Raddoppio ferroviario Spoleto – Terni: oltre il danno, la beffa

TAGLI PER OLTRE 500 MILIONI DI EURO PER UN’OPERA DEFINITA NECESSARIA”

 

Ammonta a 511,4 milioni di euro la riduzione delle risorse destinate alla realizzazione del raddoppio ferroviario della tratta Spoleto – Terni, secondo quanto previsto nell’aggiornamento del Contratto di programma 2007 – 2011 tra il Ministero delle infrastrutture e dei trasporti e la Rete ferroviaria italiana Spa attualmente all’esame del Parlamento. 

“Mentre si tagliano le risorse destinate alla realizzazione dell’infrastruttura -denunciano i Senatori PD Francesco Ferrante, Anna Rita Fioroni e Mauro Agostini – nella relazione si conferma la necessità  dell’investimento per il miglioramento del traffico ferroviario, mantenendolo tra gli interventi previsti nelle “Opere programmatiche per lo sviluppo della rete ferroviaria nazionale” relativi allo sviluppo della tratta Orte – Falconara. Il nostro gruppo chiederà  con forza che nel parere che la Commissione Trasporti del Senato dovrà  rendere nei prossimi giorni, si proponga di cancellare questa assurda riduzione. Ci chiediamo però – concludono i Senatori Pd – con quale criterio il Ministro rimanda a tempo indeterminato la realizzazione di opere che definisce essere necessarie per i cittadini”.

Governo Berlusconi complice dei disastri idrogeologici

I 900 milioni per piani straordinari rimangono nel cassetto
 

“Il  Governo  Berlusconi  è complice del dissesto idrogeologico a causa del
quale  in  questi  giorni il territorio italiano è stato nuovamente messo a
dura prova, con vittime e danni ingentissimi. I fondi ordinari destinati al
dissesto idrogeologico dal 2008 ad oggi sono stati dimezzati, e si continua
a  tagliare,  arrivando  a  30  milioni  di  euro,  una  cifra  ridicola  e
assolutamente  inadeguata,  mentre  i  900  milioni di euro destinati dalla
legge  finanziaria  2010  ai piani straordinari rimangono nel cassetto, non
essendo  stato  nemmeno  istituito  il  relativo  capitolo  di  spesa.  Nel
frattempo le frane investono i treni e in tutta Italia, non solo al sud, si
muore a causa del maltempo”.
Lo dichiarano i senatori del Pd Roberto Della Seta e Francesco Ferrante.
“Il  cemento  selvaggio  –  continuano  i  senatori  del  Pd –  continua ad
aggredire  il territorio del nostro Paese, che per il modo in cui è fatto è
obiettivamente  fragile  dal  punto  di  vista  della stabilità  del suolo e
dell’equilibrio idrogeologico.
Invece  di impegnarsi con  politiche di tutela del territorio e di messa in
sicurezza il Governo Berlusconi ha messo in campo  piani casa e promesse di
nuovi condoni con cui favorire la deregulation urbanistica, che è una delle
principali   cause   che   trasformano  normali  eventi  meteorologici   in
calamità “.
“Un  governo  che ha fatto della cultura dell’emergenza la sua cifra non ha
purtroppo  interesse  a  impiegare  le  risorse,  magari già  stanziate, per
interventi strutturali perché in troppi preferiscono che dall’emergenza non
si  esca  mai: è il modo migliore – concludono Ferrante e Della Seta –  per
derogare a norme e controlli, senza  dar conto della spesa”.
 

Il nucleare non conviene

Il nucleare non conviene. Con buona pace di chi si affanna – Governo Berlusconi ed Enel innanzi a tutti – a cercare di dimostrare il contrario. Anche Umberto Minopoli su queste pagine, usava alcuni dati (per la verità  senza citarne la fonte) per cercare di spiegare al Pd che sbaglierebbe nell’opporsi al ritorno del  nucleare nel nostro Paese.

