pubblicato su QualEnergia
L’Italia ha perso il primo posto in Europa per quanto riguarda la circolarità e l’efficienza nell’uso delle risorse
Il legame tra economia circolare e transizione energetica è evidente. Se la prima è sostanzialmente l’uso efficiente delle risorse, la t5ransizione dall’uso delle fonti fossili alle rinnovabili per la produzione di energia con un forte ruolo dell’efficienza non solo rientra a pieno titolo nell’economia circolare ne è parte fondamentale se non prioritaria. E purtroppo il nostro Paese che nell’economia circolare rispetto ai suoi competitors (europei) non è messo male, “batte in testa” proprio sull’energia. A settembre nell’ambito di Circonomia – il nostro Festival sull’economia circolare – abbiamo presentato un rapporto (curato da Duccio Bianchi con Roberto Della Seta) che fotografa proprio questa situazione. L’Italia rispetto al Rapporto 2022 perde a vantaggio dell’Olanda il primo posto nel ranking europeo quanto a circolarità ed efficienza d’uso delle risorse.
Il rapporto è costruito su 17 diversi indicatori che misurano l’impatto ambientale diretto – considerato come impatto procapite – delle attività economiche e civili su ambiente e clima, l’efficienza d’uso delle risorse la capacità di risposta ai problemi ambientali. I risultati nei 17 indicatori vedono l’Italia al primo posto solo in un caso: tasso di riciclo sul totale dei rifiuti urbani e speciali prodotti, indicatore nel quale doppiamo la media dell’Unione europea – oltre l’80% contro meno del 40% – e sopravanziamo di più lunghezze i più grandi Paesi europei. Ad eccezione che per il tasso di riciclo dei rifiuti, in tutti gli altri indicatori dal 2018 l’Italia segna progressi inferiori a quelli medi dell’Unione europea o addirittura passi indietro in valori assoluti. L’ambito nel quale l’arretramento italiano appare più rilevante però è proprio il trend di crescita delle nuove energie rinnovabili, solare ed eolico, “cuore” della risposta alla crisi climatica: nel 2022 la produzione italiana da eolico si è contratta di circa l’1% rispetto all’anno prima, mentre su scala Ue è aumentata del 9%, in Germania del 10%, in Olanda e Danimarca di oltre il 18% (è FIGURA 1); sempre nel ’22 la produzione da solare fotovoltaico è cresciuta in Italia del 10%, a fronte di un incremento del 26% nell’Ue, del 20% in Germania, di oltre il 25% in Spagna e Francia, del 54% in Olanda (è FIGURA 2). Le prospettive non sono brillanti anche considerando solo la nuova capacità fotovoltaica instal/lata: in Italia è aumentata dell’11%, la metà di quanto è cresciuta in media nella Ue (+22%) e addirittura un quinto di quanto è cresciuta in Olanda. La transizione energetica dell’Italia è “al palo” anche in fatto di efficienza d’uso dell’energia (come quantità di energia fossile consumata per unità di Pil tra il 2018 e il 2021 siamo stati sorpassati da Spagna e dalla Francia e quasi raggiunti dalla Germania, che ci erano largamente dietro) e di penetrazione della mobilità elettrica (nel 2022 la quota di auto elettriche sul totale delle immatricolate era del 4%, contro il 12% della media Ue, il 18% della Germania, il 13% della Francia, il 24% dell’Olanda).
Danimarca Francia Germania Italia Olanda Polonia Spagna
Ue 27 |
FIGURA 2: Produzione di elettricità da fonte fotovoltaica in alcuni Paesi europei (variazione %, 2022 su 2021) – Fonte: Eurostat, 2023 |
La crisi evidente della transizione ecologica italiana fotografata nel Rapporto Circonomia 2023, di cui a oggi non si vede alcun segnale di inversione, non è certo addebitabile all’attuale governo e riflette piuttosto una insufficiente consapevolezza dell’urgenza in termini di risposta alla crisi climatica, e della stessa utilità sul piano macroeconomico, della transizione “green” che accomuna in Italia buona parte delle classi dirigenti. Questa difficoltà essenzialmente “culturale” delle élite italiane nell’assumere in pieno la transizione ecologica come un prioritario interesse nazionale, è ulteriormente accentuata da una dinamica più recente: la “narrazione” della sfida verde da parte di attori non secondari della scena politica e di governo come di un tema divisivo tra schieramenti, in particolare di un tema intrinsecamente “di sinistra”. A smentire questa lettura basta un dato tra i tanti raccolti nel Rapporto Circonomia 2023: al primo posto del ranking di quest’anno si trova l’Olanda, dove da molti anni governano coalizioni di centro a guida del Partito liberal-conservatore e dove – con una superficie pari a un settimo dell’Italia e una popolazione di meno di un terzo della nostra – la potenza fotovolatica installata si è triplicata dal 2019 e ha ormai quasi raggiunto quella italiana cresciuta di appena il 20% (22,6 GW installati in Olanda contro 25,1 in Italia).
