L’annuncio di Ban Ki-moon di uno stanziamento di 40 miliardi di dollari per la salute di madri e bambini è una di quelle belle notizie da prendere con le molle. Troppe volte, sulla pelle dei più deboli, la politica degli annunci è stata crudelmente smentita dai fatti e quindi è difficile non condividere la preoccupazione di chi pensa che, con la crisi economica in atto e considerando che i cosiddetti “Paesi donatori” non hanno mai dato tanto poco quanto fanno adesso, anche questa sarà un’ennesima promessa mancata. Ed è certamente vero che quasi tutti gli “obiettivi del millennio”, su cui solennemente si impegnarono i grandi del mondo dieci anni fa, nel 2015 non saranno raggiunti e che questo significa sofferenze e ridotte speranze di vita per milioni di uomini e donne in carne ed ossa. Ma sarebbe altrettanto parziale non leggere alcuni fatti positivi che il vertice Onu ha fatto emergere. Non mi riferisco alla teoria di alcuni “neoliberisti”, anche nostrani, per cui sarebbe la globalizzazione in sé che porterà tutti i cittadini del pianeta fuori dalla povertà . I cantori di quello che una volta era un “pensiero unico”, per avvalorare la loro tesi fanno riferimento alle percentuali in diminuzione di coloro che vivono al di sotto della soglia di povertà . Si dimenticano dei numeri assoluti, fanno finta di non vedere le grandi differenze tra paesi quali Cina (e India), in cui veramente milioni di persone escono ogni anno dalla miseria, e gran parte dell’Africa. Sono gli stessi “ideologi del neoliberismo”, per cui anche le diseguaglianze sociali che si estremizzano nei paesi emergenti non costituirebbero un problema. Ritengo, al contrario, che la forbice che si allarga tra i paesi ricchi e quelli più poveri e all’interno dei popoli, tra una minoranza sempre più ricca e una maggioranza che conosce nuove miserie, sia un problema in più da affrontare. Ma stanno invece altrove le tendenze positive. Nella proposta di Sarkozy e Zapatero di tassazione delle rendite finanziarie – quella Tobin tax fino a poco tempo fa proposta solo dal movimento altermondialista – che non sarà accolta in questa fase, ma che ormai è centrale nel dibattito pubblico internazionale (da noi quelli che rappresentano il sistema economico sono in prima linea nell’opporsi, ma questa non è una novità ). Nell’affermazione, ribadita al vertice da Achim Steiner, il Direttore esecutivo del programma ambiente dell’Onu, per la quale puntare sulla green economy è il modo migliore per affrontare i cambiamenti climatici ma anche per risolvere la crisi economica e dare risposte concrete alle richieste dei paesi più poveri. Nelle notizie che ci vengono dall’Africa, dove tra tanti ritardi, tragedie e in alcuni casi massacri – si pensi solo al Darfur -, in molti paesi si fa faticosamente strada la democrazia, e il referendum recente in uno dei paesi più importanti di quel continente – il Kenya – ne è forse il segnale più evidente. Perché senza democrazia nei Paesi poveri, non ci sarà riforma e aumento dei fondi stanziati da quelli ricchi che possa risolvere i problemi. Insomma, pur non negando le ombre, da New York arriva anche qualche luce e Obama nel suo discorso che concluderà il summit forse sarà in grado di offrircene qualche altra. L’Italia non c’è. Non c’è fisicamente, perché il nostro premier è affaccendato in altro, non c’è nelle proposte (inesistenti), non c’è negli atti concreti: stanziamenti ridotti ai minimi termini, promesse roboanti dimenticate il giorno dopo. Una per tutte, a Copenhagen alla fine dell’anno scorso il governo italiano si impegnò a mettere 200 milioni l’anno nel fondo destinato ai paesi poveri per affrontare i cambiamenti climatici: spariti!
Francesco Ferrante