Capitolo del rapporto GreenItaly 2022 della Fondazione Symbola e Unioncamere
Rinnovabili in Italia
L’anno scorso avevamo intitolato questo capitolo di Greenitaly“Le rinnovabili a due velocità” e avevamo un po’ giocato sulla lepre (la velocità cui dovremmo andare nell’installazione di nuove rinnovabili) e la tartaruga (la lentezza che osservavamo dovuta a ostacoli burocratici, mancate semplificazioni, “distrazioni” della politica).
Purtroppo poco è cambiato. Anzi si dovrebbe dire che dato che la tartaruga ha accelerato molto poco, alla lepre adesso toccherebbe correre assai di più. Il tema è sempre quello: gli accordi di Parigi (ormai vecchi di 7 anni) per affrontare la crisi climatica prima, il New Green Deal (pre-covid) dell’Unione europea dopo, il Next Generation UE e il conseguente PNRR successivamente e infine la crisi energetica esplosa con la guerra, per non parlare della stessa disponibilità delle imprese del settore a investire – come autorevolmente confermato dall’ambizioso programma della confindustriale Elettricità Futura – tutto spinge per la decarbonizzazione. Sostituire le fonti fossili con efficienza e rinnovabili è diventato un must.
Almeno teoricamente perché appunto in Italia andiamo troppo piano e come si vede la composizione del mix energetico non cambia e le rinnovabili restano inchiodate sotto il 40% del fabbisogno (-2% rispetto al 2020) (fig 1) e la produzione di energia elettrica da fonti rinnovabili è pari al 40,9% (in leggero calo rispetto al 2020, 41,9%) (fig 1a).
Fig 1: Andamento richiesta di energia elettrica e composizione fabbisogno
Anno 2021 (% variazione richiesta energia elettrica con il 2020 (mensile e annua), TWh per fonte, % fonti su fabbisogno)
Fonte: Terna
Fig 1a: Andamento della produzione netta da fonti energetiche rinnovabili (FER) e dettaglio fonti energetiche rinnovabili
Anno 2021 (% da FER su produzione totale netta (mensile e annua), TWh per fonte rinnovabile, % fonte energetica su totale rinnovabili)
Fonte: Terna
Fig 1b: Elettricità generata in Italia
Anno 2011-2021 (% fonte su totale elettricità generata)
Fonte: Terna
Una situazione paradossale perché peraltro è conclamato che le rinnovabili “convengono”, sia dal punto di vista strettamente economico, sia per la concreta opportunità di creazione di nuovi posti di lavoro.
Sul fronte delle installazioni, nel 2021 si segnala un piccolo e insufficiente aumento delle strutture, difatti la nuova potenza da rinnovabili installata si attesta a 1.351 MW, almeno superando il minimo del 2020 (790 MW). A giugno 2022 Elettricità Futura ha calcolato in oltre 80 i GW da installare entro il 2030 e lo stessoGoverno ha supportato i dati parlando di 70 GW da realizzare nello stesso arco di tempo: la realtà dei fatti è che l’Italia ha marciato al ritmo di poco più di 1 GW l’anno, a fronte di 7-8 GW che dovrebbe installare per raggiungere i traguardi stabiliti.
Nel complesso la potenza installata di impianti a fonte rinnovabile nel Bel Paese supera appena i 60 GW ed è sostanzialmente stabile da 8 anni, da quando cioè nel 2014 si decise di interrompere bruscamente ogni sostegno alle rinnovabili e intervenne con misure penalizzanti, addirittura retroattive, che ebbero tra l’altro l’effetto di far fuggire parecchi investitori stranieri (fig 2)
fig 2: Andamento potenza complessiva installata in Italia da fonti rinnovabili
Anno 2012-2021 (MW)
Fonte: Energy Strategy
Fig 3: Potenza totale installata in Italia da fonti rinnovabili per regione
Anno, fino al 2021 (GW)
Fonte: Energy Strategy
Nel 2021 la potenza installata è stata di 1.351 MW: a neanche 1 GW arriva il fotovoltaico (935 MW, 69,2% delle nuoveinstallazioni) e l’eolico con un misero 404 MW di nuovo installato torna appena ai livelli pre-pandemia (29,9% installazioni 2021). A tale calcolo si aggiungono 11 MW di idroelettrico (0,9%), mentre bioenergia e geotermia rimangono stabili (FIG 4).
