di Luca Bianco
pubblicato su huffingtonpost.it
Entro il 2050 sorgeranno in Italia – nei desiderata dell’esecutivo – dai 15 ai 20 mini-impianti che “contribuiranno alla decarbonizzazione completa”. Ma di motivi per cui essere perplessi ce ne sono tanti. Ce li spiegano Ciafani (Legambiente) e Ferrante (Kyoto Club)
Il primo cantiere nel 2030 e il primo reattore operativo entro il 2035. E poi via, con una tabella di marcia che prevede dalle 15 alle 20 mini-centrali nucleari sparse in tutta la penisola pronte ad essere in funzione entro il 2050, con la promessa che contribuiranno in maniera decisiva all’obiettivo decarbonizzazione completa dell’Italia. È il piano per il ritorno al nucleare consegnato al governo Meloni da Edison, Ansaldo Nucleare, Enea, Politecnico di Milano e Nomisma Energia. Si tratta di un piano per un nucleare – si legge dalle indiscrezioni rese note dal Sole24Ore – che sappia sfruttare le “opportunità offerte dalle nuove tecnologie”, caratterizzate da “zero emissioni, sicurezza rafforzata e migliori prospettive economiche”. Peccato che, secondo gli esperti con cui si è confrontato HuffPost, i mini-reattori siano dotati in realtà di tecnologie già esistenti, con tutti i rischi legati alla sicurezza e allo stoccaggio delle scorie. Trenta miliardi di euro – è la cifra totale che prevede il documento ora in mano al ministro dell’Ambiente Gilberto Pichetto Fratin – che, secondo Francesco Ferrante, vicepresidente del Kyoto Club, potrebbe essere investita interamente sullo sviluppo delle energie rinnovabili, l’unica vera strada, a suo parere, per raggiungere l’obiettivo della decarbonizzazione. Per il presidente di Legambiente, Stefano Ciafani, tra i tanti problemi c’è proprio quello dei costi: “Anni fa era diverso, ma oggi le energie rinnovabili sono fonti molto più economiche, cosa stiamo aspettando per capirlo?”.
Una cosa positiva ci sarebbe. L’indotto economico, secondo le previsioni del documento redatto dagli stakeholder incaricati dal governo di lavorarci, sarà pari a 100 miliardi di euro, con oltre mezzo milione di posti di lavoro in arrivo, più quasi duecentomila nei decenni successivi all’entrata in funzione di tutti i 15/20 mini-reattori. È un nucleare che, secondo i suoi sostenitori, sarà sostenibile e a zero emissioni. Nel piano all’esame del Mase si parla di un mix tra due tipi di reattori – gli Srm e gli Amr – entrambi caratterizzati da taglie ridotte che, secondo Edison, offrono diversi vantaggi: il minor impatto ambientale, una maggiore sicurezza e una maggiore compatibilità con la rete elettrica già in funzione nel nostro Paese. “Ma quale nucleare ‘sostenibile’”, è la prima reazione a caldo di Francesco Ferrante, del Kyoto Club, già senatore di spicco della corrente ambientalista del Partito Democratico, tre legislature fa. “I mini-reattori Srm non sono affatto una novità dal punto di vista della tecnologia. Sono progetti che si trovano già in giro per il mondo”. Tra l’altro, sottolinea ad HuffPost Stefano Ciafani, presidente di Legambiente, è lo stesso Sole24Ore di oggi a far notare, in un altro articolo, che i mini-reattori hanno un costo stimato maggiore di eolico e fotovoltaico: “Per non parlare delle scorie radioattive, della dipendenza dall’estero per la capacità di arricchire l’uranio o anche solo del rischio di concentrare la produzione di energia in poche mani proprio nel momento in cui ci stiamo liberando dai monopoli. Poi – prosegue l’ambientalista – mi devono spiegare come pensano, realisticamente, di realizzare dai 15 ai 20 reattori nucleari su un territorio, quello italiano, dove con grande fatica cerchiamo di far realizzare impianti eolici o fotovoltaici, che vengono contestati in tutto il Paese”.
