La statua resti dov’è: ma le idee (recenti) di Montanelli su donne e neri fanno ribrezzo

pubblicato su Huffingtonpost.it

Indro Montanelli è stato un grande giornalista? Certamente sì, ma questo non deve impedire di valutarne gli atti, le parole, le idee con un minimo di verità. Per quanto riguarda gli atti, quello che Montanelli compì nel 1935, giovane soldato nelle truppe italiane d’invasione in Etiopia, e che in questi giorni è ritornato d’attualità è indiscutibilmente orrendo.“Acquistare”, meglio “prendere in affitto”,  una ragazzina appena adolescente per soddisfare i propri “bisogni” sessuali sarà stata pure, nell’Etiopia di allora, una consuetudine, ma rimane un abominio:  per noi che giudichiamo oggi, con i valori e i princìpi diventati patrimonio (quasi) comune, e anche per i tanti che già allora consideravano le donne come soggetti di diritti e non come oggetti di consumo.

Ma persino più sconvolgenti di quel comportamento in sé, messo in atto nel contesto di una guerra terribile da un giovane poco più che ventenne fanatico sostenitore – per successiva ammissione dello stesso Montanelli – del fascismo e delle sue “imprese” coloniali, sono le parole con cui decenni dopo un Indro Montanelli adulto e giornalista autorevole, nell’Italia democratica, rievocò quell’episodio della sua vita precedente e si espresse sul tema del razzismo.

Scriveva Montanelli il 12 febbraio 2000 sul “Corriere della sera”, raccontando i fatti senza nemmeno l’ombra di un moto di vergogna: “Si trattava di trovare una compagna intatta per ragioni sanitarie (in quei Paesi tropicali la sifilide era, e  credo che ancora sia, largamente diffusa) e di stabilirne col padre il prezzo. Dopo tre giorni di contrattazioni a tutto campo tornò con la ragazza e un contratto redatto dal capo-paese in amarico, che non era un contratto di matrimonio ma – come oggi si direbbe – una specie di ‘leasing’, cioè di uso a termine. Prezzo 350 lire (la richiesta era partita da 500), più l’acquisto di un ‘tucul’, cioè una capanna di fano e di paglia del costo di 180’ lire. (…) Faticai molto  superare il suo odore, dovuto al sego di capra  di cui erano intrisi i suoi capelli, e ancor di più a stabilire con lei un rapporto sessuale perché era fin dalla nascita infibulata: il che, oltre a opporre ai miei desideri una barriera pressoché insormontabile (ci volle, per demolirla, il brutale intervento della madre), la rendeva del tutto insensibile”.

Parecchi anni prima, sul “Corriere d’informazione”, Montanelli aveva chiarito il suo pensiero su altri “neri”, quelli che nell’America delle lotte antirazziste si battevano contro la segregazione ancora dominante negli Stati del sud. L’articolo (del 3-4 ottobre 1962) s’intitolava “America nera”, e dopo avere spiegato che nella guerra civile tra nordisti e sudisti i torti erano ben distribuiti, Montanelli lo concludeva cos: “(…) l’America sta rendendosi conto che con questo problema [la coesistenza tra bianchi e neri] essa deve convivere perché non lo può risolvere. O meglio, lo può risolvere solo nell’ambito giuridico della parità dei diritti civili. Biologicamente, no. Perché sarà ingiusto, sarà ripugnante, sarà razionalmente inesplicabile e inaccettabile: ma è un fatto che il meticciato coi neri ha dato risultati catastrofici dovunque lo si è praticato. So di dire un’eresia, per i tempi che corrono. Ma preferisco l’eresia all’ipocrisia”.

Allora. Indro Montanelli è stato, ripetiamo, un grande giornalista: amato tuttora da moltissimi italiani come  icona anche politica prima della destra e poi, dopo l’abiura antiberlusconiana e meno comprensibilmente,  della sinistra. La sua statua rimanga pure dov’è: le statue servono a raccontare la storia, e i protagonisti della storia sono spesso, sul piano della vita personale, controversi. Controverso in questo caso è un eufemismo: ciò che pensava e scriveva Montanelli – non un secolo fa ma l’altro ieri – delle donne e dei neri fa ribrezzo. Quanto all’ondata iconoclasta che accompagna nel mondo le attuali mobilitazioni contro il razzismo, si sappia distinguere: un conto è una decina di statue personaggi storici innegabilmente razzisti buttate giù negli Stati Uniti, danno collaterale minore prodotto da un movimento legittimamente molto “incazzato” in un Paese che 150 anni dopo l’abolizione della schiavitù trasuda ancora razzismo nelle istituzioni pubbliche com’è la polizia.  Altro conto sono i cretini che dalla parte nostra dell’oceano a quest’onda fanno il verso, prendendosela con Churchill o Colbert. E in ogni caso: concentrarsi oggi su qualche statua che cade giù più che sull’immane e attualissima piaga del razzismo che resta infetta e sanguinante non solo negli Usa, è come guardare il dito ignorando la luna.

ROBERTO DELLA SETA

FRANCESCO FERRANTE

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