Fig 4: Nuove installazioni nel 2021 per fonte
Anno 2021 (% installazioni per fonte)
Fonte: Energy Strategy
Sulla base di un’analisi che prende in esame nello specifico il contributo delle rinnovabili nel loro insieme, si deduce che nel 2021 l’idroelettrico diminuisce del 5,4% (contribuisce al 13,9%della domanda elettrica), con un’inflessione di 2,6 TWh in meno rispetto al 2020, e data la siccità cui abbiamo assistito nel 2022 e la crisi climatica che prevedibilmente renderà sempre più frequenti tali fenomeni, la nostra storica fonte idro sarà sempre più a rischio nel prossimo futuro. Una flessione non compensata dal piccolo miglioramento della produzione di solare fotovoltaico con poco più di 25 TWh (+2,1% sul 2020), che arriva a coprire il 7,9% della domanda elettrica annuale. Nel 2021 anche l’eolico assiste a un leggero aumento di circa 2 TWh in più rispetto al 2020 (+10,8%), contribuendo al 6,5% della domanda annuale di elettricità (fig 5). Ma è evidente che si dovrebbe fare molto di più.
Fig 5: Contributo delle rinnovabili su domanda elettrica
Anno 2021 (% fonte su domanda elettrica totale)
Fonte: QualEnergia
Stesso ragionamento di stasi e di mancanza di una politica efficace d’altra parte si può fare sull’efficienza. Infatti, a parte il 2020 pandemico, i consumi elettrici seppur in presenza di crescita economica modesta restano sostanzialmente stabili perché appunto manca qualsiasi intervento che promuova l’efficienza energetica nell’industria, e anche nell’edilizia l’unico è stato il superbonus (peraltro osteggiato e praticamente bloccato) (fig 6).
fig 6: Consumi elettrici in Italia
Anno 2000-2021 (TWh)
Fonte: QualEnergia
Il fotovoltaico
Come affrontato nel capitolo precedente, il 2021 ha visto 935 MW di nuova potenza fotovoltaica installata, per un volume totale di 22,6 GW. Tale potenza è suddivisa in 1.015.239 impianti: ma il 92% di questi è di potenza inferiore a 20 kW (925.198) (fig 7).
Fig 7: Potenza complessiva installata in Italia da fotovoltaico e suddivisione per macro-aree
Anno, al 2021 (MW, GW)
Fonte: Energy Strategy
I dati del 2021 confermano la crescita degli impianti di piccola e media taglia e la stasi di quelli con potenza superiore a 1 MW. In particolare, nel 2021 non è stata registrata nuova potenza da impianti di taglia superiore a 10 MW.
Se da una parte non si può che salutare con soddisfazione la diffusione degli impianti che insistono sui tetti di tante famiglie italiane, una diffusione che auspicabilmente aumenterà ancora con le comunità energetiche, dall’altro risulta evidente che servirebbero anche grandi impianti che ormai da 10 anni sono invece sempre meno frequenti (fig 8).
