pubblicato su huffingtonpost.it
Davvero perché l’Italia esca prima e meglio dal tunnel – sanitario, socio-economico, psicologico – della pandemia, serve sospendere la plastic-tax o modificare il codice della strada consentendo che sulle piste ciclabili corrano anche le motociclette? Sembra pensarlo il nostro governo, che si accingerebbe a rinviare l’applicazione della tassa sulla plastica monouso e che ieri per bocca della ministra De Micheli ha annunciato l’intenzione di creare nelle città italiane delle “bike-line”, così le ha chiamate, aperte sia alle biciclette che alle moto.
Partiamo da questa seconda “trovata”, davvero surreale. Come ha osservato Anna Donati dell’associazione Green Italia, che si occupa da anni di mobilità green ed è stata tra l’altro presidente della Commissione lavori pubblici alla Camera (2006-2008) e presidente dell’agenzia regionale della Campania per la mobilità, si tratta di un’idea totalmente da respingere, che da una parte frenerebbe lo sviluppo della mobilità in bicicletta decisivo per liberare le città dall’inquinamento, e dall’altra metterebbe a rischio la sicurezza dei ciclisti. Ogni anno in Italia muoiono investiti da auto e moto 800 tra ciclisti e pedoni, oltre il 20% di tutti i morti sulla strada. Rendere “promiscue” le piste ciclabili, aprendole alla circolazione delle moto, esporrebbe centinaia di migliaia di ciclisti che frequentano le piste a loro dedicate a un grave pericolo.
Se davvero si vuole usare l’occasione della crisi in atto per ridisegnare la mobilità urbana, obiettivo in sé sacrosanto, la via da seguire è opposta a quella indicata dalla ministra De Micheli: occorre moltiplicare le piste ciclabili vietate al traffico a motore, potenziare il trasporto pubblico, rafforzare ed estendere le misure di limitazione della circolazione delle auto private. C’è da augurarsi che la misura preannunciata dalla De Micheli sia frutto di un infortunio comunicativo, semmai dovesse tradursi in realtà ci sarà da battersi perché ogni sindaco sul proprio territorio riaffermi il principio che le piste ciclabili sono riservate alle biciclette.
Anche la scelta eventuale di rinviare la plastic-tax va nella direzione opposta all’orizzonte cui dovremmo guardare per il dopo-pandemia. La tassa sugli imballaggi di plastica introdotta con l’ultima legge di bilancio, già molto ridimensionata rispetto alle formulazioni iniziali, entrerà in vigore nel luglio prossimo. Prevede un’imposta di 0,45 centesimi per chilogrammo di plastica non compostabile e porterà nelle casse dello Stato, il primo anno, circa 200 milioni. Come attestano numerose ricerche, non avrà alcun impatto negativo né economico né occupazionale sull’industria del settore, mentre ha un alto valore simbolico. E’ un passo nella direzione di quella transizione ecologica verso produzioni e consumi ambientalmente sostenibili che tutti, a parole, considerano urgentissima se si vuole fermare la proliferazione di rifiuti di plastica nei mari e nell’ambiente, fermare la crisi climatica – un’emergenza non meno drammatica per il benessere umano del coronavirus –, favorire l’innovazione tecnologica “green” e cioè, nel caso della plastica, il superamento del monouso e la diffusione di materiali non di origine petrolifera e dunque compostabili. Queste ragioni hanno spinto di recente la Commissione europea a proporre formalmente in sede di definizione del bilancio comunitario 2021-2027 l’introduzione di un tributo nazionale di 0,80 centesimi di euro per ogni chilogrammo di plastica contenuto in imballaggi non riciclati.
Cancellare o rinviare sine die la plastic-tax, aprire le piste ciclabili alle motociclette, sarebbero entrambe decisioni insensate. Significherebbero che secondo questo governo per uscire dalla pandemia serve mettere da parte il “green deal”, tornare a uno sviluppo che se ne infischia dell’impatto sull’ambiente: una visione da autentici “dinosauri”, che è sperabile venga rapidamente smentita.
ROBERTO DELLA SETA
FRANCESCO FERRANTE