Grave smembramento Parco Stelvio. Aleggia accordo Berlusconi/SVP

“Il parco nazionale dello Stelvio, la più grande area europea protetta nata nel 1935, rischia concretamente di essere presto solo un ricordo. La Commissione dei dodici, l’organismo paritetico tra Stato e province autonome di Trento e Bolzano alcuni giorni fa ha di fatto cancellato l’ente parco e lo Stelvio è stato smembrato in tre parti, diviso tra le due

province e la Regione Lombardia. Dietro questa scelta scellerata

sembrerebbe esserci la regia di Luis Durnwalder, il presidente della Provincia di Bolzano e leader del Svp, che vorrebbe consentire ai cacciatori sudtirolesi di sparare anche nelle aree protette e abbassare le tutele che finora hanno salvaguardato lo Stelvio dai pericoli per il paesaggio e dal consumo di suolo. E sullo sfondo di tutto questo aleggia la possibilità  che la Svp garantisca a Berlusconi una preziosa astensione sul voto di fiducia.”

Lo affermano i senatori del Pd Francesco Ferrante e Roberto Della Seta in un’interrogazione rivolta al ministro Prestigiacomo.

“Ha ragione – aggiungono – chi chiede un’azione di governo del Parco più efficace di quella che vi è stata finora, ma certamente non è la direzione per raggiungere questo obiettivo lo spezzettamento del parco dello Stelvio perché in questo modo non si otterrà  una maggior tutela ma solo un lento e inesorabile declino del ruolo di un Parco Nazionale, che fino a oggi, nonostante i suoi molti oppositori, è riuscito a custodire ambienti e popolamenti di fauna e flora tra i più preziosi dell’intero arco alpino”.

“Sarebbe grave che lo smembramento del Parco dello Stelvio avvenisse sulla scorta di accordi tra un governo ormai dimissionario e una forza politica che per prima dovrebbe custodire il patrimonio prezioso che da 75 anni costituisce la più grande area alpina protetta. Auguriamoci – concludono i senatori del Pd – che il prossimo Consiglio dei Ministri non dia il via

libera a questa azzardata operazione, che costituirebbe un pericolo

precedente”.

Nucleare: gli imprenditori dicono no

“Anche gli imprenditori e gli industriali dicono no al ritorno del nucleare in Italia. Sono già  più di 200 le firme di imprenditori, manager e professionisti all’appello ‘Invece del nucleare’ lanciato dal Kyoto Club (adesioni su www.kyotoclub.org. l’appello è riprodotto anche su questo sito nella sezione Documenti), affinchè il Governo riveda la scelta di un costoso e improduttivo ritorno all’energia atomica per il nostro Paese”.
Lo dichiara il senatore Francesco Ferrante, vicepresidente del Kyoto Club.
“Il ritorno al  nucleare in Italia – continua Ferrante –  sarebbe un salasso di risorse che drenerebbe gli investimenti fuori dall’Italia, a discapito dei settori della green economy che possono attivare, come in parte stanno già  facendo, ricadute economiche e occupazionali immediate.
L’elenco dei firmatari dell’appello è aperto da tre nomi di rilievo: Pasquale Pistorio, il manager che ha guidato con grande successo la STMicroelectronics, Catia Bastioli, amministratore delegato di Novamont, e Gianluigi Angelantoni, a.d. del gruppo omonimo che, assieme a Siemens, lavora sulle nuove frontiere del solare termodinamico”.
‘Invece del nucleare’ – spiega Ferrante – non è un manifesto ambientalista, ma un appello al buonsenso di chi deve guidare la politica energetica del nostro Paese, che ha bisogno innanzitutto del rafforzamento delle reti elettriche, l’incentivazione dei sistemi di stoccaggio dell’energia e l’efficiente uso delle energie rinnovabili.
Lo scenario attualmente prospettato dal Governo, 25% di elettricità  atomica e 25% di rinnovabili al 2030 – sostiene il senatore Pd – comporterebbe una enorme distrazione di risorse a discapito delle nuove energie. La costruzione delle centrali interesserebbe, peraltro, una piccola minoranza di società  italiane, mentre larga parte degli investimenti finirebbe all’estero. Nella migliore delle ipotesi, quando fra 10-12 anni si iniziasse a generare elettricità  nucleare, se ne avvantaggerebbero pochi comparti industriali energivori e sarebbe lo Stato, attraverso la fiscalità  generale, o gli utenti attraverso l’aumento delle bollette, a cofinanziare il nucleare.”
 “Il consenso per il nucleare nel Paese è sempre più limitato, dunque non bisogna perdere tempo prezioso, affrontando da subito la sfida energetica del futuro con scelte rapide e dinamiche” – conclude Ferrante.

