Sull’energia Prodi è realista

Romano Prodi parla spesso di energia, e questa è già  una buona notizia. 

Da oltre un decennio, infatti, l’Italia non ha una politica energetica, tanto meno ce l’ha avuta nell’ultimo, infausto, quinquennio berlusconiano. Siamo vissuti alla giornata tra piogge di progetti di nuove centrali termoelettriche, trasporti sempre più energivori e inquinanti, il nulla assoluto per promuovere l’efficienza energetica e sviluppare le fonti pulite e rinnovabili. Dunque che il candidato dell’Unione a futuro premier consideri l’energia un tema prioritario dei prossimi cinque anni di governo, va salutata come una novità  promettente. Parla spesso di energia, Prodi, e ne parla mostrando piena consapevolezza che una svolta è d’obbligo. Dal 2000 in avanti, mentre in Italia ha regnato l’immobilismo, sono cambiate tutte le principali coordinate su cui si reggono – dovrebbero reggersi – le scelte di politica energetica. Intanto le coordinate ambientali: i mutamenti climatici non sono più una minaccia, ma una realtà , e tranne pochi negazionisti l’intera comunità  scientifica concorda che tale problema sia originato, o comunque favorito, dalla troppa concentrazione in atmosfera di anidride carbonica legata a sua volta al troppo petrolio e carbone bruciato per produrre energia. Con l’entrata in vigore del protocollo di Kyoto, l’intero mondo industrializzato con la sola macroscopica eccezione degli Usa, ha formalizzato il suo impegno a ridurre rapidamente le emissioni che danneggiano il clima: anche l’Italia l’ha fatto, solo che mentre i partner europei sono molto vicini ai rispettivi obiettivi di riduzione dei gas serra (Germania -18% sul 1990, Regno Unito -15%, Francia -6%), noi viaggiamo contromano, più del 10 per cento sopra ai livelli di emissioni del 1990. Ma la novità  ancora più grande, su cui Prodi giustamente insiste molto, è che oggi cambiare in radice il nostro modo di produrre e consumare energia è una necessità  assoluta per dare nuovo slancio all’economia italiana, per accrescerne la competitività . Qualche giornale di destra, ma anche alcuni commentatori vicini al centrosinistra, hanno trattato con sarcasmo o con sufficienza ciò che il Professore ha detto in un convegno di Legambiente a proposito di quali debbano essere le linee di una nuova politica energetica: miglioramento dell’efficienza, decollo dell’energia solare, scelta del metano come principale energia fossile. Peccato che le cose prospettate da Prodi siano le stesse che stanno facendo i paesi europei più avanzati e dinamici: la Danimarca, dove già  oggi le energie pulite contribuiscono per oltre il 20% alla produzione elettrica; la Germania, dove nel mese scorso per la prima volta la produzione energetica da rinnovabili ha superato quella da nucleare; l’Irlanda, dove in dieci anni l’intensità  energetica del Pil è diminuita del 25%; la Spagna, con Barcellona e altre città  che hanno introdotto l’obbligo d’installare pannelli solari su tutte le nuove costruzioni. Non si capisce perché da noi questi stessi traguardi sono guardati col sopracciglio alzato da molti degli stakeholders del mondo energetico. Tanto più che nel caso dell’Italia l’esigenza di scommettere sull’efficienza, che riduce il fabbisogno di energia, e sulle rinnovabili, che sono risorse interne, è ulteriormente accresciuta dal fatto che importiamo oltre l’80% delle fonti energetiche primarie. Saremmo insinceri se omettessimo che i cambiamenti che auspichiamo chiamano alla coerenza e alla responsabilità , accanto alla politica e alle imprese, anche il mondo ambientalista. Fa la caricatura di se stesso un ambientalismo che si oppone all’energia eolica (che va fatta con ogni attenzione al paesaggio, ma va fatta); e si condanna all’impotenza un ambientalismo che rifiuta l’idea che per sostituire il petrolio e il carbone col gas non bastano i metanodotti ma serve costruire alcuni impianti di rigassificazione. Infine, c’è da rispondere a una domanda – maliziosa ma non peregrina – che viene spesso rivolta a chi come noi invoca una politica energetica di forte cambiamento e innovazione: chi paga? Una prima risposta viene dall’esperienza maturata sul campo da una grande impresa italiana, la St Microelectronics del vicepresidente di Confindustria Pasquale Pistorio: in dieci anni St ha investito circa 40 milioni di euro in tecnologie per il risparmio energetico e in altre innovazioni ambientali, finora ha risparmiato in minori consumi – dunque in minori costi – tre volte tanto. Quanto alle fonti rinnovabili, certo per svilupparsi necessitano di incentivi: e però i difensori dello status quo raramente si ricordano dei sussidi, spesso nascosti, destinati oggi ai combustibili fossili, e quasi mai dicono che in base al protocollo di Kyoto se l’Italia non metterà  un bel po’ di sole e vento al posto del carbone e del petrolio, dovrà  pagare svariati miliardi di “penali”. Insomma, se Prodi parla spesso di energia, se ne parla usando parole e indicando obiettivi non lontani dai nostri, non è perché stregato dagli ambientalisti. La spiegazione è più semplice: prima da presidente della Commissione europea, quando diede la spinta decisiva alla ratifica del protocollo di Kyoto, ora da candidato premier del centrosinistra, ha capito che sulla politica energetica l’Europa, l’Italia, giocano un pezzo importante del loro futuro e del futuro di tutto il mondo.

