pubblicato su La Nuova Ecologia
I lettori di La Nuova Ecologia sanno che spesso gli ambientalisti si sono lamentati dello scarso peso che le questioni al centro del loro impegno – la difesa dell’ambiente e della biodiversità, la lotta agli inquinamenti e le sfide che pone la crisi climatica all’umanità – non trovassero abbastanza spazio nel dibattito pubblico e non fossero considerate adeguatamente dalla politica.Da qualche anno, e oggi più che mai, dobbiamo prendere atto che questo non è più. Certo non nella direzione che si auspicava, ma oggi come mai nella storia, sono proprio quelli i temi su cui la politica a livello globale e nel nostro Paese più si divide. Se ci allontaniamo con lo sguardo dalle polemiche quotidiane, a volte assai becere, che ci accompagnano nella cronaca politica, infatti è proprio sulle scelte da fare in politica industriale, se e quanto tenere conto delle questioni ambientali, se queste siano solo un vincolo, più o meno “ideologico” – come ama dire chi le avversa –, o se invece una straordinaria opportunità di modernizzazione e anche l’unica strada per difendere un modello di welfare che combatta con serietà le diseguaglianze, che ci si divide in Italia, in Europa e nel Mondo. Vale nel nostro Paese in cui i governi che si sono succeduti nella cosidetta Seconda Repubblica mai hanno considerato a sufficienza la chiave ambientale come il grimaldello giusto per sostenere il proprio sistema industriale, nonostante alcune eccellenze che erano sotto gli occhi di tutti e che hanno garantito record nell’economia circolare (le percentuali di riciclo della materia), brevetti innovativi quali quelli sulla bioplastica, risultati lusinghieri in tanti settori dell’export proprio grazie a quelle imprese che più investivano in innovazione e sostenibilità. In questi ultimi anni in Italia la situazione è persino peggiorata con una maggioranza di Governo che pressocché unanimamente si esercita nel definire “ideologica” ogni misura ambientale e che magari si lancia nel promuovere rottami del passato come il nucleare. Ma vale anche a libello globale, come hanno dimostrato tutte le ultime COP dove – il lettore perdonerà la brutalità della sintesi – i poteri fossili si sono esercitati a bloccare ogni avanzamento sulla strada tracciata a Parigi ormai quasi 10 anni fa. Ma il teatro dove questo conflitto politico si eserciterà con più chiarezza nei prossimi mesi e anni è l’Europa. E’ stato in Europa infatti che ha trovato più spazio la politica ambientale come chiave di sviluppo industriale, con il pacchetto sull’economia circolare, le direttive sulle rinnovabili e con il lancio del Green Deal cinque anni fa dalla prima Commissione Von Der Leyen. Ed è sul proseguimento di quelle politiche che si sta consumando il conflitto politico anche all’interno della stessa maggioranza che sostiene la Presidente della Commissione. Non a caso l’”uomo nero” per le destre sociali e politiche della scorsa Commissione è stato Timmermans e oggi sembra diventare la spagnola Ribera: i commissari che hanno la delega sulla crisi climatica. Allora appare chiaro quale dovrà essere il compito degli ambientalisti europei: “Ursula ti tengo d’occhio, il Green Deal non si tocca”