FIG 8: Andamento segmentazione della nuova potenza fotovoltaica installata ogni anno per fasce di taglia
Anno 2007-2021 (%)
Fonte: Energy Strategy
Servono invece oltre che quelli sui tetti delle nostre case, dei capannoni delle aree industriali e artigiane, degli annessi agricoli, anche i grandi impianti a terra. Innanzitutto su aree compromesse (le cave, le discariche esaurite) e nelle aree industriali dove il permitting deve essere semplificato al massimo. Ma anche l’agrivoltaico – in cui convivono le attività agricole e la produzione di energia elettrica – potrà e dovrà svolgere un ruolo importante superando pregiudizi e contrarietà ideologiche, assai diffuse in questo Paese a partire da quelle delle Soprintendenze. “Anche il bene va fatto bene”, ma risulta ormai ingiustificata una narrazione per cui sarebbe il fotovoltaico il protagonista del consumo di suolo in questo Paese aggredito piuttosto dal cemento (spesso abusivo), e le rinnovabili in generale una minaccia al paesaggio, troppo spesso rovinato già da insediamenti industriali o da infrastrutture pesanti non sempre utili, e che rischia davvero di sparire causa crisi climatica. Gli impianti fotovoltaici a terra oggi occupano in tutto 17.500 ettari di terreno, per una potenza totale superiore a 9 GW, quando solo nel 2021 le coperture artificiali nel loro insieme (edifici, infrastrutture, insediamenti commerciali, logistici, produttivi e altro ancora) hanno fatto perdere in media circa 19 ettari al giorno di aree naturali e agricole, il valore più alto negli ultimi dieci anni, per un totale di quasi 7mila ettari. E dagli stessi dati emerge che i nuovi impianti fotovoltaici installati a terra nel 2021 hanno richiesto solo 70 ettari di suolo, cioè l’1% del totale del suolo consumato lo scorso anno. E soprattutto la disponibilità del suolo è un tema che non esiste da un punto di vista tecnico, perché in Italia ci sono 1,2 milioni di ettari di superficie agricola non utilizzata. Si deve invece guardare con attenzione alle innovazioni tecnologiche: ad esempio assai interessante è l’ipotesi di utilizzare i numerosi bacini idroelettrici per ospitare impianti fotovoltaici galleggianti. EDP Renewablesne ha in programma svariati in Europa per oltre 100 MW. Quando si riusciranno a fare anche in Italia?
L’eolico
Stessa analisi, con risultati anche peggiori purtroppo va fatta sull’eolico: la nuova potenza installata nel 2021 è stata di appena 404 MW. Complessivamente in Italia il volume della potenza eolica ha raggiunto gli oltre 11.322 MW a fine 2021 (fig 9).
Fig 9: Andamento potenza eolica complessiva installata in Italia
Anno 2010-2021 (MW)
Fonte: Energy Strategy
Come si vede dal grafico anche in questo caso siamo sostanzialmente fermi da quasi 10 anni. In Italia è difficile persino fare il repowering, sostituire cioè vecchie pale eoliche con nuove e più performanti sullo stesso sito.
Oggi grazie alla tecnologia floating si sono aperte interessanti prospettive anche sull’eolico offshore. Non a caso promosso dalla Goletta Verde di Legambiente insieme ad ANEV e Renexia. Ma anche qui è evidente che bisognerà superare al più presto le complicazioni autorizzative e le varie forme di nimby soprattutto istituzionale per poter raggiungere potenze in linea con i target che dobbiamo raggiungere
Costi sempre più competitivi. I dati
Un’istituzione finanziaria come Bloomberg non sospettabile di “ideologie ambientaliste” stima che oramai sole e vento sono le fonti più economiche per produrre elettricità nella stragrande maggioranza dei casi. Infatti, i costi della conversione in energia elettrica delle fonti rinnovabili continua a diminuire. Ma già lo scorso anno avevamo osservato che è tutta la decade 2010-2020 che ha visto un crollo spettacolare di quei costi.
Rivediamoli: il costo del fotovoltaico utility scale è addirittura sceso dell’85% tra 2010 e 2020 e oggi il LCOE (Levelised cost of electricity) medio pesato a livello globale è di 0,057 $/kWh, dato che il costo dell’installato è crollato da circa 5.000 dollari per kW a meno di 1.000. D’altra parte, nel 2010 si installavano nel mondo appena 42 GW e l’anno scorso più di 700: oltre all’innovazione che li ha resi più efficienti, sono già più che evidenti le economie di scala. Ma anche il fotovoltaico di piccola taglia ha avuto un calo analogo: se nel 2010 la media LCOE del fotovoltaico residenziale in Australia, Germania, Italia, Giappone e Usa oscillava tra i 0,304 $/kWh e 0,460 $/kWh, oggi siamo tra un minimo di 0,055 $/kWh, paragonabile al costo utility scale, e un massimo di 0,236$/kWh che comunque è una riduzione del 50% in 10 anni.