Facciamo pure finta che non esistano i problemi di sicurezza o quelli relativi allo smaltimento delle scorie tuttora irrisolti dalla tecnologia nucleare che abbiamo a disposizione e prendiamo sul serio la necessità  non più eludibile di affrontare l’alto costo dell’energia che nel nostro Paese sostengono cittadini e imprese. La domanda è: il nucleare contribuirebbe a ridurre la bolletta elettrica? E’ più conveniente produrre energia elettrica con il nucleare piuttosto che con i fossili o ricorrendo alle energie rinnovabili? Per rispondere ci torna molto utile lo studio comparato che ha reso noto di recente la Fondazione per lo Sviluppo Sostenibile presieduta da Edo Ronchi.

I dati principali: l’Ufficio del Budget del Congresso Usa stima che per il nucleare il costo sia 73 $/MWh, per il gas solo 58,   e per il carbone 56; per la House of the Lords britannica il nucleare 90 $/MWh, il 10% in più di gas e carbone; per il Massachussets Institute of Technology 84 $/MWh nucleare, contro i circa 60 di gas e carbone. Come tutte le previsioni le cifre non sono coincidenti ma tutte concordi nel ritenere il nucleare più costoso. Persino la stessa Agenzia per l’energia nucleare dell’Ocse è costretta ad ammettere che, se si considera il costo del capitale investito nelle nuove centrali nucleari al 10% (la stima più credibile),  il costo per MWh del nucleare sarebbe maggiore delle stime che la stessa Agenzia prevede per il gas e il carbone, come dire che neanche l’oste riesce a sostenere sino in fondo che il suo vino è quello buono.

Non sembra proprio quindi, che il nostro Paese abbia alcuna convenienza a rottamare i cicli combinati a gas realizzati negli ultimi decenni per sostituirli con una tecnologia più costosa, conveniente solo per i costruttori (francesi) e, magari, per lo stuolo di consulenti (nella comunicazione e propaganda, nei servizi finanziari, ecc.) che già  oggi inizia ad  abbeverarsi alla fonte del nucleare.

Ma c’è di più. Secondo il Department of Energy del Governo Usa, nel suo recentissimo Annual Energy Outlook, considerando costi di capitale, management, combustione e trasmissione, il MWh da nucleare costerebbe nel 2020, 111,5 dollari (al solito più del gas  e del carbone) ma anche circa il 15% in più dell’eolico (96,1 $/MWh)! Infine anche per Moody’s, e sappiamo quanto siano importanti le valutazioni di un’agenzia di rating in un settore che richiede finanziamenti iniziali così ingenti, contro i 150 $ del MWh nucleare, vincono il gas (120), il carbone (112) e l’eolico (125).

Se il lettore è sopravvissuto alla serie di numeri non si potrà  non condividere la dichiarazione iniziale sulla non convenienza del nucleare. E ci si potrà  dare ragione del fatto che nei paesi in cui vige il libero mercato (con l’ovvia eccezione francese, e dello sventurato impianto in costruzione in Finlandia) non si costruiscono più nuovi impianti nucleari da trent’anni.

Infine Minopoli parla di occupazione, e prendendo per buoni i suoi dati (9000 occupati nella fase di costruzione di una centrale e 1300 a regime) non si capisce proprio come il rilancio possa contribuire in maniera significativa alla nascita di nuovi posti di lavoro. Non solo se si pensa ai 350mila impegnati in Germania nel settore delle rinnovabili, ma anche ai 50mila all’anno che hanno lavorato nel nostro paese grazie a quella semplice misura della detrazione fiscale del 55% per le ristrutturazioni edilizie che prevedono interventi di efficienza energetica e che peraltro il Governo Berlusconi si ostina a non volere prorogare.
Anche per tutto questo il nucleare non serve all’Italia e bene fa il Pd ad opporvisi con nettezza.

 

Francesco Ferrante
Responsabile politiche cambiamenti climatici ed energia PD

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