Capitolo di GreenItaly 2019 della Fondazione Symbola
Negli ultimi 10 anni in Italia e nel mondo le rinnovabili sono letteralmente esplose.Sono definitivamente uscite dalla “nicchia” e stanno diventando dappertutto componenti essenziali del mercato dell’energia.
Prendiamo il fotovoltaico in Italia ad esempio: nel 2009 c’erano 71.000 impianti per una potenza complessiva di poco più di 1000 MW, oggi siamo a 820.000 impianti per una potenza di oltre 20.000 MW. Il contributo alla produzione di energia elettrica nel nostro Paese che dieci anni fa era circa del 20% oggi è oltre un terzo del totale e si producono stabilmente circa 100 TWh. Peraltro nel 2009 circa tre quarti delle rinnovabili era costituito ancora dal vecchio idroelettrico perché le nuove – eolico e fotovoltaico soprattutto – avevano appena iniziato la loro corsa grazie alla allora recente riforma degli incentivi. Oggi invece le nuove rinnovabili contribuiscono al risultato ben più dell’idroelettrico.
Purtroppo se nella prima parte di questo decennio, fino al 2014, la crescita delle rinnovabili in Italia è stata impetuosa, le scelte politiche successive – per cui all’eliminazione degli incentivi non ha corrisposto alcuna semplificazione delle procedure e promozione di autoproduzione, anzi hanno prevalso i bastioni tra le ruote sia a livello locale che nazionale – hanno provocato quella stasi che si vede dai numeri per cui il 38% di rinnovabili nel mix elettrico è un record che dopo quell’anno non abbiamo più raggiunto.
Un blocco italiano in controtendenza con il resto del mondo dove ormai le fonti rinnovabili contano sempre di più: un terzo in termini di potenza installata, cioè 1650 GW quando dieci anni fa erano meno di 500 GW. E solo l’anno scorso ne sono stati aggiunti 171 GW, un incremento del 7,9% rispetto all’anno precedente (per la maggior parte – 84% – dovuto a eolico e fotovoltaico).
Due terzi della nuova capacità installata nel mondo nel 2018 era di rinnovabili, con l’Asia che fa la parte del leone (ovviamente, visto il ruolo della Cina ma anche dell’India) con il 61% del totale del nuovo installato. Con investimenti globali nel 2018 calcolabili in oltre 270 miliardi di dollari, più di tre volte di quanto si sia speso per nuove fossili.
In questi 10 anni nel mondo si sono investiti oltre 2.600 milioni di dollari in rinnovabili (di cui 1.300 milioni nel solare e 1.000 nell’eolico), con la Cina davanti a tutti, seguita da Europa e a distanza da Usa. L’Italia è il settimo Paese (dopo Cina, Usa, Giappone, Germania, Gran Bretagna e India) per valore di investimenti nel decennio.
Oggi il fotovoltaico è la fonte che si installa di più al mondo (in termini di potenza installata certo, non di generazione ancora): 638 GW, contro i 529 GW del carbone. Ma anche l’eolico installato (487 GW) è più del gas (438 GW). Questa gara – il trend è inequivocabile – la stanno vincendo le rinnovabili.
Il solo fotovoltaico nel mondo è aumentato di 26 volte in 10 anni passando da 25 a 660 GW.
Dati importanti che infatti si riflettono sulla produzione di elettricità che nel mondo oggi è arrivata al 12,9% (contro l’11,6% dell’anno precedente) e che significa qualcosa come 2 miliardi di tonnellate di emissioni di CO2 evitate solo lo scorso anno.
E ovviamente l’innovazione tecnologica e le economie di scala fanno scendere rapidamente i costi e in questi 10 anni il costo dell’elettricità generata da fotovoltaicoè crollato dell’81% e quella da eolico del 46%.
Dobbiamo quindi salutare con soddisfazione questa bella crescita? Dipende da che occhiali vogliamo inforcare. Se esclusivamente quelli dello sviluppo economico e dell’occupazione la risposta dovrebbe essere positiva. La quantità di investimenti l’abbiamo vista e per quanto riguarda l’occupazione, in Italia si calcola siano almeno 100.000 gli occupati nel settore delle rinnovabili e IRENA calcola in 11 milioni i posti di lavoro globali nel 2018 (10,3 milioni l’anno precedente), di cui 3,6 milioni nel fotovoltaico.
Ma se invece la vediamo dalla parte dell’urgenza imposta dalla crisi climatica allora la forbice tra ciò che si dovrebbe e potrebbe fare e ciò che realmente accade si allarga in modo drammatico.