L’impressione è che il governo abbia chiesto alle società interessate di ragionare a dei mini-reattori proprio con la speranza di renderli meno esteticamente ‘pericolosi’, con un minor impatto ambientale. C’è in effetti un’opinione pubblica di cui tener conto. Anche perché gli italiani hanno già sonoramente bocciato il ritorno al nucleare con due distinti referendum nel 1987 e nel 2011, con percentuali bulgare, rispettivamente intorno al 75 e al 95 per cento. “Sono più piccoli, ma non risolvono alcun problema dal punto di vista né delle scorie né della sicurezza” continua Ferrante. Anzi, “sono decenni che gli esperti che sostengono il nucleare ci dicono che, per l’economia di scala, più grandi sono e più sono convenienti”. Il governo punta sui mini-reattori per abbattere tempi e costi di ogni centrale – un vecchio Tallone d’Achille di qualsiasi proposta di riportare il nucleare in Italia – ma prova a rendere più attrattivo il nuovo nucleare sottolineando, nel documento non ancora ufficiale, come questa nuova tecnologia sia non solo complementare ma anche capace di valorizzare di più le energie rinnovabili. I mini-reattori, secondo quanto si legge sul Sole, avrebbero applicazioni termiche chiave nell’ottica della transizione energetica, consentendo di produrre idrogeno che poi andrà a decarbonizzare i settori economici più difficili da sottoporre alla transizione energetica.
“Sì – prosegue Ferrante – ma per raggiungere l’obiettivo della neutralità carbonica nel 2050 bisogna ricorrere alle fonti rinnovabili che conosciamo. Il nucleare che, secondo le ultime ricerche, sarebbe più ‘pulito’ non esiste ancora a livello tecnologico. A chi mi dice che nucleare e rinnovabili possono formare una coppia perfetta nel nostro mix energetico rispondo come faceva l’economista Paul Summerson di fronte alla necessità di effettuare alla spesa pubblica Usa durante la crisi del 1929: Signori, o burro o cannoni”. Le risorse previste per il Piano governativo, secondo Ferrante, potrebbero tranquillamente essere utilizzate per puntare su un maggiore sviluppo delle rinnovabili, “che tra l’altro costano meno”. E comunque, aggiunge il vicepresidente del Kyoto Club, “la strategia comunicativa del governo è in linea con quella messa in campo dai nuclearisti negli ultimi anni, dopo le batoste subite con i due referendum: “All’epoca sostenevano che il nucleare era l’unica strada possibile perché le rinnovabili erano solo una nicchia inutile. Adesso si sono resi conto dell’utilità delle rinnovabili, con tutti gli investimenti messi in campo dalle grandi potenze, a partire da Cina e Usa, e dunque provano a vendere il nucleare giudicandolo come complementare alle rinnovabili”.
Una critica, per il numero uno di Legambiente, deve riguardare anche le aziende coinvolte in questo Piano dal governo, a partire da Edison, di proprietà del colosso francese Edf. “Lo scorso anno – ricorda Ciafani – Edf è stata nazionalizzata perché stava fallendo”. Proprietaria di tutti gli impianti nucleari francesi, che producono il 70% dell’elettricità del Paese transalpino, Edf stava fallendo “perché ci sono alcuni reattori che devono chiudere e ora stanno cominciando ad affrontare i costi dello spegnimento, smantellamento e messa in sicurezza del sito oltre alla gestione dei rifiuti radioattivi. Lo scorso anno, i fiumi francesi sono stati in sofferenza idrica a causa della siccità che ha colpito anche l’Italia. In seguito a questa carenza idrica, Edf ha dovuto spegnere diverse centrali nucleari. Perché senza l’acqua non puoi raffreddarle e dunque devi spegnerle. Insomma, quando si tratta di nucleare è sempre la solita storia: quando si tratta di produrre energia e fare profitti se ne occupano le aziende. Quando si tratta di chiudere e gestire gli impianti, dunque le perdite economiche, si ricorre allo Stato, cioè ai contribuenti. E questa storia, quella di Edf, è del 2022. Non di chissà quale decennio lontano”.