pubblicato su La Repubblica
La crisi climatica sta cambiando quasi tutto.
Sta trasformando la geografia del mondo, tra ghiacciai che finiscono e deserti che spuntano anche a latitudini temperate.
Sta trasformando la storia economica e le politiche globali, avvicinando (sia pure con troppa lentezza rispetto alla sua velocità) la completa sostituzione dei combustibili fossili – prima causa del “climate change” – con energie pulite. Dice questo la scelta dell’Europa di concentrare su trasformazione ecologica e digitale gli 800 miliardi di investimenti del Next Generation.
Tra i pochi “sotto-mondi” che la crisi climatica non ha cambiato c’è la politica italiana. Fatta della destra più antiecologica d’Europa e di una sinistra che nei suoi gruppi dirigenti abbarbicati al Novecento continua a vedere i problemi ambientali come “sovrastrutture”. Ogni tanto li citano, perché capiscono che per i cittadini contano sempre di più. Ma per loro non sono davvero “politica”, non sono economia, non sono welfare.
E’ tutta l’Italia così immobile? No. La società italiana non è affatto “eco-indifferente”: per dire, si è mobilitata con successo in passato per chiudere la strada all’energia nucleare e da Legambiente al Wwf a Greenpeace è verde un pezzo importante della nostra cittadinanza attiva. Anche l’economia italiana corre verso il “green”: siamo primatisti europei in economia circolare grazie a migliaia di imprese che investono in sostenibilità ambientale non solo perché è “giusto” ma perché è un “affare” (nei giorni scorsi si sono ritrovate in moltissime a Rimini per Ecomondo, tra le principali rassegne europee di tecnologie verdi che quest’anno ha visto la partecipazione più massiccia di sempre).
Il ritardo, che è vecchiezza culturale prima ancora che compiacenza verso gli interessi materiali che in Italia come dovunque resistono alla transizione ecologica, riguarda le élite: la politica come le grandi rappresentanze d’interessi da Confindustria a molti sindacati. E poiché in ogni moderna democrazia il ruolo delle élite è decisivo – i grandi cambiamenti solo “dal basso” non esistono – l’anacronismo di quelle italiane, a cominciare dalle élite ”progressiste”, finisce per contagiare il corpo sociale lasciando campo aperto a populismi vari.
Un esempio rende bene l’incomunicabilità tra sinistra italiana e discorso ecologico. La crisi climatica si ferma azzerando il prima possibile l’uso delle energie fossili e invece puntando sulle energie rinnovabili e pulite, solare ed eolico in testa. In Europa le energie rinnovabili sono in crescita da tempo, in Italia sono quasi ferme da dieci anni, da quando un governo a guida Pd (Renzi) le bloccò con vari provvedimenti preferendo puntare – come oggi la destra – su qualche metro cubo di gas in più da trivelle nostrane. E sono imprigionate, le rinnovabili italiane, da norme e procedure ultraburocratiche che la sinistra, al governo quasi ininterrottamente dal 2013, non ha fatto nulla per correggere e che trasformano ogni nuovo progetto di impianto eolico o fotovoltaico in un “calvario” per l’impresa che vuole realizzarlo (al “calvario”, va detto, danno spesso una mano gruppi e comitati che nel nome abusivo della difesa del paesaggio si battono contro l’energia verde). Questo decennio “horribilis” per la transizione energetica italiana ha fatto danni non soltanto sul piano ambientale: come stiamo verificando dall’inizio della guerra in Ucraina ha gravemente ostacolato il nostro cammino di progressiva indipendenza energetica urgente non solo nella lotta alla crisi climatica.
33 anni fa Achille Occhetto apriva uno degli ultimi congressi del Pci dichiarando la deforestazione in Amazzonia come sfida prioritaria per la stessa idea di progresso. Pareva la premessa di un cammino di sincronizzazione della sinistra italiana con lo “spirito dei tempi”, resa tanto più cogente dopo poco dal crollo provvidenziale del movimento comunista. Non è andata così. Mentre si arenava la possibilità che crescesse in Italia un partito Verde, la sinistra erede del Pci diventava, proprio a partire dai temi ambientali, sempre meno contemporanea. In un bel libro uscito mesi fa – “La conquista dei diritti”- Emanuele Felice scrive che se non si apre alle ragioni ecologiche la sinistra italiana è persa, perché oggi l’ambiente è un ingrediente indispensabile per dare futuro anche alle idee di libertà e di eguaglianza. Ecco, sarebbe bello se l’ennesima fase “ricostituente” dei progressisti italiani partisse da qui: da parole contemporanee anziché dalla stanca riproposizione di litanie novecentesche.
ROBERTO DELLA SETA
FRANCESCO FERRANTE