pubblicato su huffingtonpost.it
Due buone notizie per chi considera la crisi climatica la sfida più grande e decisiva per l’umanità di oggi e di domani.
Il nuovo premier britannico Sunak, terzo leader conservatore a ricoprire l’incarico in questa legislatura e primo capo del governo britannico non di pelle bianca, appena eletto aveva dichiarato che il 17 novembre non avrebbe potuto partecipare alla Conferenza mondiale sul clima a Sharm el-Sheikh, perché impegnato alla Camera dei Comuni per il discorso d’investitura. Dopo poche ore, sotto la pressione dei media e dell’opinione pubblica del suo Paese, ha dovuto cambiare idea e programmi: comunicando che alla Conferenza in Egitto ci sarà.
La presidente del consiglio italiana Giorgia Meloni, anche lei conservatrice, prima donna a ricoprire questo incarico dall’unità ‘Italia, ha detto che andrà a Sharm el-Sheikh.
Le due notizie sono in sé positive, testimoniano l’importanza anche politica delle discussioni globali su come fermare la crisi climatica.
Ma a noi che scriviamo – che ci consideriamo né conservatori né di destra – lasciano anche l’amaro in bocca. Negli ultimi dieci anni l’Italia ha avuto cinque presidenti del consiglio. Tre di loro – Letta, Renzi, Gentiloni – rappresentavano partiti di centrosinistra, uno – Conte – si autodefinisce “progressista”, uno – Draghi – è un “tecnico” politicamente non targato ma certamente non classificabile come destra. Bene, anzi male: con un’unica eccezione – Matteo Renzi che intervenne alla Conferenza di Parigi nel 2015 perché non poteva esimersi dal firmare quell’accordo fortemente voluto da Obama che allora si definì “storico” – nessuno di questi ha mai ritenuto necessario partecipare durante il proprio mandato alla Conferenza mondiale sul clima che si svolge ogni anno tra novembre e dicembre. Varsavia 2013, Lima 2014, Parigi 2015, Marrakech 2016, Bonn 2017, Katowice 2018, Madrid 2019, Glasgow 2021 (posticipata di un anno causa Covid): mai si è visto (tranne nel 2015) un premier italiano. Assenze senza valore sostanziale? No, la politica è fatta molto di linguaggio e il linguaggio e fatto molto di simboli: non partecipare a questi appuntamenti, affidandoli a una rappresentanza italiana “di secondo livello” (generalmente il ministro dell’ambiente pro-tempore), significa considerarli non all’altezza del ruolo e della responsabilità di chi guida il governo.
In questa successione di “assenze” vi è dunque un segno, uno dei tanti ma un segno rilevante, della desuetudine, inattualità, scarsa contemporaneità della sinistra italiana. Essa dice dell’immenso ritardo culturale nel capire che la questione climatica è oggi una priorità politica assoluta: priorità nell’interesse di tutti gli italiani -per contribuire a utilizzare al meglio i pochi anni che restano per scongiurare danni sociali ed economici irreversibili dal “climatechange” che vede il nostro Paese per le sue caratteristiche geografiche come una delle aree più colpite del pianeta – e priorità nel proprio interesse “di parte” – essendo evidente che qualunque prospettiva realistica di rilancio del ruolo e del consenso della sinistra italiana passa anche e molto dalla scelta di proporre un’agenda coraggiosa, innovativa sui tema-clima.
La sinistra italiana, più precisamente i suoi gruppi dirigenti ancora abbarbicati al Novecento, considerano la crisi climatica e in generale i problemi ambientali come temi “sovrastrutturali”. Certo ormai ne parlano spesso perché vedono che sono saldamente insediati tra le preoccupazioni dei cittadini. Ma per loro non sono davvero e fino in fondo “politica”, non sono economia, non sono welfare. Un esempio di questa arretratezza? La crisi climatica si sconfigge azzerando il prima possibile l’uso delle energie fossili – carbone, petrolio e gas – e invece puntando sulle energie rinnovabili e pulite, solare ed eolico in testa. In Europa le energie rinnovabili sono in rapida crescita da tempo, in Italia sono quasi ferme da più da dieci anni, imbrigliate in ogni modo da norme e procedure ultraburocratiche che trasformano ogni nuovo progetto di parco eolico o di impianto fotovoltaico in un “calvario” per l’impresa che vuole realizzarlo. In questo decennio “horribilis” per la transizione energetica italiana, che come stiamo verificando in questi mesi di guerra in Ucraina ha gravemente ostacolato il nostro cammino nazionale di progressiva indipendenza energetica urgente non solo per ragioni di lotta alla crisi climatica, la sinistra è stata al governo nove anni su dieci.
La sinistra italiana è molto più indietro, su ambiente e clima, di tutte le principali forze progressiste europee e anche di molti partiti conservatori.
E’ un po’ più avanti, certo, della destra italiana, che a sua volta è la destra più antiecologica d’Europa. L’annunciata presenza di Meloni a Sharm el-Sheick suggerisce la possibilità che i nostri conservatori si convincano che impegnarsi per stabilizzare il clima è un supremo interesse “della nazione” (per dirla come piace alla presidente del consiglio)? Per un attimo l’abbiamo sperato, poi ci siamo svegliati: pare che l’Italia andrà in Egitto per dire che bisogna rallentare sulla fuoriuscita dai fossili. Andrà, più o meno, a fare il tifo per il clima che cambia