Tranquilli, sono tornato

Giovedì 27 aprile 2006 ore 15 riunione di tutti gli eletti della Margherita alla camera e al senato. 

Quando arrivo vengo accolto dal sospiro di sollievo di numerosi colleghi e delle ragazze del gruppo del senato: temevano che qualche problema nel viaggio aereo di ritorno da Chernobyl – dove ero andato con una delegazione di Legambiente in occasione del ventennale dell’incidente – mi tenesse lontano e che oggi sarebbe mancato il mio voto. Sono arrivato, tutto a posto. E mi pare che, in generale, a parte tutte le inevitabili fibrillazioni dovute a questa nostra maggioranza così risicata, non ci saranno problemi e che presto supereremo questo primo scoglio. Iniziamo con un minuto di silenzio per i morti di Nassiriya. L’attentato ovviamente fa passare qualsiasi voglia di “festa”. Evidentemente non saranno i terroristi a cambiare in un senso o nell’altro ciò che abbiamo già  deciso di fare. Di ritirarci cioè dall’Iraq e nei tempi stabiliti, ma queste nuove morti mi colpiscono non solo per il carico tragico e luttuoso che colpisce nostri concittadini ma per l’ennesima prova dell’inutilità  di questa avventura che ci regala un Iraq insicuro e dilaniato e l’area medio orientale ancora più instabile. Rutelli e Prodi fanno due brevi ma densi interventi incentrati sulla decisione di fare i gruppi unici dell’Ulivo sia alla camera che al senato. àˆun passaggio politico importante che non era affatto scontato e soprattutto mi pare si sia oltrepassato un punto di non ritorno. Voglio dire che ovviamente il Partito democratico non è nato oggi, anzi sia a livello territoriale che nazionale Ds e Margherita continueranno a sentirsi ancora “due” distinti soggetti e sul piano locale ci saranno anche frizioni, ma quella strada è imboccata con un passo formale importante e non si torna più indietro perché il prezzo che si pagherebbe di fronte agli elettori sarebbe elevatissimo e nessuno se lo potrà  permettere. Ora affinché il processo vada avanti con passo spedito bisognerà  lavorare per andare oltre l’incontro e l’intreccio fra i due partiti, i loro militanti, le loro culture e forme organizzate ereditate dai partiti storici di massa, per far fruttare la capacità  – dimostrata già  dal risultato elettorale dell’Ulivo – che il Partito democratico ha di attrazione di “altro” e di “nuovo”: ciò che ci serve per superare la barriera invisibile che continua a spaccare l’Italia a metà .

A Chernobyl, per l’addio all’atomo

àˆ l’una e ventitré minuti della notte del 26 aprile 1986 quando all’interno della centrale nucleare di Chernobyl avviene la prima esplosione, 

àˆ l’una e ventitré minuti della notte del 26 aprile 1986 quando all’interno della centrale nucleare di Chernobyl avviene la prima esplosione, passano solo pochi secondi e avviene una seconda esplosione causata dal combustibile e dalla grafite all’interno del nocciolo, determinando la fuoriuscita e la diffusione nell’ambiente di gran parte del materiale radioattivo contenuto nel quarto reattore. Il pennacchio di fumi contenenti isotopi radioattivi si alza per oltre un chilometro. I componenti pesanti ricadono nelle vicinanze, mentre i componenti leggeri si dirigono verso l’Europa seguendo la rotta dei venti prevalenti. La contaminazione riguarderà  155mila chilometri quadrati tra Ucraina, Russia e Bielorussia, e produrrà  un aumento della radioattività  su gran parte dell’Europa. àˆ di 11 miliardi di miliardi di Baquerel la radioattività  rilasciata dalle esplosioni, un valore 30 miliardi di volte superiore alla dose massima utilizzata per terapie radiologiche di tumori. Difficile fare una stima esatta delle vittime dovute al fall out radioattivo che ha interessato oltre tre milioni di persone. Certamente 1800 sono stati i casi di cancro alla tiroide censiti dall’Aiea in bambini che all’epoca dell’incidente avevano un età  compresa tra i 0 e 14 anni, e un milione e mezzo di persone vivono ancora oggi in aree con livelli di contaminazione superiori a un curie per chilometro quadrato. Sono migliaia le famiglie italiane organizzate da associazioni cattoliche e laiche come Legambiente che ogni anno ospitano per alcune settimane i “bambini di Chernobyl” provenienti dalla Bielorussia e dall’Ucraina per garantire loro un seppur breve, ma utilissimo secondo i medici, periodo di soggiorno in zone non contaminate e un’alimentazione sana. L’impianto di Chernobyl ha cessato la sua attività  nel 2000 ma rappresenta tutt’ora una potenziale ed enorme minaccia e la sua messa in sicurezza definitiva dovrebbe essere una priorità  non solo dell’Ucraina ma dell’intera comunità  internazionale. Chernobyl dimostrò che il rischio d’incidente, sempre presente in qualsiasi impianto industriale, legato a problemi della tecnologia o a errori umani, nel caso del nucleare comporta conseguenze non paragonabili con nessun altro evento del genere. Eppure, anche negli ultimi mesi in Europa le “sirene nucleariste” hanno fatto sentire la loro voce. Le argomentazioni sulla bontà  di una scelta anche per il nostro paese di ritornare al nucleare si scontrano però con i problemi irrisolti della gestione dei rifiuti radioattivi e dello smantellamento degli impianti, e non ultimi, con i costi veri di produzione di un chilowattora da produzione elettronucleare. Nonostante da più parti si continui a spacciare il nucleare come una tra le fonti energetiche più convenienti i suoi costi “veri” hanno infatti scoraggiato i privati dall’investire in questa tecnologia negli ultimi decenni. E non è un caso che negli Stati Uniti, e nel resto dei paesi occidentali dove i produttori di energia elettrica sono privati, non si costruisca una centrale nucleare dalla fine degli anni ’70.