Anche per l’eolico si sono registrate spettacolari riduzioni dei costi: del 56% di quello a terra per cui il LCOE oggi è solo 0,039 $/kWh e del 48% di quello offshore (LCOE 0,084 $/kWh).
Non sono quindi i costi l’ostacolo alla realizzazione di un sistema elettrico completamente decarbonizzato che, insieme alla indispensabile elettrificazione del sistema energetico nel suo complesso, possa rendere credibile l’obiettivo di azzerare le emissioni di anidride carbonica entro la metà di questo secolo.
Un altro supposto ostacolo allo sviluppo delle rinnovabili agitato dagli “inazionisti” sarebbe la non programmabilità di eolico e fotovoltaico, che metterebbe a rischio la stabilità della rete. I fatti lo smentiscono. L’indicatore più spesso utilizzato per descrivere l’affidabilità della rete è la durata media delle interruzioni di energia elettrica sperimentate da ciascun cliente in un anno, una metrica nota con il nome di System Average Interruption Duration Index (SAIDI). Sulla base di questo parametro, la Germania – dove le energie rinnovabili forniscono quasi la metà dell’elettricità del Paese – vanta una rete tra le più affidabili in Europa e nel mondo. Nel 2020, il SAIDI era di appena 0,25 ore in Germania. Solo il Liechtenstein (0,08 ore), la Finlandia e la Svizzera (0,2 ore) hanno fatto meglio in Europa. Paesi come la Francia (0,35 ore) e la Svezia (0,61 ore) – entrambi molto più dipendenti dall’energia nucleare – hanno fatto assai peggio.
La società di consulenza leader a livello mondiale McKinsey & Company afferma che solare ed eolico sono sulla buona strada per diventare il nuovo carico di base per i mercati energetici globali già nel 2030 e per relegare la generazione termica da carbone e gas al ruolo di riserva, e secondo le loro previsioni le energie rinnovabili rappresenteranno il 50% del mix energetico mondiale già entro il 2030. Le energie rinnovabili saranno inoltre sostenute da una significativa aggiunta di capacità “flessibile”, tra cui l’accumulo da batterie, i veicoli elettrici e l’idrogeno verde.
Le comunità energetiche
Oltre 100 associazioni di imprese e del terzo settore hanno fatto appello al Governo per l’emanazione dei decreti attuativi che renderanno concreta la possibilità di realizzare tante comunità energetiche nel nostro Paese. Nella nota si spiega come le comunità energetiche concorrano significativamente alla strategia complessiva energetica, con una modalità originale, non replicabile da altre soluzioni, presentando un modello di produzione diffusa e partecipata che rende i cittadini, da semplici consumatori, a prosumer. Oltre quindi al contributo in termini di aumento di quota di produzione di energia da fonti rinnovabili, questo modello permette ai cittadini di godere potenzialmente di una parte dei benefici dei produttori, e rappresentare uno strumento di cittadinanza attiva.
Le prime comunità energetiche (alcune decine) sono sorte a partire dal 2021 grazie alla sperimentazione introdotta dal Decreto Milleproroghe che però aveva alcune limitazioni: innanzitutto quelle della potenza massima che è stata portata a 1 MW (con il recepimento della Direttiva europea solo a fine 2021); quelle della cabina utilizzabile, che nella sperimentazione era solo la secondaria e che a regime invece interessa anche la cabina primaria. Mentre scriviamo, quei decreti di cui le associazioni fanno richiesta ancora mancano. Il Kyoto Club e Legambiente, insieme alla Esco AzzeroCO2, hanno lanciato una campagna informativa rivolta ai piccoli comuni chiamata BeComE – dai borghi alle comunità energetiche – perché peraltro il PNRR destina ben 2,2 miliardi per la realizzazioni delle comunità in quei territori e, visti i ritardi nell’emanazione dei relativi bandi, diventa tanto più importante aiutare quelle amministrazioni a prepararsi a cogliere quella che può essere una straordinaria opportunità.
