Nel Partito democratico si discute molto e molto ci si divide, ma le
categorie di questa ricca dialettica interna sembrano tutte ben piantate nel
Novecento. Chi sta con la Cisl e chi con la Cgil, chi fa l’apologia delle
tute blu e chi dei colletti bianchi (che oggi si chiamano partite Iva), chi
guarda alla sinistra radicale e chi al centro moderato, chi è laicista e chi
è teodem.
Novecentesco è anche il disagio di quei Democratici che sognando un Pd meno
cattocumunista, o magari per ripulirsi dal “karma” di ex-comunisti, lo
vorrebbero molto più “liberale”. E declinano questo bell’aggettivo nel segno di un amore e di una deferenza assoluti per il mercato: come se il mondo
fosse ancora quello di trenta o quarant’anni fa, se le crisi – ambientale,
finanziaria, economica – di questi anni non avessero insegnato che un mondo
lasciato alle regole spontanee del fare economico è sia iniquo che
inefficiente.
Non per riecheggiare il “rottamiamoli” del sindaco di Firenze Matteo Renzi,
che insieme a Giuseppe Civati riunisce nei prossimi giorni a Firenze la
convention, appunto, dei “rottamatori”, ma davvero viene da dire: che noia!
Si cambi musica.
Il punto non è solo generazionale. O meglio: se in Italia per il
centrosinistra l’esigenza di un ringiovanimento dei gruppi dirigenti è così
pressante, ciò dipende dal fatto che le leadership attuali, con rare
eccezioni, hanno fatto tutte il loro apprendistato nella Dc e nel Pci: cioè
in partiti le cui culture politiche, i cui criteri di analisi della realtà
sono oggi largamente insufficienti per dare corpo a una vera e credibile
prospettiva riformista. E d’altronde: avevamo capito male o fu proprio da questa
consapevolezza che nacque la scelta di fare, con il Pd, un partito “nuovo”?
La resistenza dei gruppi dirigenti del Pd a dare adeguato spazio alla
questione ambientale è un buon indicatore dell’estrema difficoltà di questo
cambiamento. La sottovalutazione del tema ambiente da parte di quasi tutti i
leader e leaderini democratici è sconcertante, e va di pari passo con
un’acuta insofferenza verso quanti ritengono e sostengono che sia
impossibile costruire nel 2010 una grande forza popolare e riformista senza
mettere l’ambiente nelle fondamenta. Ora, è mai possibile che in un partito
dove gran parte dei dirigenti più importanti è cresciuto a pane e
ideologia – l’ideologia vera e tragica del Novecento – gli unici a venire
tacciati come “ideologici” siano gli ecologisti? E ancora una domanda: è più
ideologico chi continua a considerare ambiente e sviluppo come un’antinomia
e per esempio non è in grado di capire la differenza – in termini di utilità generale – tra una nuova autostrada e una nuova ferrovia -, oppure chi chiede che un Paese in difficoltà strategica come l’Italia punti, per il suo futuro nella
globalizzazione e per il rilancio del sistema economico e industriale,
sulla valorizzazione delle proprie risorse più tipiche, tra cui l’ambiente, e sull’innovazione ecologica?
L’ambiente in questo nuovo secolo non si può più guardare come soltanto un
prezioso bene comune. Evoca valori, bisogni, interessi dal peso crescente,
evoca soggetti sociali rilevanti. E’ una priorità tanto per settori significativi dell’economia reale quanto per segmenti di elettorato – quello giovanile, quello urbano – decisivi per far vincere i riformisti. E’ una priorità crescente anche in questi tempi di crisi, sennò non si capirebbe come mai pesa sempre di più nelle parole identitarie del centrosinistra nel mondo: dalla Francia di
“Europe à‰cologie”, alla Germania dove i Verdi nei sondaggi hanno raggiunto l’Spd, al Regno Unito dove il nuovo leader del Labour si professa ecologista. La ragione è che in settori non marginali delle nostre società sta crescendo, sia pure in modo confuso e contraddittorio, la percezione che dalla crisi epocale in atto, che pone in particolare l’Europa davanti a un rischio evidente di rapido declino, si esce non “more solito” ma cambiando almeno qualche parametro dell’idea di sviluppo.
Il Pd è ancora in tempo per cambiare musica, la sua musica, facendosi
ascoltare un po’ di più dai moltissimi che ci hanno votato e sono delusi e
anche da tanti altri che potrebbero sceglierci se trovassero in noi una politica
con gli occhi sul futuro. I “rottamatori”, ci pare, l’hanno capito:
liquidarli come disfattisti sarebbe stupido prima che sbagliato.
ROBERTO DELLA SETA
FRANCESCO FERRANTE