Economia circolare e transizione energetica: un nesso inscindibile
I numeri del Rapporto Circonomia 2023 rendono evidente il legame molto stretto che unisce l’economia circolare alla transizione ecologica in generale. Di questo legame è parte decisiva il tema del riciclo come asset irrinunciabile rispetto all’obiettivo, al centro della sfida climatica, di rendere più efficiente l’uso dell’energia e di ridurre rapidamente il ricorso alle energie fossili L’economia circolare allarga la visione su ciò che serve per rendere concreta e sufficientemente rapida la transizione energetica. Che non può basarsi soltanto su interventi di “sostituzione tecnologica” pure indispensabili – l’auto elettrica invece dell’auto a motore endotermico, la pompa di calore ad energia rinnovabile invece della caldaia a gas … -, ma deve investire anche la sfera dei “comportamenti economici”. In questo senso il passaggio dal paradigma economico lineare a quello circolare è uno snodo fondamentale. Economia circolare significa riutilizzare quanto più possibile degli “scarti” prodotti dalle attività umane come materie prime seconde in nuovi processi produttivi. È un processo virtuoso perché consente di ridurre forme di smaltimento dei rifiuti – la discarica, lo stesso incenerimento – ambientalmente problematiche, ma lo è anche e molto perché il “costo energetico” delle materie prime seconde è sensibilmente inferiore a quello delle materie prime vergini: il riciclo, cioè, riduce la quantità di energia necessaria a produrre beni e servizi, perciò riduce a parità di ricchezza prodotta il fabbisogno di energia e conseguentemente avvicina la possibilità di azzerare l’uso di energie fossili e così di fronteggiare con efficacia la crisi climatica. Il vantaggio energetico del riciclo è attestato da numerosi studi e vale sia nell’industria sia nei consumi domestici. Dall’acciaio all’alluminio, dalla plastica alla carta, le materie prime seconde costano energeticamente meno di quelle vergini. Per questo è grave assistere al peggioramento di questi dati negli ultimi anni nel nostro Paese Tra il 2021 e il 2018, in Italia sono cresciuti in valore assoluto il consumo di materia procapite e per unità di Pil, il consumo di energia fossile per abitante, le emissioni climalteranti per abitante, la produzione di rifiuti per abitante e per unità di Pil: tutti indicatori che su scala europea hanno fatto registrare miglioramenti.
In sintesi:
- Il consumo procapite di materia cresce in Italia del 10% a fronte di una media Ue che segna una riduzione del 2% e di tutti i grandi Paesi europei che registrano una riduzione più o meno consistente (-8% in Germania, – 6% in Francia, – 21% in Olanda).
- Il consumo di materia per unità di Pil presenta un andamento analogo: + 4% in Italia contro un – 8% nella Ue o un -11% della
- le emissioni climalteranti procapite in Italia tornano a crescere (+3% nel 2021 rispetto al 2018, principalmente per la riduzione degli assorbimenti), mentre diminuiscono nella Ue (- 7%) e in tutti i grandi Paesi europei (-9% in Germania, – 15% in Spagna, – 12% in Olanda); un ulteriore incremento delle emissioni assolute, in Italia, è atteso nel 2022 secondo i dati provvisori Eurostat.
- la produzione totale di rifiuti (urbani e speciali inclusi i rifiuti da costruzione e demolizione e minerari) cresce in Italia, sia in termini procapite (+3% tra il 2020 e il 2018) che per unità di Pil (+6%), a fronte di una riduzione diffusa in tutti i Paesi europei (la media Ue è rispettivamente – 8% e -7%).
Il “peggioramento relativo”. Sempre tra il 2021 e il 2018, in un insieme di altri indicatori l’Italia registra miglioramenti delle prestazioni in termini assoluti, ma di misura decisamente inferiore alla media Ue e spesso a tutti i grandi Paesi europei.
