Solo due settimane fa, dalle pagine di questo giornale, avevamo suonato un campanello d’allarme sulle concrete scelte energetiche di governo e maggioranza. Alla Camera, in uno dei soliti provvedimenti “monstre” con cui usa governare Berlusconi (decreti e collegati vengono gonfiati all’inverosimile con emendamenti su materie di ogni genere, anche del tutto estranei al titolo originario; poi si chiede la fiducia in barba agli appelli del Capo dello Stato o del Presidente della Camera, quello del Senato resta invece silente), era stato inserito un comma per cui – andando ben oltre i limiti costituzionali – si prevedeva esplicitamente che in caso di riconversioni a carbone di centrali termoelettriche si può non tenere conto di legislazioni limitanti regionali o nazionali. Era una norma ad hoc per la riconversione della centrale di Porto Tolle, bloccata in Commissione di Valutazione di Impatto Ambientale perché una legge della Regione Veneto, quella istitutiva del Parco Regionale del Delta del Po, vieta che una centrale ricadente all’interno del Parco possa essere riconvertita ricorrendo a un combustibile più inquinante. Come prevedevamo in quell’articolo, grazie a tale comma la Commissione Via del Ministero dell’Ambiente ha concesso il suo via libera, sebbene alcuni commissari indipendenti, pochi a dire il vero, abbiamo ricordato nell’occasione che il parere tecnico che ci si accingeva a dare non teneva minimamente in conto l’aumento delle emissioni di CO2 che il carbone comporta, né il quasi certo incremento delle concentrazioni di polveri in Pianura Padana come effetto secondario degli inquinanti emessi dalla centrale (concentrazioni già elevatissime, per le quali l’Italia ha ricevuto un “warning” adll’Unione Europea). Di tutto questo, però il governo se ne frega. Resta solo una speranza per fermare questa nefasta riconversione: che la Regione Emilia Romagna – o anche un’altra Regione italiana – accolga l’appello rivolto dalle associazioni ambientaliste Legambiente e Greenpeace e dalla stessa Provincia di Ferrara per un ricorso alla Corte Costituzionale contro una norma palesemente illegittima. Qualche giorno fa sul Corriere della Sera questa storia è stata raccontata come un ennesimo conflitto ambiente-lavoro, di quelli che si consumavano dieci o vent’anni fa con gli “ambientalisti” e gli “operai” su opposte barricate. Lettura davvero un po’ stantia. Mentre in tutto il mondo governi, imprese, sindacati spingono sulle nuove tecnologie ambientali, sulla “green economy”, sulle fonti rinnovabili e sul risparmio energetico, come mezzi per creare posti di lavoro, promuovere uno sviluppo durevole e sostenibile, fronteggiare la recessione, qui da noi c’è ancora chi pensa che costruire una mega-centrale inquinante salvando momentaneamente qualche centinaio di posti di lavoro, sia più vantaggioso, in termini economici e occupazionali, che scommettere sull’energia del futuro.
Il Governo inglese, che certo non è tacciabile di sindrome nimby o di estremismo ambientalista, ha di recente emanato una norma per cui la costruzione di nuove centrali a carbone o il potenziamento di quelle vecchie è ammesso solo se i nuovi impianti o quelli accresciuti realizzano il sequestro nel sottosuolo dell’anidride carbonica emessa: tecnologia certo promettente su cui si stanno svolgendo sperimentazioni in tutto il mondo (anche in Italia Eni, Enel, Enea sono impegnate su questo fronte) ma che sarà disponibile non prima di qualche anno. Dunque il Regno Unito decide per ora di dare lo stop al carbone, scelta peraltro obbligata se si vogliono ridurre le emissioni di anidride carbonica come richiesto ai Paesi industrializzati dal Protocollo di Kyoto e dagli accordi europei. In Italia nel 2008 le emissioni sono diminuite, per effetto della crisi che ha ridotto i consumi e anche grazie agli incentivi alle fonti rinnovabili e al risparmio energetico introdotti dal Governo Prodi: ma il nostro Paese resta lontanissimo dagli obiettivi di riduzione per i quali ci siamo impegnati. Basti dire che un anno ci eravamo dati come tetto massimo di emissioni 211,4 milioni di tonnellate di CO2 nei settori cosiddetti Ets, cioè essenzialmente nei settori termoelettrico, della raffinazione, manifatturiero. Solo il manifatturiero ha fatto il suo dovere, anche perché in quanto esposto alla concorrenza ha tutto da guadagnare da comportamenti virtuosi sul piano energetico-ambientale che si risolvono in una maggiore efficienza produttiva; invece il termoelettrico ha sforato il suo tetto di oltre 10 milioni di tonnellate, di cui 7,5 milioni di tonnellate dovute proprio al carbone!
Insomma non abbiamo rispettato i nostri impegni europei e mondiali principalmente per colpa del carbone. E cosa fa il Governo? Autorizza la riconversione a carbone di Porto Tolle e ora al Senato, nel famigerato disegno di legge 1195 – quello dove c’ anche il rilancio tutto ideologico del nucleare – inserisce un comma che estende “erga-omnes”, per tutte le centrali a carbone, la norma “salva Porto Tolle”. Il Partito Democratico e noi ecologisti democratici ci siamo opposti e ci continueremo ad opporre in Parlamento a questa follia, speriamo che il Governo prima o poi rinsavisca e che magari le frequentazioni internazionali convincano i nostri ministri a cambiare rapidamente rotta.
ROBERTO DELLA SETA
FRANCESCO FERRANTE