Sul disastro elettorale. la green economy e l’ambientalismo che verrà 

Dialogo semiserio, ma profondamente autentico, tra due senatori della scorsa legislatura. Troppo ecologisti per essere ricandidati dal Pd.

Pubblicato su La Nuova Ecologia

A: Fratoddi ci ha chiesto 4000 battute di analisi dei risultati elettorali e delle prospettive per Nuova Ecologia di aprile. Scrivi tu.

B: no, non mi va. Scrivi tu.

A: uff! Tocca partire dal disastro del Pd.

B: eh si! Vai con la metafora calcistica.

A: quando ti dicevo in campagna elettorale che il centrosinistra sembrava una squadra di calcio che davanti alla porta, senza avversari in giro, si mette a cincischiare con il pallone pensando di essere il Brasile e nel frattempo quegli altri rientrano – da destra e da sinistra – e all’ultimo minuto gli tolgono la palla dai piedi?

B: si, ma poi spiega la metafora….se no quando ci arrivi a 4000 battute.

A: si, così poi mi dici che son pedante. E’ chiarissimo, da una parte il Pd – forse già  con la scelta di Bersani nel 2009 – ha scelto di rinchiudersi in una ricerca di un’”identità ”, novecentesca, che gli ha impedito ogni allargamento, ogni ricerca del nuovo e ha seppellito, con qualche sarcasmo, anche la “vocazione maggioritaria”. Insomma ha rinunciato a parlare a coloro che non votano centrosinistra in nessun caso (il voto della Lombardia è chiarissimo da questo punto di vista: si tengono anche i ladri pur di non votare per i “comunisti che gli succhiano il sangue con le tasse”) e si è rifiutato di capire che doveva parlare linguaggi nuovi, fare proposte concrete, “contemporanee” come ti piace ripetere. E la distrazione su green economy e dintorni, l’incapacità  di fare scelte chiare sull’ambiente (compresa l’esclusione di noi due dalle liste) ne sono state la cartina al tornasole più evidente. Il centrosinistra ha fatto una campagna con la parola d’ordine “lavoro” senza dire dove e come voleva crearlo. Anzi dimenticandosi di quel settore che, unico, aveva dimostrato di essere anticiclico: la green economy appunto.

B: si, certo. Ma sottolinea anche l’altro errore, persino più grave in termini di esito elettorale, quello di non avere capito che nel frattempo c’era anche chi gli erodeva la sua tradizionale base elettorale “di sinistra” perché dava voce alla più che giustificata incazzatura dei cittadini contro la mala politica. Quella stessa mala politica da cui il Pd, pur con tutte le rimarchevoli distanze da un Fiorito qualsiasi, non era del tutto distante. E anche la stucchevole polemica interna di questi giorni post elettorali per cui il gruppo dirigente del Pd continua ostinatamente a non voler capire che il finanziamento pubblico dei partiti semplicemente non è più sostenibile è la prova che non capiscono, non hanno capito ancora che cosa è successo.

A: eccolo là , tu quoque! La deriva grillina ti ha contagiato.

B: Imbecille: faccio un’analisi di quel che è successo. Non voleva questo Fratoddi? Mica non li vedo tutti i “vizi” di quel movimento. A partire dal concetto stesso di “democrazia”, l’insofferenza a ogni forma di organizzazione, di livelli intermedi tra base e gruppi dirigenti, che a me inquieta abbastanza: quella retorica dell’”uno vale uno” che in realtà  funziona come obbedienza al capo e che nei fatti non è modificabile perché è anche la ragione stessa del loro successo. Però tu non puoi negare quello che hanno notato in molti, anche in Legambiente: grazie al M5S finalmente in Parlamento un sacco di giovani e un sacco di gente che si dice attenta all’ambiente e se ne vuole occupare.