In sintesi:
- il consumo di energia fossile per unità di Pil diminuisce in Italia del 5,5% rispetto al -12% nella Ue e a riduzioni più consistenti rispetto all’Italia in tutte le grandi economie; rimane immobile Il consumo italiano di energia fossile procapite, che invece scende del 5% su scala Ue e del 7% in Germania e in Francia;
- le emissioni climalteranti per unità di Pil si riducono del 3% in Italia, contro una riduzione media del 13,5% nella Ue e riduzioni analoghe nelle grandi economie europee;
- il tasso di energia rinnovabile sul totale del consumo energetico aumenta del 7% in Italia a fronte di un aumento del 14% nella media Ue;
- il tasso di rinnovabili nella produzione elettrica cresce del 2,2% in Italia contro una crescita del 15,2% nella media Ue, del 13% in Germania, del 21% in Spagna e addirittura un raddoppio in Olanda;
- il tasso di riciclo dei rifiuti urbani aumenta dell’1% in Italia (nel 2021 sul 2018, ma nel 2021 diminuisce in valore assoluto), contro +7% della media Ue e un +6% della Germania che già presentava valori molto
- il tasso di auto elettriche sulle nuove immatricolazioni, un valore che ovviamente è in crescita ovunque, ma che in Italia (dove è già basso il valore di confronto) aumenta del 59% tra il 2022 e il 2019, mentre in Europa più che raddoppia e poco meno che triplica in Germania;
- la quota della superficie ad agricoltura biologica, sul totale della superficie agricola utilizzabile, in Italia aumenta dell’11%, mentre nella media Ue aumenta del 23% e in Germania del 31% .
- I consistenti segnali di uno stallo nel cammino “green” dell’ìItalia evidenziati dal Rapporto Circonomia 2023, confermano valutazioni già proposte in passato sulla fragilità, sui “lati oscuri”, della transizione ecologica italiana. L’idea, da più parti e ripetutamente proposta, che vi sia una “predisposizione” alla circolarità dell’Italia come eredità di un Paese come il nostro, storicamente privo di materie prime e di risorse energetiche, contiene certo elementi di verità, ma nel complesso è scarsamente fondata visto che il contesto europeo è da decenni caratterizzato quasi dappertutto da un’analoga scarsità di risorse naturali. È vero che l’Italia ha sviluppato prima e più di altri Paesi un sistema industriale che alimentava largamente il proprio fabbisogno di materie prime con rottami e scarti – in particolare nel settore siderurgico e in alcuni settori metallurgici –, ma è soprattutto vero che l’economia italiana ha mostrato una spiccata reattività alle tendenze in aumento dei prezzi delle materie prime e delle materie energetiche, e conseguentemente si è impegnata fortemente per migliorare i livelli di efficienza nell’uso di materia e di energia.
Ma ormai da tempo la transizione energetica italiana segna il passo. Dopo alcuni anni di promettente crescita delle nuove rinnovabili grazie a un efficace sistema di incentivi, durante i quali la quota italiana di rinnovabili elettriche è più che raddoppiata passando dal 16,6% del 2008 al 33,4% del 2014, spinta soprattutto dal solare fotovoltaico, poi dal 2014 il trend in aumento delle rinnovabili si è quasi del tutto fermato (a parte alcuni segnali di ripresa nel 2022). L’Italia era al 6,3% sui consumi finali di energia nel 2004, era passata al 17,1% nel 2014 – raggiungendo il target indicato dall’Europa -, è rimasta inchiodata al 18% nel 2019. Perché fermarsi? Anche la Danimarca aveva sostanzialmente raggiunto il suo target nel 2014, ma poi è cresciuta di altri 7 punti fino al 2019. La brusca “frenata” italiana è un caso quasi unico in Europa.
Sia pure con oscillazioni, in parte legate alle maggioranze di governo l’atteggiamento dell’Italia in tema di transizione energetica, in campo internazionale come nelle politiche nazionali, è stato quasi sempre “difensivo”. Sia le forze politiche che le stesse rappresentanze sociali hanno guardato più a quella fascia di mondi produttivi che (inevitabilmente) ha da perdere dalla transizione (e che sicuramento va sostenuta con protezioni sociali e incentivi alla conversione) che alla “nuova economia” – imprese, lavoro, innovazione – collegata a questo epocale cambio di paradigma. quella parte che si sarebbe affermata.