articolo uscito su Repubblica
Un carico insostenibile per le casse dello Stato, equivalente a un debito pro-capite di 2 mila euro sulle spalle di ogni italiano: queste le ragioni addotte dal Governo, e avvalorate da più d’uno anche fuori dal centrodestra, per spiegare la scelta di sospendere “sconto in fattura” e “cessione del credito” legati al “superbonus” 110% e agli altri bonus fiscali per l’edilizia. Una preoccupazione non nuova per il vero, la stessa che anche in passato ha informato svariati pareri della Ragioneria dello Stato, qualsiasi fosse il Governo in carica, e impedito la stabilizzazione dei bonus.
La goccia che ha fatto traboccare il vaso e determinato il Governo Meloni a intervenire così drasticamente è venuta, sembra, da un parere di Eurostat su come calcolare l’impatto della riduzione delle entrate dovuta al bonus sul deficit. Eurostat ha detto, in sostanza, che il minore gettito va contabilizzato per intero nell’anno nel quale il debito è maturato e non invece spalmato lungo tutto il periodo della sua rateizzazione come prevede la legge. Un’interpretazione opinabile, che il nostro Governo avrebbe potuto e dovuto discutere in Europa come peraltro fa spesso ultimamente su altri dossier, con esibito orgoglio, “in difesa della specificità del sistema industriale italiano”.
Ancora più rilevante appare l’errore di Governo e Ragioneria nel considerare l’intero ammontare della riduzione delle entrate come “debito” senza tenere conto del corrispondente aumento di altre entrate fiscali (Irpef, Irap, IVA) legato all’aumento del giro d’affari dell’attività edilizia (si è calcolato in oltre 1% del PIL l’effetto benefico del solo “superbonus”) e all’emersione dal nero di molti interventi. Dai report periodici dell’Ufficio Studi della Camera sull’impatto economico dei bonus edilizi si evince che il saldo delle misure per l’economia nazionale è stato sempre positivo, e quanto in particolare al “superbonus” numerosi studi (Nomisma, Consiglio degli Ingegneri, la stessa ANCE) attestano i benefici anche economici per il “sistema-Italia” di una misura che ha avuto il merito di dare ossigeno al settore edilizio salvandolo da una crisi drammatica, senza peraltro produrre il consumo di un solo metro quadrato di suolo naturale.
Dunque il sistema dei bonus fiscali per l’edilizia non andava toccato? Niente affatto. Serviva, servirebbe, una sua riforma complessiva che stabilizzi nel tempo gli incentivi in modo da evitare corse ad aumenti artificiosi dei prezzi, li renda socialmente più equi (eliminando per esempio i benefici per le seconde case) e li orienti di più e meglio all’altro interesse generale, accanto al sostegno al comparto edilizio, per il quale sono nati: migliorare l’efficienza energetica degli edifici e dunque rafforzare il contributo dell’Italia contro la crisi climatica. Che non è – va sottolineato – una minaccia astratta “per il pianeta” ma un danno già oggi molto pesante per la sicurezza e il benessere di noi umani. E allora via l’inutile bonus facciate (nel quale peraltro si sono annidate le truffe maggiori) e via l’incentivazione delle caldaie a gas, mentre andrebbero salvaguardati proprio meccanismi come lo sconto in fattura e la cessione del credito che nel caso del “superbonus” hanno permesso a mezzo milione di famiglie con reddito mensile inferiore a 1800 euro di ristrutturare le abitazioni in cui vivono.
Il patrimonio edilizio dell’Italia, vetusto e con un’efficienza energetica mediamente scadente, contribuisce al 40 dei consumi finali di energia e a circa a un quinto delle emissioni di gas climalteranti. Piuttosto che contestare la Direttiva europea sull’efficienza energetica in edilizia, la politica dovrebbe impegnarsi per dare alle famiglie e alle imprese gli strumenti per poterla applicare. E quello delle detrazioni fiscali è il solo realistico ed efficace.
Roberto Della Seta
Francesco Ferrante