sul Corriere della Sera
di Valeria Sforzini
Non si potrà più dire ai consumatori di essere «sostenibili», «eco-friendly» o «rispettosi dell’ambiente» senza averne la prova. Con la proposta di direttiva della Commissione e del Parlamento europei contro i «Green claims» (letteralmente dichiarazioni verdi), che potrebbe essere recepita nel 2024, le aziende dovranno fare i conti con quello che affermano nei loro spot o che scrivono sulle confezioni dei prodotti quando sostengono di essere attente all’ambiente evitando formule vaghe e che non poggiano su basi scientifiche.
In seguito alla proposta di direttiva della Commissione europea, al Festival di Circonomia di Alba verrà presentato il secondo report dedicato alle misure attive in Italia e nel mondo per contrastare le pubblicità e le aziende che dicono di essere “green” senza esserlo
«Tutti vogliono presentarsi come sostenibili, ma è importante farlo in maniera corretta», spiega Francesco Ferrante, vicedirettore della no profit ambientalista Kyoto Club. Al prossimo Festival Circonomia (qui il link al sito con il programma completo), organizzato con Epr comunicazione e Erica, dedicato all’economia circolare, dal 25 al 27 maggio ad Alba, Ferrante presenterà il secondo “Rapporto greenwashing” sul tema: «La questione sta diventando sempre più importante, soprattutto in ambito economico. Per questo nel rapporto è stato evidenziato il contesto europeo e internazionale nel quale si inserisce la direttiva». La proposta di direttiva sui “green claims” è stata presentata dalla Commissione europea il 22 marzo e comprende una serie di criteri comuni contro il greenwashing e le dichiarazioni ambientali forvianti. Sulla base del documento, i consumatori avranno maggiore chiarezza e rassicurazioni sul fatto che quando un prodotto è definito “green”, lo è per davvero.
In attesa di essere recepita e diventare legge
Anche se la direttiva non è ancora stata recepita, la proposta dà le linee guida da seguire. Il “greenwashing”, spiega il rapporto, è un’espressione coniata dall’ambientalista statunitense Jay Westerveld, il quale la utilizzò per primo nel 1986 al fine di sottolineare alcune pratiche mendaci perpetuate da parte delle catene alberghiere che facevano leva sull’impatto ambientale del lavaggio della biancheria affinché gli ospiti riducessero il loro consumo di asciugamani; in realtà tale pratica aveva esclusivamente dei fini e delle motivazioni economiche” .
In Italia oggi
In Italia, spiega il rapporto, per quanto attualmente non ci sia una vera e propria norma che regoli, definisca e persegua le pratiche legate al greenwashing, si può ricorrere ad alcuni principi basilari che possono limitare i danni contro consumatori e cittadini. Nel 2023 l’Istituto superiore per la protezione e la ricerca ambientale (Ispra) ha istituto una Task Force contro il greenwashing a supporto di operatori finanziari, autorità vigilanti e imprese. La novità che caratterizza questo impegno è nella natura stessa dell’istituto pubblico di ricerca, il primo a livello europeo a svolgere questo ruolo. Inoltre, a livello giurisprudenziale un ruolo cardine in Italia è stato assunto dall’Autorità garante del mercato e della concorrenza che, pur senza parlare direttamente di “greenwashing” , ha applicato sanzioni ad aziende che diffondevano slogan ingannevoli legati alla sostenibilità, i cosiddetti claim ambientali o verdi, diretti a suggerire o, comunque, a lasciar intendere o anche solo a evocare il minore o ridotto impatto ambientale del prodotto offerto.
In Francia, Germania e Gran Bretagna
Si legge nel rapporto che nel 2023 in Francia è stata vietata la pubblicità relativa alla commercializzazione o promozione dei combustibili fossili.In Germania, per rispettare il requisito relativo agli investimenti in attività sostenibili, le linee guida includono invece una disposizione nei limiti di investimento secondo la quale almeno il 75 per cento del fondo di investimento deve essere capitalizzato esclusivamente in attività sostenibili. In Gran Bretagna,a settembre 2021, l’autorità di regolamentazione ha pubblicato il codice di condotta “Green Claims Code” affinché le aziende possano comunicare correttamente le proprie credenziali ecologiche, riducendo al contempo il rischio di indurre gli acquirenti in errore. Il documento si basa essenzialmente sul già esistente diritto inglese dei consumatori e poggia la sua evoluzione su sei principi che sono emersi nel contesto di atti e omissioni ingannevoli in materia di tutela del consumatore.