Scelte avventate e procedure omertose

La vicenda dimostra l’incapacità  e la superficialità  del governo a gestire il problema del nucleare 

delle scorie nucleari doveva essere affrontata 15 anni fa, nel 1987, subito dopo l’uscita del nostro paese dal nucleare. Mettere in sicurezza le scorie, fare un nuovo piano energetico basato sulla riduzione dell’uso dei combustibili fossili e puntando nella transizione ad un maggior uso del metano e promuovendo le fonti rinnovabili e il risparmio energetico. Questo è quello che l’Italia avrebbe dovuto fare allora, invece colpevolmente si è lasciato marcire il problema che adesso torna a galla con tutti i risvolti negativi di un ritardo di quasi un ventennio. Ma la difficoltà  della situazione non giustifica scelte avventate, né legittima procedimenti poco trasparenti e lineari come quello che ha individuato Scanzano Jonico unico sito possibile per lo stoccaggio di rifiuti ad alta radioattività . Lascia sbigottiti la procedura omertosa messa in atto: nessuno a quanto pare, dal sindaco alla Regione, era stato messo a conoscenza dei fatti, né è stato reso pubblico alcuno dei documenti e degli studi scientifici sui quali si presume la scelta sia stata effettuata. C’è poi un piccolo giallo: se è vero quello che il viceministro Viceconte dichiarava due giorni fa alle agenzie di stampa, il governo sarebbe propenso a riconsiderare la scelta: ma allora, delle due l’una. O la comunicazione interna al governo è talmente lacunosa che al sottosegretario non è giunta la notizia che Scanzano Jonico è, secondo il governo e i tecnici della Sogin, l’unico sito italiano adatto ad ospitare il deposito; oppure dobbiamo dedurne che la solidità  dei dati scientifici e degli approfondimenti tecnici sui quali si è fondata la scelta – e che nessuno al momento conosce – è tale da poter essere ribaltata in soli quattro giorni. E poi, ci chiediamo, è stato correttamente valutato il rischio geologico? L’area, infatti, è stata di recente riclassificata, passando ad un livello di rischio III: perché allora non è stata scelta una zona a rischio IV, più basso. E ancora: Scanzano Jonico è quantomeno defilato rispetto agli assi principali dei trasporti nazionali. Trasportare in Basilicata 80mila metri cubi di scorie radioattive sparse in tutta Italia significa far muovere 8 mila vagoni e calcolando che a Scanzano arrivano solo una statale e una linea ferrata a binario unico, ogni convoglio, dati i lunghissimi tempi che richiederà  questa operazione, porterà  alla totale paralisi. In tutta la vicenda inoltre è stato trascurato il fatto fondamentale che le scorie non sono tutte uguali. I rifiuti nucleari hanno diversa origine e sono di diverso tipo: vi sono scorie a bassa radioattività , derivanti dal ciclo di combustibile che comprendono carta, strumenti, vestiario, filtri e altro; scorie a radioattività  intermedia che comprendono essenzialmente resine, fanghi chimici e rivestimenti metallici del combustibile e scorie ad alta radioattività  che includono i prodotti di fissione e gli elementi transuranici prodotti nel reattore. Quest’ultime, altamente radioattive, sono le più pericolose e destinate a restare tali per diverse decine di migliaia di anni.

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