A: mah?! Occuparsi di ambiente non vuol mica dire saper trovare le risposte giuste. Anche tra gli eletti del centrosinistra ci sono più parlamentari di prima che si “occupano” di ambiente. Ma sia gli uni che gli altri vanno ascritti più alla categoria “sintomo” che non alla possibile “terapia”. Un po’ diverso da come noi abbiamo sempre concepito il nostro ambientalismo: insieme chiave di lettura della realtà  e formidabile leva di cambiamento. Invece in questo Paese si oscilla tra protesta contro tutto (pensa a tutti i sedicenti ambientalisti che scendono continuamente in campo contro le rinnovabili ….e vedrai con i grillini!) e il patetico tentativo di tenere insieme dichiarazioni roboanti contro il consumo di suolo e l’impegno concreto pancia a terra per la realizzazione di nuove autostrade o il tentativo di far passare il via libera a speculazioni edilizie mascherandolo con una legge per “nuovi stadi”. Dai su!

B: Ma appunto serviva una bomba per far saltare questo tappo che si traduce da sempre in conservazione dell’esistente. Non mi far essere banale, ormai la odio quella frase, ma proviamoci davvero a ragionare e ad agire come se dalla crisi, e questa lo è sicuramente, possano nascere nuove opportunità , e dio sa quanto ce ne è bisogno!

A: toccherà  fare qualcosa di nuovo mi sa però. Oggi contrariamente anche a pochi anni fa la voglia di rappresentanza di un pezzo di società  , anche di sistema economico, che anela la modernizzazione è molto più forte che mai. E’  come se la domanda di politica, di buona politica non abbia ancora trovato l’offerta giusta e vada disperatamente cercando a destra e sinistra. Vogliamo forse rinunciare a costruire quest’offerta?

B: certo che no. Siamo qui per provarci. Ancora

P.S. B: Idiota hai scritto più di 5000 battute, ora Fratoddi taglia.

A: la colpa è tua che continuavi a interrompere. Speriamo di no, mò lo chiamo

Il colloquio tra noi è immaginaro, e quindi non è mica importante chi è A e chi è B, ma i contenuti veri al 100%

Roberto Della Seta

Francesco Ferrante

 

4 maggio, l’Italia cambia strada. Da Milano

Scaldiamo i muscoli, il 4 maggio a Milano si cammina, o si pedala, ma lo si fa in tanti. E non sarà  una passeggiata, ma una vera transizione, dobbiamo accendere il cambiamento. E’ la mobilità  nuova che si avvicina, a passi per ora felpati, ma con la chiara intenzione di diventare massa, la massa dei ciclisti urbani, dei pendolari, di quelli che hanno scoperto che si può vivere liberi dall’auto, di quelli che non ne possono più di vedere soldi pubblici trasformati in asfalto e stipendi trasformati in lamiere e benzina. La manifestazione per la Mobilità  Nuova è l’occasione tanto attesa per iniziare un cambiamento ormai non più rinviabile, è protesta contro tutto il male che ci ha fatto la monocultura dell’auto, ma è anche il coraggio di vedere che la mobilità  può essere una cosa diversa, più evoluta di un’automobile che sposta una persona con un’efficienza energetica inferiore al 2%, costringendola a pagare anche l’altro 98%.
E’ una grande sfida che non possiamo ‘scegliere’ di cogliere, ma che ‘dovremo’ intraprendere, e prima lo faremo più avremo da guadagnarci: passare dalla costosa, inquinante, ingombrante e inefficiente mobilità  proprietaria, alla mobilità  open source, accessibile a tutti, economica, efficace, evoluta ed evolutiva. Non potrà  non accadere, perchè sarà  la rivoluzione del XXI secolo, ma dobbiamo aiutare la mobilità  nuova a rimuovere gli ostacoli – politici e lobbistici – che ne ostacolano l’affermazione. Per questo serve anche esserci, con le proprie gambe
 

Sel (e Pd?) socialisti tardivi

Oggi ha senso per il centrosinistra, e in particolare per il Pd, immaginare per sé un futuro socialdemocratico?