Invece del nucleare

Appello lanciato dal Kyoto Club

New Nuclear: why the economics says no! Non è un manifesto ambientalista, ma il titolo dell’ultimo report pubblicato da Citigroup sui rischi connessi alla cosiddetta rinascita nucleare.
Noi sottoscritti, imprenditori, manager e professionisti crediamo che anche per l’Italia questa scelta sia errata.
Il nostro Paese ha la possibilità  di giocare da protagonista di fronte ai cambiamenti epocali in atto nel mondo, dall’efficienza energetica alle energie rinnovabili e alle sfide per prodotti sostenibili in termini di qualità  ambientale, sociale e di rispetto delle regole: dobbiamo promuovere un’economia a basso impatto e di qualità , per rafforzare le imprese esistenti e crearne di nuove sul territorio, rispondendo alla necessità  di creare nuovi posti di lavoro, nuova energia imprenditoriale e una qualità  della vita che da sempre è un marchio italiano. Un’economia che ha bisogno di rilanciare tutta la propria creatività  facendo della spinta delle imprese italiane all’uso efficiente delle risorse la forza del proprio sviluppo. In Italia è già  in atto uno sforzo di rivitalizzazione e rinnovamento delle manifatture in questa chiave: occorrerebbe un incoraggiamento deciso ed urgente da parte del Governo e una sapiente regia da parte delle istituzioni. Il rafforzamento delle reti elettriche, l’incentivazione dei sistemi di stoccaggio dell’energia, l’efficiente uso delle energie rinnovabili, la minimizzazione, sempre e comunque, dell’uso energetico che tenga anche conto del patrimonio paesaggistico e culturale del nostro Paese, sono aspetti che riguardano una innovazione che sta già  impetuosamente sviluppandosi sul territorio e che va aiutata e sostenuta.
Lo scenario prospettato dal Governo, 25% di elettricità  atomica e 25% di rinnovabili al 2030, comporterebbe una enorme distrazione di risorse a discapito delle nuove energie (efficienza energetica e rinnovabili). La costruzione delle centrali interesserebbe, peraltro, una piccola minoranza di società  italiane, mentre larga parte degli investimenti finirebbe all’estero. Nella migliore delle ipotesi, quando fra 10-12 anni si iniziasse a generare elettricità  nucleare, se ne avvantaggerebbero pochi comparti industriali energivori e sarebbe lo Stato, attraverso la fiscalità  generale, o gli utenti attraverso l’aumento delle bollette, a cofinanziare il nucleare. Questo perché il costo delle nuove centrali è estremamente oneroso: oltre 5 miliardi di ‚¬ per una centrale, più di 40 miliardi per l’intero programma voluto dal Governo. Ma queste stime raddoppiano, e anche più, se si considerano i costi del futuro decommissioning, che qualcuno dovrà  pur pagare, e della gestione delle scorie: un Rapporto del 2009 del MIT, Massachusetts Institute of Technology, ha valutato il costo dell’elettricità  da nucleare in 8,4 c$/kWh, più del gas e del carbone. Ci sono poi i problemi di sicurezza, come ricorda una recente nota delle Agenzie per la sicurezza di Francia, Gran Bretagna e Finlandia, e di smaltimento definitivo delle scorie, lungamente ed altamente radioattive: non c’é, infatti, un solo sito sicuro e funzionante in tutto il mondo e gli USA hanno abbandonato, dopo anni di inutili esperimenti, costati oltre 8 miliardi di dollari, il deposito di Yucca Mountain in Nevada.
Mentre la rinascita del nucleare incontra non poche difficoltà , tutti gli indicatori testimoniano che è partita la corsa delle rinnovabili e dell’efficienza energetica in Europa, negli USA, in Cina. Nel modello Germania, nel critico 2009, il numero di addetti alle energie verdi è aumentato di 20.500 unità  raggiungendo quota 300.500 di personale diretto ed oltre 1 milione nell’indotto. Lo scorso anno il 61% e il 43% della nuova potenza elettrica installata, rispettivamente in Europa e negli USA, era rappresentata da impianti alimentati da fonti rinnovabili. Si tratta di comparti nei quali la piccola e media industria italiana potrà  giocare, insieme alla grande impresa, un ruolo importante, se si attiverà , come è successo in altri paesi, un gioco di squadra tra istituzioni ed imprese. La scelta nucleare, al contrario, determinerà , necessariamente, una sottrazione di intelligenze, di risorse economiche, per giunta durante la peggiore crisi degli ultimi due secoli, rispetto ai più promettenti settori dell’efficienza e delle rinnovabili che saprebbero attivare, come in parte stanno già  facendo, ricadute economiche ed occupazionali immediate. Considerato poi il limitato consenso nel Paese, pensiamo che il progetto nucleare si arenerà , ma avrà  fatto perdere all’Italia tempo e ricchezze.
Per questo chiediamo che il Governo riveda, anche alla luce dell’attuale crisi, la sua scelta e si impegni nel disegnare un nuovo quadro normativo che sostenga adeguatamente la green economy e le produzioni sostenibili che sono quelle che meglio possono farci competere nel mondo dell’economia globalizzata. La sfida energetica è una sfida industriale che richiede scelte strategiche intelligenti, coraggiose e mirate che sappiano creare ed attivare filiere industriali, in sinergia con i centri di ricerca, capaci di far crescere le piccole e medie imprese italiane, insieme ai grandi gruppi nazionali, per garantire occupazione, competitività  e sviluppo.
Pasquale Pistorio – Presidente onorario Kyoto Club
Catia Bastioli – CEO – Novamont S.p.A. – Presidente Kyoto Club
Gianluigi Angelantoni – Amministratore delegato – Angelantoni Industrie S.p.A. e Archimede Solar Energy – Vice-Presidente Kyoto Club,
oltre 200 tra imprenditori, manager, professionisti (le adesioni su www.kyotoclub.org)

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