Sulcis, Alcoa, Ilva di Taranto: tre storie così uguali e così diverse

Pubblicato su www.greenreport.it

Sulcis, Alcoa, Ilva di Taranto. Tre crisi drammatiche che interpellano il rapporto ambiente/lavoro, la tutela della salute e dell’ambiente in contrapposizione con l’occupazione. Tante volte abbiamo detto che rifiutiamo questa impostazione e che siamo invece convinti che è proprio partire dalla tutela e dalla valorizzazione dell’ambiente e puntando su innovazione di prodotto e dei processi di produzione – questa è la green economy – che si potrà  rilanciare uno sviluppo, diverso, che garantisca anche il lavoro. Ma qui vorrei dire che quei tre casi che appaiono a prima vista simili sono invece assai differenti e richiedono approcci e soluzioni diverse. Ai due estremi Carbosulcis e Ilva. Per il carbone del Sulcis sono decenni che la storia avrebbe dovuto vedere la fine e se ne sarebbe dovuta aprire una del tutto nuova. Quel carbone è di cattiva qualità  – basso potere calorifico e alto tenore di zolfo – non solo è inquinante ma molto anti economico ed è un’attività  che si regge solo grazie a sussidi pubblici (sempre più ingenti) e ormai insostenibili. Peraltro non si capisce perché spendere tutti questi soldi per un lavoro faticoso e pericoloso. E non ha proprio senso provare a tenerlo artificiosamente in vita vagheggiando di sperimentazioni sullo stoccaggio di CO2 assai distanti dalla praticabilità . Molto meglio sarebbe stato imboccare una strada tutta diversa ed è quello che a dovrebbe fare adesso. In quell’area a vocazione industriale insediare altre attività , a partire da quelle legate alle rinnovabili e valorizzare anche le grandi potenzialità  connesse ad archeologia industriale come si fa già  altrove. All’opposto non ha senso parlare di chiusura per l’Ilva. Questo che è il secondo paese manifatturiero in Europa ha bisogno di acciaio e se non lo produciamo in casa è una perdita per tutto il sistema. Il punto lì e che prima il pubblico e poi, in maniera ancora più devastante il privato, la proprietà  non ha fatto gli investimenti necessari e se ne è sempre fregata dell’ambiente, della salute, del rapporto con il territorio. Siamo ancora in tempo , grazie all’intervento della magistratura, a cambiare radicalmente strada, imporre ai Riva di spendere i soldi per le best available tecnologies ridurre impatto e contribuire alla bonifiche di quel territorio che troppo a lungo è stato massacrato. Per l’Alcoa la situazione è più complessa. Da una parte simile al Sulcis se si pensa al regalo fatto per tanti anni all’azienda concedendogli energia a costi ridottissimi (un regalo pagato dai cittadini), dall’altra anche l’alluminio come l’acciaio è essenziale per la manifattura e quindi in questo caso si potrebbe legittimamente sostenere che il sostegno pubblico è giustificato da un beneficio di cui godrebbe l’intero sistema industriale potendo disporre di alluminio italiano. Ma siamo certi che siano questi i termini reali della questione? Dagli ultimi dati disponibili a livello europeo di ricava la conferma che l’Italia è il secondo consumatore di alluminio – oltre 2 milioni di tonnellate contro i circa 3 della Germania sui 13 milioni dell’intera UE e ben di più del 1/1,2 di Francia e Spagna. Ma oltre il 50% dell’alluminio che ci serve lo ricaviamo dal riciclaggio (dato lusinghiero e migliore persino dei “virtuosi” tedeschi fermi al 33%) e la produzione domestica – tutta Alcoa – vale solo l’8% del totale. Questo significa che possiamo rinunciare a quella quota di produzione a cuor leggero? Assolutamente no visto che andremmo ad aumentare la quantità  di alluminio che già  importiamo dall’estero (oltre 800mila tonnellate all’anno), ma almeno il dato ci aiuta a inquadrare meglio il problema. Certo è che se si vuole procedere con la ricerca di una soluzione che salvaguardi la produzione di alluminio in Sardegna, Governo e Regione insieme alle agevolazioni già  pronti ad offrire ad eventuali acquirenti, dovrebbero sorvegliare con l’attenzione che mai hanno riservato al tema, che la nuova proprietà  faccia gli investimenti indispensabili per ammodernare gli impianti e per rendere competitiva la produzione per la quale non è plausibile pensare a sconti sull’energia indefiniti nel tempo, che la Ue non ci consentirebbe, e alla fine ingiustificati visto che sino adesso in realtà  Alcoa ha pagato l’energia elettrica meno dei suoi concorrenti con stabilimenti in Germania.