Cinquantanni fa, quando la sinistra europea era quasi tutta socialista, solo in Italia mancava un forte, grande partito socialista. Oggi che la sinistra in Europa e nel mondo è molto di più e molto daltro, la sinistra italiana smania per entrare nel club dei socialisti europei. Vendola ha appena formalizzato la richiesta di Sel di aderire al Pse, mentre il Pd già  fa parte del gruppo socialista al Parlamento europeo (per entrare, ha chiesto e ottenuto che il Gruppo cambiasse nome in Socialisti e democratici). E ora questa stessa prospettiva, dare vita in Italia a un grande partito dichiaratamente socialista, anima lidea di accogliere Vendola e il suo partito dentro il Pd.
Questa asincronia nel rapporto tra la sinistra italiana e il campo socialista dice parecchio sulle ragioni per le quali in Italia i progressisti non sono mai stata maggioranza. Non lo sono stati durante la prima Repubblica, quando la possibilità  di unalternanza tra Democrazia cristiana e partiti di sinistra alla guida del Paese venne sempre impedita dal fatto che da noi la sinistra, caso pressoché unico in Occidente, vedeva la presenza maggioritaria di un Partito comunista: quello che Alberto Ronchey battezzò il fattore k. Non lo sono stati nemmeno negli ultimi ventanni, quando per governare hanno avuto bisogno o che il centrodestra fosse diviso, come nel 1996, oppure di allestire coalizioni passepartout destinate a vita scomoda e breve, come lUnione del 2006 da Bertinotti a Mastella.
Oggi ha senso per il centrosinistra, e in particolare per il Pd, immaginare per sé un futuro socialdemocratico? Noi crediamo che ne abbia molto meno di ieri. Ha meno senso per due buone ragioni. La prima è nella genetica del Partito democratico, nato dallUlivo e dallintuizione prodiana di collegare in ununica, grande forza le due principali famiglie del progressismo italiano: i post-comunisti, che socialisti sono diventati solo tardivamente, e i cattolici eredi della sinistra democristiana, che socialisti non sono mai stati né, immaginiamo, intendano diventarlo adesso. A ciò si aggiunga che il Pd, quando nacque, dichiarò lambizione di guardare oltre le sue tradizioni fondative, insufficienti davanti alle sfide del nuovo millennio. La seconda ragione non riguarda solo lItalia: è nel carattere sempre più plurale della sinistra in Europa e nel mondo. Una sinistra che si presenta con volti diversi: il volto, certo, dei partiti socialdemocratici, ma poi il volto liberal di Obama e dei democratici americani, il volto ecologista dei Grà¼nen tedeschi che nei sondaggi ormai tallonano la Spd. Insomma, lalfabeto socialista non basta più per rappresentare adeguatamente i valori, i bisogni, gli interessi di chi si considera di sinistra. Per esempio, è del tutto insufficiente e qualche volta è di ostacolo – per dare risposte convincenti a quei settori sempre più larghi dellopinione pubblica, della società , della stessa economia europee per i quali lecologia e la green economy, e ancora prima una riconversione radicale dei nostri stili di vita e dei nostri modelli di produzione e di consumo verso la sostenibilità , sono la via maestra non solo per fronteggiare grandi problemi come i cambiamenti climatici o linquinamento, ma per ridare allEuropa speranza nel futuro, condurla fuori dal tunnel della crisi, conservarle un ruolo da protagonista nelleconomia globalizzata.
Allora, mentre è naturale e va benissimo che i partiti socialisti di antica storia si tengano stretta la loro identità  e provino semmai ad aggiornarla alla luce dei nuovi problemi e delle nuove domande del presente, è invece assai discutibile questa corsa italiana a salire sul treno socialista da parte di chi socialista non è mai stato. Lo capì bene nel 1989 Achille Occhetto, che quando decise con uno strappo dolorosissimo per tanti di cambiare nome al Partito comunista preferì laggettivo democratico, più generico e inclusivo, a socialista. Scelta in parte dettata da esigenze del momento (non darla apertamente vinta ai socialisti di Craxi) ma scelta comunque preveggente: rinnegarla dopo un quarto di secolo sarebbe lennesima anomalia italiana, costerebbe la rinuncia a rappresentare con completezza la sinistra  e i tanti che vogliono un vero cambiamento, inevitabilmente porterebbe all’esplosione del Pd. “I merli con i merli e i passeri con i passeri”, disse una volta Bertinotti per evocare il suo no ad ogni mescolanza tra sinistra radicale e  riformista: ma nel 2013 le varietà  ornitologiche non si fermerebbero probabilmente a due,
 

Roberto Della Seta
Francesco Ferrante

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