Non solo vento e sole
Ma se lo sforzo deve essere quello di sostituire tutto il fossile con le rinnovabili, anche se andassimo alla velocità della lepre con eolico e fotovoltaico non basterebbe.
Dobbiamo fare di più, innanzitutto con gli accumuli – le batterie – spingendo sull’innovazione alla ricerca di nuove tecnologie che minimizzino l’impiego di terre rare e materiali critici, spesso estratti in Paesi dove il controllo dei diritti dei lavoratori è assai precario. Ma c’è da lavorare anche nel riciclo di questi materiali (già ci sono nel nostro Paese impianti di questo genere). Inoltre, c’è bisogno di utilizzarne i bacini idrolettrici come grandi accumuli di energia da rilasciare alla bisogna, pompando l’acqua verso su dalla produzione di rinnovabili in eccesso.
Fare di più poi utilizzando il vettore idrogeno – ovviamente verde, cioè prodotto con elettrolisi alimentata da fonti rinnovabili – per tutte quelle produzioni industriali hard to abate, quali per esempio la siderurgia
Nello sforzo di sostituzione del metano fossile, un ruolo molto importante lo sta già svolgendo il biometano, prodotto dalla parte organica dei nostri rifiuti urbani e soprattutto da scarti agricoli. L’Europa si è data un target di 35 miliardi di metri cubi/anno, e in Italia il CIB (Consorzio Italiano Biogas) insieme al CIC (Consorzio Italiano Compostatori) ha calcolato che c’è una potenzialità di 8 miliardi di metri cubi e già ne produce oltre 2 (secondo produttore europeo dopo la Germania).
E non si deve nemmeno trascurare la geotermia, soprattutto quella a bassa e media entalpia che consente di realizzare impianti di qualche MW a ciclo chiuso (ma anche qui c’è da superare incomprensibili opposizioni nimby), che accoppiata alle pompe di calore consentirebbe di elettrificare gran parte del riscaldamento/raffrescamento domestico che ancora nel 2021 pesava per circa 25 miliardi di metri cubi di gas nei consumi del nostro Paese. Le potenzialità associate all’elettrificazione del riscaldamento/raffrescamento con la sostituzione delle caldaie a gas con le pompe di calore (pur tenendo conto di tutti i vincoli possibili) comporterebbe benefici economici quantificabili in 24,7 miliardi di euro in valore aggiunto, oltre 19 miliardi di gettito fiscale aggiuntivo, almeno 30mila occupati aggiuntivi e circa 3 miliardi di euro di risparmi per le famiglie; inoltre sarebbero oltre 12 milioni le tonnellate di CO2 evitate con riduzioni rilevanti anche delle altre emissioni inquinanti (-19% di ossidi azoto. E oltre l’8% di riduzione per monossido di carbonio e polveri sottili – sia PM10 che PM2,5). Si ridurrebbe infatti i consumi energetici di ben 5 Mtep risparmiando oltre 5 miliardi di metri cubi di gas (più di quanto riesce a trattare una nave rigassificatrice).
“I fatti hanno la testa dura” – diceva un rivoluzionario del secolo scorso–, e da una parte l’emergenza dovuta alla crisi climatica in atto che non ci consentirebbe più alcun tentennamento, dall’altra i costi competitivi e le opportunità occupazionali, ci dicono che la strada è tracciata. Inevitabile oltre che auspicabile: abbandoneremo il fossile a favore delle rinnovabili. L’eccessiva prudenza di tanta parte della classe dirigente italiana rischia di far perdere al sistema del nostro Paese un’occasione per posizionarsi nella fascia alta di chi saprà competere in questo nuovo mondo più pulito e più civile.
Francesco Ferrante
(con la collaborazione di Alberto Castelli)