Si svolge oggi a Roma l’assemblea nazionale del Coordinamento Free (Fonti Rinnovabili ed Efficienza energetica). Un appuntamento importante, non solo perché il Coordinamento è la realtà che riunisce tutte le più importanti associazioni di quel settore , ma perché durante la mattinata ci sarà un confronto con i rappresentanti del Governo che è l’ultimo, estremo tentativo di rimettere in carreggiata il Decreto di incentivazione delle FER non fotovoltaiche in via di emanazione dal Ministero dello Sviluppo Economico. Un decreto che è già in ritardo di qualche mese e che dovrebbe garantire, da qui alla fine del 2016, una transizione dolce a un nuovo sistema.
Il problema è che la bozza del Decreto che circola in questi giorni, in realtà , rischia di dare invece un altro brutto colpo alle rinnovabili. Prima di entrare nel dettaglio dei punti più problematici, bisognerebbe una volta per tutte intendersi, con questo Governo, su quali debbano essere gli obiettivi a lunga scadenza.
Si vuole andare a Parigi – alla Conferenza dell’ONU su cambiamenti climatici di fine anno – con un piano per la realizzazione di una società low carbon, paragonabile all’Energiewende tedesca o agli obiettivi che Merkel e Hollande hanno anche recentemente ribadito di un taglio dell’80% delle emissioni al 2050, con iniziative concrete da prendere subito? In quel caso avrebbero anche un senso compiuto gli Stati Generali sul clima che il Governo ha convocato per il 22 giugno. O piuttosto si vuole continuare ad andare avanti in assenza di strategia a dar retta alle solite lobby: mettere in un articolo di un decreto le facilitazioni per le trivellazioni, in un altro quelle per gli inceneritori, e in un altro decreto le penalizzazioni per le rinnovabili e poi magari andare, come ha fatto il premier a New York all’assemblea dell’ONU lo scorso settembre, a dire quanto sia importante (a parole) la battaglia contro i cambiamenti climatici?
Insomma, questo Governo sta con gli innovatori o con i conservatori? Nel primo caso – che è quello che noi ci ostiniamo ad auspicare – allora il decreto in discussione va radicalmente cambiato e contemporaneamente va avviata la preparazione di un sistema di semplificazioni per le rinnovabili, incentivi per l’efficienza energetica e la modernizzazione della rete (comprensiva di sostegno allo sviluppo degli accumuli), di riforma del mercato elettrico che ci porti al 2030 e poi al 2050 con la consapevolezza che dobbiamo compiere la rivoluzione energetica: uscire dall’era fossile ed entrare in quella della generazione pulita e distribuita.
Ma andiamo alle richieste di modifica più rilevanti, trascurando quelle più “tecniche”, che avanza con urgenza Free senza peraltro mettere in discussione il limite dei 5,8 miliardi di euro annui fissato dalla legge.
In particolare il breve orizzonte (sino al 1 dicembre 2016) e la minaccia (in particolare per i piccoli impianti diffusi) di interruzione anticipata, in caso di raggiungimento anche solo temporaneamente della soglia limite, rendono impossibile di fatto la programmazione di iniziative solide e favoriscono quindi comportamenti frettolosi e aggressivi che già molto danno hanno fatto al settore. Soprattutto per gli impianti più piccoli e virtuosi (perché integrati nel territorio e nelle strutture produttive), è indispensabile prevedere che il raggiungimento della soglia permanentemente attivi la cessazione degli incentivi solo a partire da un termine differenziato per tipologia in relazione al tempo tipico di realizzazione degli interventi.
