Riformista non vuol dire fare l’ala destra del Pd

Pubblicato da Il Riformista

Intervistato nei giorni scorsi da il Riformista, Giorgio Tonini ha sostenuto
che l’ormai scontato allontanamento del voto archivia l’ipotesi della “grande
alleanza costituente”, tutti uniti da Vendola a Fini per sconfiggere
Berlusconi. La legislatura va avanti, ed è molto probabile che quando si
voterà  fra uno o due anni il centrodestra candiderà  un nuovo leader, e a quel
punto il Terzo Polo tornerà  nel suo alveo naturale di un centrodestra liberato
dall’anomalia berlusconiana. Tonini ha ragione, ma dimentica di dire che a
questa presa d’atto non è chiamata solo la maggioranza del Pd che sostiene
Bersani: un analogo cambio di rotta deve compierlo chi, anche all’interno
della minoranza di Modem, ha teorizzato per qualche mese la necessità  del Pd
di allearsi con il centro moderato rompendo con Di Pietro e Vendola. Dietro il
discorso su tattiche e alleanze, dice ancora Tonini, resta irrisolto il vero
nodo che aggroviglia e appesantisce la strategia del Pd: l’identità  
programmatica, culturale del partito, la sua capacità  di mettere in campo un
profilo riformista all’altezza dei tempi. Diagnosi del tutto convincente, un
po’ meno la terapia che propone Tonini citando un paio di esempi concreti: 
per lui, sembra di capire, riformismo significa aderire senza se e senza ma
alla “sfida” di Marchionne, o magari dire di sì al nucleare. Insomma, per
semplificare, fare la destra del centrosinistra. A noi invece piacerebbe un Pd
né più di destra né più di sinistra di quello attuale, ma un po’ più
contemporaneo. Che sulla Fiat, per esempio, invece di rincorrere Marchionne
dica con forza una banale verità : se le auto italiane si vendono sempre meno,
crisi o non crisi, non è per colpa degli operai fannulloni ma perché una Punto
o una Croma contengono un sesto del valore in ricerca e sviluppo di una pari
gamma Volkswagen o Bmw. E ancora, ci piacerebbe un Pd che in questi giorni
innalzi con decisione la bandiera della rivoluzione energetica dando
rappresentanza e speranza a quelle migliaia di imprese delle energie
rinnovabili – l’unico settore industriale cresciuto a ritmi elevati malgrado
la crisi – tradite dal Governo, che con il decreto approvato una settimana fa
le mette letteralmente in ginocchio, e tradite anche da Confindustria, che
preferisce difendere gli interessi filo-petroliferi e filo-nucleari di uno o
due grandi gruppi tardo-monopolisti che rispondere alle attese di migliaia di
aziende innovative. Qui sta il futuro economico di Paesi come il nostro e qui
– come dimostra l’ascesa in Europa di forze politiche ecologiste, dai Grà¼nen
tedeschi ai francesi di Europe Ecologie – sta il futuro vincente di un
riformismo pragmatico nelle analisi e nelle proposte ma radicale
nell’ambizione di cambiamento. Qui, vogliamo sperare, sta anche la scommessa
di chi non si rassegna alla trasformazione del Pd in una replica stanza e
sbiadita del Pci-Pds-Ds. E in questo sforzo, oggi del tutto insufficiente, di
guardare con occhi nuovi a una realtà  sociale, economica, culturale ormai
molto lontana dalle categorie politiche del secolo scorso, risiede l’unica
possibilità  di riportare il Pd alla sua missione originale: smettendola di
pensare questo Paese irrimediabilmente diviso per “bande” , lanciandosi senza
più remore nell’impresa affascinante di conquistare il consenso per il
cambiamento necessario.