“Piano Casa: lavoro nero, brutti edifici e disastri ambientali”

“Restiamo meravigliati di fronte all’intenzione di Silvio Berlusconi di rivoluzionare le leggi urbanistiche per decreto legge”: con queste parole Francesco Ferrante, dell’esecutivo nazionale degli Ecologisti Democratici commenta le ultime esternazioni del Presidente del Consiglio sull’annuncio del piano casa.
 

“Non contento di ignorare gli appelli che gli vengono dagli stessi costruttori di evitare deregulation selvagge, ora il premier vuole superare le obiezioni che gli vengono dalla sua stessa maggioranza usando lo strumento del decreto legge, ed esautorando di fatto ancora una volta il Parlamento, con l’obiettivo di stravolgere il testo delle leggi sull’urbanistica”.
 

“A parte l’assurdità  di intervenire con un decreto d’urgenza in una materia, l’urbanistica, che la Costituzione assegna alle Regioni – continua l’esponente Ecodem -, la questione centrale è, come al solito, la ‘politica degli annunci’. Una pratica propagandistica e scellerata che avrà  conseguentemente come unico effetto devastante quello di far impennare l’abusivismo: sulle nostre coste, nelle nostre belle città , deturpando ancora una volta quei paesaggi che dovrebbero rappresentare la nostra risorsa più preziosa”.
 

 “Esattamente come avvenne in occasione dei due condoni che sempre Berlusconi varò nelle due precedenti esperienze di governo, questa controriforma non porterà  nessun beneficio. Disattendendo quindi le richieste di alcune delle maggiori associazioni ambientali (Legambiente) e dei costruttori (Ance) sul rilancio dell’edilizia attraverso la riqualificazione energetica degli edifici e le semplificazioni normative”.
 

“Al contrario – conclude Francesco Ferrante – questa deregulation selvaggia non premierà  le imprese virtuose in grado di promuovere edilizia ed occupazione di qualità  ma favorirà , come è già  accaduto in passato, lavoro nero, costruzioni fatiscenti, scempi ambientali ed architettonici. Questo disastro va fermato: auspichiamo che le forze parlamentari della stessa maggioranza si rendano conto in tempo della gravità  della situazione. Se si portasse in Parlamento una norma equilibrata ed efficace, già  concordata con la Conferenza Stato Regioni, l’opposizione potrebbe garantire una corsia preferenziale per un dibattito costruttivo in grado di raggiungere un accordo condiviso e sostenibile. Questa è la strada virtuosa da seguire”.

Il ricettario antico di Berlusconi

Berlusconi è vecchio. Che l’anagrafe registri l’età  avanzata del nostro premier rispetto a qualsiasi suo collega europeo, per non dire di Obama, è cosa nota. Ma il punto è che in questo momento di crisi globale e grave quello che , tutto sommato, potrebbe essere un aspetto ininfluente – la mancanza di energia e di visione futura bilanciata dalla saggezza e dall’equilibrio che si dovrebbero conquistare a una certa età  -, si manifesta in tutta la sua drammaticità  nella inadeguatezza delle risposte alle domande che quella stessa crisi suscita.
Prendiamo l’ultima trovata del Presidente del Consiglio: il piano casa. Se è comprensibile che per chi ha fondato il suo personale successo economico sul mattone negli anni della sua giovinezza scatti una sorta di riflesso da cane di Pavlov e venga l’acquolina in bocca di fronte alla prospettiva di costruire in città  e campagna milioni di nuovi metri cubi di cemento, appare davvero pericoloso proporre quella ricetta per il Paese nel 2009. E non solo perché, come ha immediatamente detto anche Dario Franceschini, quella proposta rivela una strana idea di dove vivono gli italiani (tutti in villa?) e perché quella deregulation inevitabilmente significherebbe stravolgimento del paesaggio italiano, la nostra più preziosa risorsa, e un nuovo sacco delle nostre città  . Ma quella proposta non ha alcun senso nemmeno da punto di vista economico, appunto perché “vecchia”. Il Paese vicino che più di altri ha fondato sull’edilizia il suo boom economico negli anni più recenti è stata certamente la Spagna, che ne ha anche pagato elevati prezzi ambientali specie sulle sue coste. Ebbene lo scoppio della crisi è stato tanto più deflagrante in Spagna proprio perché quel settore è stato, abbastanza ovviamente peraltro, il primo a risentire della contrazione dei consumi e delle preoccupazioni per il futuro dei cittadini. Oggi, piuttosto, il rilancio dell’edilizia può passare qui come dappertutto, sulla “riqualificazione” non su nuovo cemento. Riqualificazione che si deve ovviamente basare su risparmio energetico e fonti rinnovabili e che quindi richiede standard elevati e nuove regole – certo semplici e praticabili -, ma certamente non deregulation selvaggia.
Sono queste le proposte che nel mondo, nei Paesi con cui il nostro sistema economico deve competere nell’era della globalizzazione, stanno facendo i governi di sinistra (Obama) e di destra (Merkel, Sarkozy). Gli unici che non capiscono, che vagheggiano idee del secolo scorso, il Ponte sullo Stretto, il vecchio nucleare, ora la legalizzazione dell’abusivismo edilizio sono gli esponenti del nostro centro destra guidati dal più “antico” premier del mondo. E’ davvero ora di cambiare

“Piano infrastrutture, una occasione persa”

“L’Italia ha da tempo bisogno di un grande programma di rilancio delle opere pubbliche a partire dalla messa in sicurezza del nostro territorio dissestato: una priorità  sempre accantonata e mai finanziata dal governo di centrodestra”: questo il commento degli Ecodem, per voce di Francesco Ferrante, dell’esecutivo nazionale dell’associazione, sul piano nazionale delle infrastrutture presentato oggi.

“Questa necessità  diventa tanto più urgente in presenza dell’attuale crisi economica: un efficace piano nazionale di infrastrutture avrebbe infatti il merito di rappresentare una reale iniziativa anticiclica garantendo sviluppo e nuova occupazione in un settore altrimenti depresso quanto e più di altri”.

“Ma tutto ciò si ottiene a patto che il piano sia intelligente, pragmatico e non ideologico. Invece il governo – continua Francesco Ferrante – vara un programma che in realtà  è un’altra occasione persa concentrando le risorse in poche grandi opere, la più inutile, fantasiosa e poco credibile delle quali è certamente il Ponte sullo Stretto, rifiutandosi di dare ascolto alle richieste che vengono dal territorio. Richieste sottoscritte anche dall’Ance (l’associazione dei costruttori) per cui sarebbe molto più utile finanziare molte piccole e diffuse infrastrutture sul territorio, immediatamente cantierabili, che diano risposte concrete alle necessità  dei cittadini (fognature, acquedotti, messa in sicurezza del territorio, ferrovie per i pendolari, manutenziione delle strade) e che potrebbero attrarre anche investimenti privati”.

“Rincorrendo chimere come quella del Ponte, che costerebbe non meno di sei miliardi di euro, si sottraggono risorse immediate (oltre un miliardo) alle altre utilissime opere rinunciando di fatto ad avviare quella manovra anticiclica di cui il paese avrebbe maledettamente bisogno”.

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