Tasse e strade, la nostra verità 

Il Corriere della Sera ha titolato un’intervista post elettorale a Riccardo Illy «Più strade e meno tasse per riconquistare il settentrione». 

A parte la sintesi giornalistica, necessariamente un po’ semplificatoria, quel titolo coglie bene un pensiero e un’impostazione diffusi, almeno tra coloro che nel centrosinistra si pongono, giustamente, il problema di come interloquire con quella metà  del paese che non ci ha voluto votare e che, con tutta evidenza, non si fida di noi e che noi siamo ben lontani dal convincere. Ma forse proprio al fine di parlare anche a quella parte fondamentale dei nostri concittadini sarebbe bene fare un’altra operazione verità , oltre a quella ineludibile che ci attende sui conti dello stato che ci hanno lasciato Berlusconi e Tremonti, anche su questi due punti essenziali: il fisco e le infrastrutture. àˆ giunto il momento di dire una volta per tutte che se vogliamo mantenere i servizi sociali propri, non solo del welfare, ma più semplicemente di uno stato moderno ridurre, in maniera significativa, la pressione fiscale totale non si può proprio fare e che invece è utile lavorare sulla distribuzione del peso fiscale su persone e cose. L’impossibilità  della riduzione generalizzata è una verità  forse scomoda ma nota in tutto il mondo e dimostrata peraltro proprio dal fatto che neanche il centrodestra, che su questo punto aveva basato gran parte della propria propaganda e delle sue ricette economiche, è riuscita a farlo in cinque anni (a meno di non considerare la riduzione dello 0,6% un qualcosa di significativo e utile). Le tasse servono per assicurare i servizi che lo stato deve garantire ai suoi cittadini, e in quelli fondamentali – la scuola, la sanità  ma anche il trasporto pubblico locale essenziale per la qualità  della vita nelle città  moderne – nel nostro paese non si spende “troppo”, piuttosto invece si spende “male”. Sarebbe credo molto più utile, anche per parlare ai cittadini che continuano a votare a destra, fare uno sforzo davvero enorme per rendere più rapidi, puntuali e comodi i nostri autobus, più accoglienti e sicuri gli ospedali, più formative le nostre scuole. A questo fine si deve lavorare per ridurre gli enormi sprechi che ci sono nella spesa pubblica: usare quelle risorse per “migliorare” i servizi. Sul fisco, invece, per alleggerire in maniera importante – a pressione totale invariata – il peso, oggi eccessivo, sul lavoro e sul reddito d’impresa (e in questa giusta direzione va la proposta sul cuneo fiscale di Prodi) bisognerebbe avere il coraggio di aumentare la pressione fiscale sui consumi di materia prima, ma anche di energia. Un’ipotesi del genere avrebbe tra l’altro il merito di premiare le produzioni più innovative, quelle legate alla cosiddetta soft economy, quelle di qualità  su cui si può pensare di rilanciare il paese e probabilmente avrebbe anche il merito di tornare a parlare a prezzi di imprenditoria oggi così lontani. Non è in dubbio che il centrosinistra opererà  nel risanamento necessario tutelando i ceti più deboli, lo fece già  ai tempi dell’euro; oggi però è giunto il momento di fare un passo in più e “scegliere” quale politica industriale e con essa quali nuove alleanze si possono costruire sui territori.

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