Mentre sul tema della collocazione europea impazza nel Pd un dibattito dai toni vagamente necrofili – questo che a tutti i costi vuole “morire socialista”, quell’altro che rabbrividisce soltanto all’idea -, dibattito che sembra interessare molto un ristretto ceto politico e molto poco i cittadini, il nostro partito è sotto i riflettori non proprio edificanti di media e opinione pubblica perché lambito da una serie di inchieste giudiziarie su ipotesi di commistioni tra affari e politica.
Sul primo punto, due osservazioni. Chi ha scelto liberamente e consapevolmente di dare vita al Pd, cioè ad un partito che raccoglie ex-comunisti, ex-socialisti, ex-democristiani, ex-liberali, ex-verdi, e che si propone di fondare un riformismo “di nuovo conio” calato nei problemi e nelle sfide del XXI secolo, doveva sapere che a valle di questa scelta non sarebbe “morto” politicamente né socialista né liberale né popolare, ma democratico. E in particolare, fa un po’ sorridere questo attaccamento viscerale, ombelicale, di alcuni dirigenti ed esponenti del Pd provenienti dalle fila dei Ds a una famiglia politica europea che è diventata “casa loro” solo da qualche anno.
Sull’altro problema, la “questione morale” dentro il Pd, va intanto segnalato il totale strabismo di un sistema dell’informazione che sembra capace di indignazione civile solo se e quando il bersaglio è la sinistra. Malattia, si badi, che contagia quasi tutti: i giornali vicini al centro-destra, ma questo non sorprende, i grandi quotdiani e periodici di informazione, persino i campioni dell’anti-politica come Beppe Grillo, mai stato così silente come dopo il ritorno al potere di Berlusconi.
Detto questo, nessun dubbio che una “questione morale” nel Pd si ponga, e che vada presa sul serio e presa di petto. Walter Veltroni ha ragione: la grande maggioranza di chi fa politica nel Partito Democratico – eletti, amministratori – la fa con passione civile e convincimento etico. Ma questa maggioranza non deve restare silenziosa, deve fare un passo avanti e contrastare, alla luce del sole, l’abitudine, coltivata da troppi nel nostro partito, a ridurre la politica – citiamo dalla celebre intervista di Enrico Berlinguer a Eugenio Scalfari di quasi tre decenni fa – a una “macchina di potere e di clientela”. Che pure oggi accada spesso così – lo ripetiamo: non solo nel Pd ma anche nel Pd – è incontestabile: per reagire non occorre aspettare l’esito delle inchieste della magistratura.
Moltissimi che hanno votato il 14 ottobre 2007 per la nascita del Pd, l’hanno fatto convinti della necessità di un partito nuovo. Che non guardasse alle vecchie appartenenze ma nemmeno replicasse i metodi più impresentabili della consuetudine politica italiana. Se questo non sarà si allontaneranno, tanti di loro hanno già perso fiducia ed entusiasmo: e la loro delusione sarà la premessa del nostro fallimento.
E’ moralismo questo? Può darsi, ma parafrasando Bertolt Brecht, beato quel Paese, e quel partito, che non hanno bisogno di un bel po’ di moralismo.
ROBERTO DELLA SETA
FRANCESCO FERRANTE