Il WMO – l’Organizzazione mondiale dei meteorologi – a settembre ha certificatoche nel quinquennio 2015-2019 si è registrata una temperatura media globale superiore di 1,1 gradi centigradi rispetto a quella rilevata nel periodo pre-industriale. Un numero sempre più vicino alla soglia di 1,5 gradi indicati dagli scienziati dell’IPCC come quella da non superare se non vogliamo innescare processi non prevedibili e non controllabili. Come stupirsene, se le emissioni di CO2 nel mondo sono tornate a crescere negli utili due anni dopo qualche anno di stasi che ci aveva illuso sul disaccoppiamento tra crescita economia e crescita delle emissioni. E così la concentrazione di anidride carbonica in atmosfera è arrivata al record di 410 ppm (parti per milione) registrata quest’estate. E infatti l’innalzamento del livello del mare accelera pericolosamente e in questi stessi ultimi 5 anni gli oceani si sono alzati a una media 5 millimetri per anno contro una degli ultimi 25 anni che si fermava a 3,2 millimetri.
Cosa fare? Si deve accelerare nello shift da fossili a rinnovabili. Il costo che dovremmo sostenere se continuiamo a stare fermi sarà incalcolabile. Come si è detto il costo di conversione delle rinnovabili si è ridotto in maniera drastica. E così sta succedendo per i sistemi di accumulo che ovvieranno all’unico deficit di molte rinnovabili: la loro intermittenza. Ormai in molte parti del mondo (quelle più soleggiate) il fotovoltaico si aggiudica sistematicamente le aste contro il fossile (anche il carbone). E anche alle nostre latitudini per chi consuma molto diventa conveniente autoprodursi l’energia con il sole: siamo vicini alla grid parity. Non ci sono barriere tecnologiche, si devono superare le resistenze locali e i freni assai robusti che provano a mettere nel sistema normativo le lobby fossili.
Oggi, soprattutto considerando il rallentamento degli ultimi anni, anche solo per raggiungere l’obiettivo che l’Europa ha scelto del 32% – peraltro ancora insufficiente per adeguarci agli obiettivi fissati dall’Accordo di Parigi – significa che dovremo marciare molto più speditamente.
Eppure il PNEC (Piano nazionale energia e clima) – di cui il governo ha inviato in Europa una prima bozza alla fine dello scorso anno e che concluderà il suo percorso di approvazione alla fine di questo – dovrà necessariamente rivedere, rialzandoli, sia gli obiettivi sulle rinnovabili sia quelli sull’efficienza.
Come fare? La ricetta è quella che già indicavamo nel rapporto dello scorso anno:l’efficienza energetica. Mettendo da parte timidezze che fino adesso hanno penalizzato questo settore assai promettente anche dal punto di vista industriale, rendendo permanenti le detrazioni fiscali in edilizia residenziale e i superammortamenti in quella industriale. Puntando su una mobilità nuova, che privilegi altri modi di spostarsi rispetto all’auto privata (mezzi pubblici, bicicletta, sharing), e promuova l’elettrificazione nei trasporti, e dia adeguato spazio ai biocombustibili avanzati, a partire dal biometano, soprattutto nel trasporto pesante.
Devono contemporaneamente essere tolti gli ostacoli allo sviluppo di eolico (di piccola e di grande taglia, on shore e off shore) del fotovoltaico (soprattutto promuovendo autoconsumo e micro grids); si deve finalmente agevolare il repowering degli impianti esistenti, liberandoli da adempimenti autorizzativi barocchi e ridondanti. Il governo deve finalmente promulgare il decreto (atteso da anni) che incentivi quelle rinnovabili ancora non mature ma interessantissime per lo sviluppo futuro: il geotermico (quello di piccole dimensioni e quello a ciclo chiuso), il solare termodinamico, le biomasse sostenibili.
Ma soprattutto bisognerà, come dice la stessa direttiva europea, rendere finalmente possibile dare vita alle comunità energetiche e promuovere, estendere i Power Purchase Agreement. Insomma puntare sull’autoproduzione con forza e radicalità in modo da far capire i vantaggi delle rinnovabili.
In modo da superare gli ostacoli che poi sono sempre gli stessi: tempi infiniti per ottenere le autorizzazioni e ostacoli all’autoproduzione innanzitutto. Ma anche incapacità politica a livello locale di spiegare ai cittadini che un impianto a biometano o uno geotermico a ciclo chiuso non sono “bombe ecologiche”, tutt’altro. E anzi la sfida di un sistema energetico low carbon e che tenda a 100% rinnovabili ci deve rendere consapevoli che essendo, per loro natura, gli impianti da rinnovabili più piccoli di quelli fossili, ce ne saranno molti di più e molto diffusi. E che quindi l’accettazione del territorio di questi impianti sarà sempre più importante.
L’anno scorso concludevamo questa riflessione sullo stato dell’arte delle rinnovabili con una sorta di appello: “Tecnologie e pratiche già a disposizione. Si può fare. Basta volerlo.”
Non ci resta che ribadirlo, consapevoli che sempre più imprese (ma anche cittadini) sono da questa parte della Storia, quella dove i generali fossili suonano la ritirata.