pubblicato su repubblica.it
Si potrebbe chiamare “ecologia delle parole”. E’ l’idea che il linguaggio vada utilizzato in modo “pulito”, “ecologico”, con rispetto appunto per le parole e per il loro significato.
Come si sa i politici e i legislatori italiani hanno enormi problemi con l’ecologia delle parole: problemi squisitamente linguistici – le parole usate senza conoscerne bene il senso – e problemi ancora più insidiosi legati a un utilizzo volutamente ingannevole di ciò che si dice e si scrive. E’ una questione ricorrente e generale, ma ci sono casi nei quali l’abuso delle parole da parte della politica diventa eccezionale, molto più vistoso del solito. Uno è di questi giorni: è il decreto legge cosiddetto “semplificazioni”, la cui conversione è in corso tra Camera e Senato. Ecco, leggendo il testo – come proposto dal governo e come modificato dal parlamento – si capisce che tra il titolo e l’articolato ci sono frequenti contraddizioni.
In particolare su due temi di assoluta rilevanza e urgenza sul piano sia economico che sociale – energia e città – il decreto si chiama “semplificazioni” ma contiene norme che lo qualificano come una legge “complicazioni”.
L’Italia come tutto il mondo è chiamata ad accelerare sulla via della decarbonizzazione dell’economia e della vita organizzata: che vuol dire promuovere il più possibile il passaggio dalle energie fossili (carbone, petrolio, gas) che sono la causa principale della crisi climatica, alle energie rinnovabili. Questa transizione non è solo decisiva per stabilizzare il clima, dunque per fermare un processo – temperature sempre più elevate, moltiplicazione e intensificazione dei fenomeni meteorologici estremi – che procura già ora danni gravi alla salute e alla sicurezza di tutti noi; è anche una grande occasione di innovazione, competitività, internazionalizzazione per le nostre imprese. Purtroppo oggi in Italia lo sviluppo delle energie rinnovabili è frenato da tante norme che appesantiscono senza fondato motivo i procedimenti autorizzativi. Le associazioni di rappresentanza delle aziende che producono energia pulita avevano presentato proposte chiare: semplificare le procedure necessarie per rinnovare i parchi eolici esistenti, per realizzare piccoli impianti idroelettrici e geotermici privi di un impatto significativo sul territorio, per convertire gli impianti che ricavano elettricità dal biogas verso la produzione di biometano da immettere in rete.
Nulla di questo è stato accolto, in compenso sono state introdotte varie, ulteriori facilitazioni a favore del comparto petrolifero: royalties più basse sulle trivellazioni a terra e in mare, meno vincoli autorizzativi per la costruzione di nuovi oleodotti.
Non è andata meglio in un altro ambito decisivo per il futuro “green” dell’Italia: le città. La situazione attuale è nota a chiunque abbia occhio per vedere: i nostri centri storici sono i più belli e celebrati del mondo, la parte “contemporanea” delle nostre città – dunque la gran parte – svetta per bruttezza, insostenibilità ambientale, disfunzionalità sociale. Le città italiane vanno “rigenerate”, per fare questo occorre rendere più semplice sul piano burocratico e autorizzativo l’opera di sostituzione edilizia del tanto che va rifatto da zero e la riqualificazione delle innumerevoli aree degradate. Nel testo originario del decreto e in modo ancora più marcato nella legge di conversione per effetto di modifiche introdotte al Senato, tale semplificazione esclude tutta la cosiddetta “città consolidata”: che non vuol dire soltanto i centri storici, ma anche buona parte delle città novecentesce. A Roma, per dire, l’area dove non varranno le semplificazioni si estende in alcuni casi fino a oltre il raccordo anulare!
Il “decreto complicazioni” è frutto, prima di tutto, dell’incultura ambientale degli attuali legislatori e come nel caso della competizione tra energie fossili e rinnovabili del peso rilevante di interessi che contrastano le scelte “green”. Ma purtroppo trova sponde insospettabili anche in una parte del movimento ambientalista: in quella parte che da anni nel nome abusivo dell’ambiente si oppone agli impianti che ricavano compost o biometano dai rifiuti, ai parchi eolici e fotovoltaici, a qualunque semplificazione delle procedure urbanistiche… Per questo è tanto più prezioso l’impegno che in particolare Legambiente sta mettendo in campo per collegare l’urgenza di una svolta “green” nelle politiche economiche, energetiche, infrastrutturali, urbane, con una vera, concreta semplificazione normativa. Resta lo sconcerto per il fatto innegabile che questo decreto segna un punto a favore dei “complicatori” contro i “semplificatori”, e resta una preoccupazione più generale: se questa è la capacità di visione, di innovazione di governo e parlamento, è grande, davvero, grande, il rischio che quando si tratterà di orientare e realizzare le cose da fare con i miliardi del “recovery fund” europeo, l’Italia fossile finirà per avere la meglio sul futuro.
ROBERTO DELLA SETA
FRANCESCO FERRANTE