Tra le zone maggiormente interessate il canale di Sicilia, il mare della Romagna e della Puglia, l’isola di Lampedusa, persino la Sardegna al largo delle spiagge del Sinis, in un angolo di paradiso che dall’isola di Mal di Ventre corre fino alle coste di Bosa. Insomma sembra che i nostri mari siano destinati a cambiare fisionomia, assomigliando sempre più al Mar del Nord delle grandi piattaforme petrolifere.
Questa ricerca di oro nero sui fondali – spiegano i senatori ecodem – non porterà nessun vantaggio agli italiani, perché oltre alle ricadute negative sul turismo e ai rischi ambientali, il petrolio del basso Adriatico è di cattiva qualità : è bituminoso, ha un alto grado di idrocarburi pesanti, è ricco di zolfo. Inoltre le attività di perforazione e produzione di petrolio dal fondo marino contribuiscono per il 2% all’inquinamento marino. Questo 2% va sommato al 12% dovuto agli incidenti nel trasporto marittimo, si aggiunge il 33% per operazioni sulle navi relative a carico e scarico, bunkeraggio, lavaggio, scarichi di acque di sentina o perdite sistematiche, che porta al 45% l’apporto complessivo di inquinamento dovuto a perdita dalle navi. “
“A completare il quadro di questa ecatombe per i mari italiani – concludono Ferrante e Della Seta – ci sono i fluidi e fanghi perforanti che sono usati per portare in superficie i detriti. Sono fanghi tossici e difficili da smaltire, contenenti tracce di cadmio, cromo, bario, arsenico, mercurio, piombo, zinco e rame, che finiscono nei pesci che portiamo in tavola.”