pubblicato su huffingtonpost.it
Chissà se Greta vorrà davvero “dimettersi” da portavoce delle ragazze e dei ragazzi attivisti per il clima come ha annunciato oggi. Non sappiamo, per esempio, se resisterà alla tentazione di commentare il più che probabile esito insoddisfacente della COP27 che si apre oggi in Egitto.
Una COP alla quale lei, con tanti altri, ha deciso di non andare per non essere costretta a manifestare in un parcheggio recintato nel deserto, dove li avrebbe confinati il regime di Al Sisi.
Quello che sappiamo, invece, è che questa giovane ragazza è riuscita laddove molti vecchi militanti ambientalisti non erano riusciti nei decenni precedenti: ha reso “popolare”, moderno, centrale nel dibattito pubblico “mainstream” il tema della crisi climatica in atto. E c’è riuscita, come quasi sempre succede quando storia prende una svolta, per il miracoloso impasto tra qualità soggettive – il suo carattere, quel modo di parlare così diretto tanto da risultare spiazzante in platee abituate ai diplomaticismi seppure “eco” – e condizioni oggettive – l’aggravarsi degli effetti della crisi climatica che ormai determina sempre più spesso fenomeni meteorologici estremi anche alle nostre latitudini, là dove si forma l’opinione pubblica globale.
Per dire. Quante donne nere si erano rifiutate di cedere il loro posto sull’autobus ad arroganti maschi bianchi prima di Rosa Parks? Eppure noi ricordiamo il suo gesto coraggioso come quello che diede vita a una grande stagione di riscatto antirazzista. Lo stesso destino, ci auguriamo, toccherà alla figura di Greta Thunberg. Il merito di essere riuscita a entrare, e a fare entrare la questione climatica, nei discorsi quotidiani, non solo di chi la ama ma anche, per esempio, di quelli che per attaccare gli ambientalisti la sfottono e li sfottono chiamandoli “gretini”, non può essere offuscato né dalla costatazione che negli anni di Greta (tranne in quello drammatico della pandemia) le emissioni di gas di serra nel mondo hanno continuato a crescere, né dal fatto che si sia limitata a protestare, a denunciare il “bla bla” dei potenti, senza trovare le soluzioni, le risposte ai problemi che segnalava. Non toccava a lei. Non tocca a loro, a quei ragazzi e a quelle ragazze. E il suo successo non può oggi essere messo in discussione nemmeno perché suoi emuli, con scelte discutibili e discusse – queste sì “cretine” oltre che controproducenti – esasperati da quelle mancate risposte scelgono gesti e bersagli che con la crisi climatica non c’entrano affatto, come imbrattare le opere d’arte o bloccare comuni cittadini sulle strade di grandi città.
Semmai dà da riflettere che anche la straordinaria mobilitazione dei Friday for Future in centinaia di città del mondo non è bastata, non è sufficiente. Serve la politica, servono scelte politiche conseguenti al grido d’allarme che prima di Greta hanno lanciato gli scienziati, almeno altrettanto inascoltati, dell’IPCC quando hanno spiegato che se la temperatura globale del Pianeta si alzerà oltre 1,5 gradi rispetto alla media globale che si misurava prima della rivoluzione industriale, loro, gli scienziati,non sono in grado di prevedere il grado di reversibilità di fenomeni quali lo scioglimento dei ghiacci, l’innalzamento dei mari, il ripetersi sempre più frequente di tifoni, inondazioni, lunghi periodi di siccità, e queste “destabilizzazione” del clima mettono a rischio non il Pianeta – che di sconvolgimenti climatici ne ha attraversati tanti – ma la sicurezza e il benessere, forse la stessa sopravvivenza, di una specie tra le altre: la nostra. umana su questo Pianeta. Oggi siamo già +1,2 gradi. A Parigi laleadership di Obama che convinse i cinesi a fare l’accordo aveva fatto sperare, come si disse allora, di avere messo “i fossili dalla parte sbagliata della storia”. Gli anni successivi ci hanno fatto capire che era solo wishful thinking in assenza di politiche che, invece di continuare a sussidiare i fossili incentivassero rinnovabili ed efficienza.
C’è oggi qualcuno che mentre Greta (forse) passa il testimone si incarica di dare le risposte concrete alle domande sacrosante della sua generazione? C’è qualcuno tra i leader politici del mondo che voglia e sappia cogliere anche le opportunità offerte dall’innovazione tecnologica per costruire un mondo in cui a quelle ragazze e a quei ragazzi piacerà crescere? Sono queste le domande su cui sarebbe cosa buona e giusta trovare risposta.
Roberto Della Seta e Francesco Ferrante