda nelle carceri italiane sovraffollate, ma il Governo assiste inerte a questa strage silenziosa, abbandonando i detenuti al loro destino e dimenticandosi delle logoranti condizioni di lavoro in cui versano  le guardie penitenziarie.”

 

 

Se Veronesi va alla guida dell’agenzia nucleare si dimetta da parlamentare

“Abbiamo enorme stima del professor Veronesi, anche per questo ci auguriamo che se verrà  nominato alla guida dell’Agenzia per il nucleare avrà  la sensibilità  di dimettersi da parlamentare.

Oltretutto dubitiamo che potrebbe svolgere bene tre mestieri molto diversi:

medico, senatore, garante della sicurezza nucleare.”

E’ quanto dichiarano i senatori del Pd Roberto Della Seta e Francesco Ferrante, dopo l’approvazione da parte del Senato di una norma che cancella l’incompatibilità  tra la Presidenza dell’Agenzia per la sicurezza nucleare e incarichi elettivi, secondo i più immaginata al solo scopo di consentire la nomina di Veronesi a capo dell’organismo.

“Il senatore Veronesi è notoriamente a favore del nucleare continuano gli esponenti del Pd ma non è questo il punto.La cosa grave è che governo e maggioranza adottino l’ennesimo provvedimento ‘ad personam’, sacrificando i principi della separazione dei poteri e della necessaria terzietà  delle autorità  pubbliche di garanzia.

Ora per riparare il danno c’è solo un modo: se davvero Veronesi, o un altro parlamentare, sarà  il presidente dell’Agenzia per la sicurezza nucleare, che almeno abbia il buongusto di dimettersi dalla sua carica elettiva.”

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