La filosofia ispiratrice del cosiddetto “superbonus” è quella che servirebbe più in generale per avere finalmente una politica industriale degna di tal nome e che garantisca un futuro più sostenibile, auspicabile e solido, “durable” il termine francese rende forse meglio l’idea
Eccessivo? Non credo. Bisogna intendersi: il Green New Deal proposto dall’Europa é allo stesso tempo una necessità ineludibile per affrontare la crisi climatica in atto e dare concretezza ad accordi internazionali come quelli Parigi 2015 (che altrimenti rischiano di rimanere lettera morta mettendo in pericolo persino la sopravvivenza della nostra specie sul Pianeta), ma anche un’opportunità straordinaria per rilanciare l’economia e consentire all’Europa di tornare ad essere “modello” come lo fu con l’affermazione del welfare. A patto però che questo Green Deal non sia inteso come qualcosa che consenta al sistema economico di procedere business as usual, magari con una spruzzatina di rinnovabili in più al posto dei fossili (ma salvaguardando il gas per carità), ma piuttosto come un vero cambiamento di approccio che informi di sé tutte le politiche economiche mettendo al centro l’uso efficiente delle risorse, quella che oggi chiamiamo “economia circolare”.
Ecco, il superbonus proposto dal governo assomiglia a ciò che serve perché il suo obiettivo evidente é il rilancio di un settore economico, l’edilizia, che nel nostro Paese è assai rilevante, anche in termini di posti di lavoro, e che versa in una crisi terribile ormai da anni, ponendo però due “condizionalità green” molto importanti: “consumo di suolo zero”, perché destinato solo alle ristrutturazioni del patrimonio edilizio esistente, ed “efficientamento energetico”, aggredendo una delle maggiori fonti spreco e quindi di emissioni che sono i nostri edifici vetusti e colabrodo.
Ma proprio per questo é decisivo che nel passaggio parlamentare la proposta del Governo non venga stravolta e anzi migliorata e che i decreti attuativi siano tempestivi e ben scritti.
Per inficiarla purtroppo basta poco, per esempio se passasse un emendamento che prevede che non sia più necessario perseguire un miglioramento certificabile dell’efficienza dell’edificio o della singola unità immobiliare – con il doppio salto di classe – verrebbe meno proprio uno dei due paletti verdi che rendono virtuoso il provvedimento e soprattutto si correrebbe il rischio di fallire completamente l’obiettivo di rilancio dell’edilizia perché molti a quel punto si accontenterebbero di cambiare la propria caldaia con una a gas a condensazione senza intervenire sulle strutture (con il cappotto) o con impianti davvero più moderni ed efficienti.
Va quindi sventata questa manovra davvero tafazziana e invece esteso il superbonus:
- nel tempo (l’ideale sarebbe renderlo una misura stabile ma almeno prolungarlo sino alla fine del 2022 é indispensabile per i programmi delle imprese e per dare tempo a condomini e IACP di avere il tempo di decidere e deliberare);
- negli impianti ammessi per la detrazione fiscale perché non ha senso escludere per esempio le moderne caldaie a biomasse a 5 stelle meno inquinanti di quelle a gas (che invece sarebbe utile escludere);
- agli edifici pubblici, di proprietà del terzo settore e soprattutto alle scuole.
Sono tutte proposte che in Parlamento ci sono e che andrebbero accolte dal Governo come quella altrettanto fondamentale per fare emergere il lavoro nero (che purtroppo in edilizia é una piaga) rendendo obbligatoria la presentazione del DURC alle imprese che svolgono quegli interventi per cui lo Stato garantisce questa imponente detrazione. Infine Il Mise deve emanare immediatamente il decreto attuativo che deve stabilire i requisiti minimi delle tecnologie stabilendo costi massimi ammissibili che siano congrui e rendano possibili gli interventi utili.
Con queste accortezze il superbonus non solo sarebbe una manna per imprese e cittadini ma traccerebbe strada utile da seguire anche in altri settori per rendere il Green New Deal qualcosa di veramente concreto