Per quanto riguarda l’eolico si deve far tesoro degli errori precedenti e modificare il meccanismo delle aste e dei registri rendendolo più efficace (e invece il decreto sembra andare in direzione contraria). Paradossale è poi che non sia previsto alcun contingente per l’eolico off shore nelle aste o nei registri. In questo Paese non si è ancora riusciti a fare nemmeno un impianto a mare, spesso per ottuse opposizioni di autorità (cieche peraltro di fronte ai veri scempi che deturpano le nostre coste). Si intervenga semplificando quelle procedure, non annullando la possibilità di mettere qualche pala a largo, nel rispetto del paesaggio. Ancora più assurde poi le riduzioni drastiche delle tariffe per il mini eolico che ucciderebbero un settore dove finalmente si stava costituendo una filiera interamente Made in Italy.
Per il settore geotermoelettrico sarebbe utile recuperare la norma che consentiva l’esclusione dai registri degli impianti sperimentali e individuare una taglia alla quale anche i piccoli impianti in cogenerazione (magari a servizio di edilizia civile o industriale) siano esenti. L’innovazione tecnologica in corso rende possibile ipotizzare che gli impianti entro i 200 kW possano farne parte (si tratta di centrali assimilabili ad un mezzo container).
Il settore solare termodinamico, che è stato inserito in questo decreto, soffre di problemi di un target molto basso per i registri ed inutilmente alto, invece, per le aste. Anche in questo caso per impianti di piccola potenza (es. 200 kW) potrebbe prevedersi una esclusione dai registri.
Il settore delle biomasse, essenziale per la corretta manutenzione e valorizzazione delle risorse ambientali, in particolare nei virtuosi circuiti che fanno uso di sottoprodotti e/o di coltivazioni dedicate in filiera corta, è colpito da una riduzione significativa degli incentivi unitari che alle piccole taglie (fino a 300 kW) non appare giustificata e anzi quei piccoli impianti dovrebbero essere esentati da ogni taglio in quanto rappresentano spesso una impiantistica connessa e dedicata alle aziende agricole o all’edilizia, essenziale per conseguire gli obiettivi di risparmio energetico ed uso sostenibile delle risorse.
Più in generale il vero scandalo – come ho già avuto modo di sottolineare – nell’impianto del Decreto sta nella presenza, a concorrere alla formazione del budget, e quindi a limitare la disponibilità di risorse per le vere rinnovabili, di due modalità di produzione di energia che non dovrebbero proprio essere qui considerati : la riconversione dei zuccherifici, che sarà pure un tentativo (di difficile successo a mio avviso) di salvaguardia occupazionale in alcuni territori ma che qui viene surrettiziamente finanziata con accesso alle bollette dei consumatori e va a incidere per una somma stimabile in oltre cento milioni. E l’incentivazione degli inceneritori che sarebbe molto più corretto far pesare eventualmente (ammesso e non concesso che ne servissero di nuovi…sic!) sul costo dello smaltimento rifiuti anziché spalmarli in modo generalizzato sulle bollette elettriche.
Escludendo dal budget la riconversione di zuccherifici e i inceneritori, invece, potrebbero essere reperite risorse per l’incentivazione delle autentiche rinnovabili, utili ad innalzare le soglie del registro almeno per alcune categorie.
Infine, pare davvero antistorico che nel Decreto venga richiesto al gestore di rete (Terna) di “evidenziare le zone ad elevata concentrazione di impianti non programmabili in esercizio, per le quali si manifestano criticità nella gestione delle reti e per le quali gli stessi gestori propongano motivate misure di riduzione dell’ulteriore capacità produttiva incentivabile”. In un sistema virtuoso lo sviluppo della rete accompagna la nuova produzione, mantenendo in capo al gestore l’obbligo di connettere ogni impianto che ne faccia richiesta e non caricandolo dell’onere di svolgere, nei fatti, un ruolo di pianificazione della nuova capacità limitando la libera produzione da fonti rinnovabili. Quale sarà la risposta del Governo a queste richieste? Difficile prevederlo, ma qui sta la misura vera di quel tasso di innovazione, indispensabile anche nella costruzione del consenso, che non a caso, forse, visti gli ultimi risultati elettorali, sembra che si stia smarrendo.